Lavoro & Welfare

VODAFONE ITALIA: WELFARE DI DIRITTO, DA SEMPRE

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Vodafone Italia è stata una delle aziende apripista nel nostro Paese per l’introduzione di politiche di welfare verso i propri dipendenti: dal 2014 ha iniziato a prevedere nella contrattazione il lavoro flessibile con oltre 3.500 dipendenti su circa 6.500 che possono scegliere di lavorare da remoto un giorno a settimana; due anni dopo, da novembre del 2016, introduce un percorso di ascolto che ha impegnato in prima persona l’AD Aldo Bisio, il quale ha definito la propria «agenda dell’inclusione» dotandosi di un «inclusion commitment» che riconosce la diversità e la valorizza. La scelta di attuare piani aziendali all’insegna dell’inclusione significa per Vodafone favorire lo scambio di conoscenze reciproche tra generazioni diverse (con il progetto «Digital Ninja» per esempio nativi digitali affiancano colleghi più senior per aggiornarli nella continua evoluzione dell’ecosistema digitale) e promuovere la valorizzazione delle diverse culture interne all’azienda attraverso percorsi dedicati ai neoassunti.

Proprio per l’alto livello di occupazione femminile (il 58% del totale) e la sua valorizzazione con la popolazione manageriale composta per il 35% da figure femminili, «Vodafone si è storicamente distinta per le numerose iniziative a sostegno della maternità e per l’impegno nella valorizzazione della leadership femminile – commenta Ilaria Dalla Riva, direttore Risorse Umane e Organizzazione di Vodafone Italia -. La maternità in Vodafone è retribuita a stipendio pieno per 9 mesi e mezzo, mentre garantiamo sempre la presenza di almeno una donna nella rosa di candidati per una promozione o un’assunzione». Quando era ancora Omnitel, il gruppo ha stipulato un accordo sindacale (ancora in vigore) che prevedeva per tutte le mamme la copertura al 100% dello stipendio dei 4 mesi di congedo facoltativo ai quali si aggiungono i 5 mesi di legge. Per le mamme che lavorano nei call center sono previsti turni agevolati mentre le mamme degli altri settori, in coerenza con le esigenze organizzative, hanno la possibilità di accedere a soluzioni part-time anche temporanee. Lo smart working viene raddoppiato per le mamme e i papà al rientro dalla maternità o dal congedo di paternità (con un giorno in più alla settimana) e col «maternity angel» le neo mamme possono fare affidamento su una persona all’interno dell’azienda che le tiene costantemente aggiornate per facilitare il loro rientro

Vodafone non si dimentica neanche dei papà: dal 1° aprile 2018 è attiva inoltre una «paternity policy» che prevede due settimane retribuite al 100% per i dipendenti che hanno diritto al congedo di paternità. E per i bimbi ci sono gli asili nido aziendali nelle sedi di Milano (l’innovativo quartier generale al Lorenteggio), Padova e Napoli. Oltre alle «ferie solidali», Vodafone riconosce diritti e welfare anche ai dipendenti che hanno scelto un’unione civile, dalla licenza matrimoniale per le coppie dello stesso sesso fino all’estensione della copertura sanitaria integrativa.

(ITALPRESS/WEWELFARE.IT).

BLUBE, WELFARE DELLA PERSONA TRA PMI E TERRITORIO

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Parlano i provider protagonisti del welfare aziendale. Intervista a Riccardo Gismondi, National Key Account Director di BluBe, la divisione Welfare di CIRFOOD, una delle maggiori imprese italiane di ristorazione organizzata e servizi di welfare aziendale. “Il trend di crescita del mercato è molto importante – sostiene Gismondi – ed è significativo il fatto che ormai riguardi anche la piccola e media impresa, che per troppo tempo era rimasta fuori dallo sviluppo di questo settore”.

Il welfare aziendale è ormai un’area di impegno e di attenzione imprescindibile per le imprese, di qualunque dimensione. Dal vostro osservatorio, BluBe e CIRFOOD, come vedete il cambiamento in corso?

C’è una sensibilità crescente rivolta ai bisogni e ai servizi legati alla qualità della vita dei lavoratori, con l’obiettivo di sviluppare le performance aziendali. Non sempre le due cose sono andate di pari passo. La cultura d’impresa sta maturando esperienze sempre più solide in questa direzione. Per noi, 40 anni di storia e di attività nella ristorazione collettiva hanno contribuito ad accentuare l’attenzione alle persone e alle loro esigenze.

Dalla ristorazione collettiva, ai buoni pasto, ormai l’offerta di CIRFOOD attraverso BluBe è capace di soddisfare tutti i bisogni dei dipendenti delle aziende.

Certamente. Il nostro obiettivo è a tutto tondo. Vogliamo rispondere ai bisogni dei lavoratori e ai valori delle imprese. Il tema centrale è quello delle risorse umane. Le persone sono il cuore delle attività imprenditoriali, sono il patrimonio fondamentale. Il nostro valore aggiunto è la nostra conoscenza delle esigenze dei lavoratori, coniugata alla conoscenza delle imprese e dei loro vantaggi competitivi.

Il panorama dei competitor è sempre più affollato: sono più di 90 i provider che agiscono in questo mercato. Come si vince la concorrenza?

Con la qualità del servizio. Anche questo mercato è un business che non si inventa. La competenza vince, l’esperienza, l’aggiornamento, la capacità di fornire consulenza prima e dopo la fornitura del servizio e dell’erogazione del benefit. In questa direzione si spiega l’acquisizione di pochi mesi fa: abbiamo acquisito l’advisor di welfare aziendale Valore Welfare, proprio per assicurare al nostro servizio tutta la profondità della consulenza. Consulenza e servizi è il mix con cui ci proponiamo al mercato.

Avete altri obiettivi di crescita nel 2020?

Di sicuro non ci fermiamo. Vogliamo crescere, ma è ancora presto per indicare le nostre prossime mosse. Ci saranno.

Qualche numero della vostra impresa?

La divisione BluBe nel 2018 ha fatturato oltre 86 milioni di euro; il segmento del welfare aziendale vale ormai circa il 15% dei ricavi di tutto il gruppo CIRFOOD che nel 2018 ha superato i 664 milioni di euro di ricavi consolidati. In BluBe lavorano 19 persone, a cui si aggiungono molte funzioni aziendali di Gruppo, dall’amministrazione al supporto HR e IT. Il Terzo Settore si sta affacciando sempre più al mercato del welfare aziendale.

La vostra sensibilità e la vostra storia aziendale sono culturalmente vicini alla realtà sociale che viene dal Terzo Settore. Come guardate a questo mondo: partner o concorrenti?

La nostra matrice cooperativa ci permette di collaborare strettamente con le realtà del Terzo Settore. Abbiamo da sempre rapporti stretti, sul territorio, e abbiamo forti partnership per l’erogazione dei servizi aziendali. Certo è che si dovrà creare un nuovo equilibrio di relazioni, di fronte allo sviluppo di alcune realtà del Terzo Settore, che diventano a loro volta provider del mercato del welfare aziendale. Resta fondamentale camminare insieme, forti di quella cultura che ci rende attenti alle finalità sociali del welfare integrativo. Gli stessi vantaggi fiscali di cui possono beneficiare i fruitori di alcuni servizi di welfare si poggiano proprio sulla finalità sociale che si sviluppa con questi strumenti.

L’ultima legge di stabilità non ha introdotto novità. È un bene o un male?

Dopo le recenti normative che dal 2016 hanno favorito lo sviluppo del welfare aziendale, è stato fondamentale la conferma dei traguardi raggiunti, a fronte di risorse pubbliche sempre più ristrette.

Una domanda sulla rappresentanza associativa: Aiwa (l’associazione italiana del welfare aziendale) conta ormai una ventina di soci. Voi siete tra i soci fondatori. Che cosa chiedete all’associazione?

Il ruolo che Aiwa sta svolgendo è prezioso. Gli obiettivi sono formativi, informativi, rappresentativi nei confronti delle Istituzioni, dal legislatore all’Agenzia delle Entrate. È importante preservare il ruolo di indipendenza che Aiwa ha saputo garantirsi: i soggetti associati sono molti diversi tra loro, è giusto che possano contare su una rappresentanza non collegata a mondi confederali e datoriali, che finirebbero per svilire gli obiettivi di indipendenza. Un’ultima domanda sul welfare di territorio.

Lo sviluppo del welfare aziendale nelle Pmi può favorire l’estensione di servizi fruibili a livello territoriale?

La centralità della persona è la chiave di tutto. Il radicamento territoriale delle Pmi impone un’attenzione alla possibilità di trasferire servizi e benefit a livello di territorio, non solo di impresa. Le comunità impongono una circolarità di visione che genera valore aggiunto per tutti. Fondamentale la collaborazione tra soggetti diversi, le imprese, le cooperative sociali, coinvolti in piani di comunicazione e condivisione che possano creare solidarietà e inclusione. Ovviamente per noi Reggio Emilia è un territorio-laboratorio naturale, per il nostro radicamento d’impresa. Ma stiamo assistendo allo sviluppo di molte esperienze positive anche in altre località del Paese.

(ITALPRESS/WEWELFARE.IT).

UP DAY ALZA IL LIVELLO DI WELFARE CON IL MENTAL COACH

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Un mental coach per i dipendenti è stata l’idea di Up Day, realtà con sede a Bologna e tra i principali provider di servizi di welfare aziendale, ha firmato un accordo con il Gruppo Hrd, società fondata da Roberto Re che dal 1992 si occupa di corsi di formazione.
Per il benessere non solo fisico ma nache mentale sul posto di lavoro, sono quindi entrati a far parte della piattaforma Day Welfare anche i seminari sulla gestione delle emozioni, sulla leadership, sull’orientamento ai risultati e su molti altri aspetti della crescita personale.
“Siamo orgogliosi di poter includere nella nostra proposta di welfare aziendale i corsi di formazione del Gruppo HRD e di Roberto Re – afferma Paolo Gardenghi, responsabile Area Welfare di Up Day – tra i beneficiari del nostro servizio, infatti, abbiamo rilevato una forte richiesta di sviluppo formativo personale. Il welfare può e deve servire anche per la propria crescita, al fine di raggiungere una maggiore consapevolezza e per affrontare meglio le sfide che il mondo lavorativo ci pone davanti. Poter offrire la competenza di alto profilo di Roberto Re e del suo team è un’opportunità da cogliere al volo”.
Quest’ultimo, al cui corso hanno partecipato circa 350.000 persone, sottolinea l’importanza dell’equilibrio, parola chiave e concetto fondamentale poiché da quello deriva in gran parte la qualità della propria vita – scrive Roberto Re, fondatore del Gruppo HRD e capostipite dei mental coach in Italia – conciliare sfera professionale e personale oggi è un obiettivo che quasi tutti si pongono, comprese le aziende che mirano a creare un ambiente sempre più confortevole per i propri dipendenti”.
(ITALPRESS/WEWELFARE.IT)

NASCE RANDSTAD WELFARE E CHIEDE DI ESSERE SOCIO AIWA

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È nata Randstad Welfare, la divisione dedicata ai servizi di welfare aziendale, proposta dal colosso delle Agenzie per il lavoro attive in Italia. “Supportiamo la tua strategia di gestione risorse umane creando piani di welfare su misura per la tua azienda e a sostegno delle persone” si legge sul sito della neonata struttura. A vent’anni appena compiuti in Italia. Randstad Italia è nata nel 1999 dopo il varo della “Legge Treu”, la 196/97 che aveva istituito le “agenzie interinali”, poi diventate Agenzie per il Lavoro, passato attraverso la riforma Biagi, il Jobs Act, il Decreto Dignità, che ha portato la multinazionale olandese a diventare il primo operatore mondiale e il secondo operatore italiano nei servizi per le risorse umane, in un mercato del lavoro sempre più liberalizzato, qualificato e trasparente. Randstad conta oggi in Italia circa 300 filiali e oltre 2300 dipendenti, con un fatturato di 1,6 miliardi di euro nel 2018. In venti anni di attività ha dato un’occasione di lavoro a oltre 1 milione di persone nel nostro Paese.
Con la divisione Randstad Welfare l’offerta dei servizi del colosso olandese si articola anche sul fronte del welfare aziendale. Con una piattaforma proprietaria, Randstad Welfare si propone come un “nuovo” provider, nel mercato sempre più affollato di operatori. “Un nostro project manager seguirà l’intero processo di gestione e organizzazione del piano welfare aziendale, presidiando anche la fase di introduzione e formazione all’uso della piattaforma” spiegano, illustrando il processo offerto alle aziende, fatto di analisi (del contesto aziendale; dei bisogni delle persone; dei costi/benefici), progettazione (elaborazione del piano welfare; comunicazione interna; formazione all’uso del piano), realizzazione (configurazione della piattaforma welfare; gestione amministrativa dei servizi welfare; assistenza nell’attivazione e uso della piattaforma), monitoraggio (valutazione del ROI; analisi costi di servizio; survey welfare impact).
(ITALPRESS/WEWELFARE.IT)

ACLI, WELFARE LAB PER LE FAMIGLIE IN DIFFICOLTÀ

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Un welfare “sartoriale” per aiutare le persone in difficoltà economica, andando così a sopperire alle mancanze di uno Stato che non riesce a rispondere a tutte le esigenze delle famiglie che vivono un disagio. Questo il senso del progetto sperimentale Walfare Lab messo in campo dall’Acli di Roma che ha già aiutato 200 famiglie. L’iniziativa è stata presentata a Piazza del Popolo dal presidente nazionale Acli, Roberto Rossini, del presidente delle Acli di Roma, Lidia Borzì, dal presidente nazionale del Patronato Acli, Emiliano Manfredonia, dal ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Nunzia Catalfo, dall’assessore alle Politiche sociali e al Welfare della Regione Lazio, Alessandra Troncarelli, della presidente del Municipio Roma I Centro, Sabrina Alfonsi, e dal presidente dell’Assemblea Capitolina, Marcello De Vito.
Il progetto si occupa di coloro che sono in condizioni di povertà relativa e si propone di creare un sistema di analisi centrato sulla persona, partendo dall’Isee e allargando poi lo sguardo ai bisogni personali consentendo di creare un percorso di multi-intervento per la riconquista della propria dignità attraverso il reinserimento nel mondo del lavoro.
“Abbiamo voluto portare al centro il grido della città, i tanti poveri e chi vive in una quotidianità faticosa – ha detto il presidente dell’Acli Roma, Lidia Borzì -. Oggi lavori e non arrivi a fine mese o come accade alle neo mamme che deve lasciare il lavoro perché non sa a chi lasciare i figli, fasce di cittadini che sono affaticati da un walfare frammentato, un labirinto. Il nostro progetto vuole essere un filo di Arianna che li accompagna. Si è soli e si è anche poveri di tutto”.
“Ci sono state più di 200 famiglie prese in carico con il progetto – ha proseguito – che può portare avanti uno sperimento di walfare innovativo finanziato dal ministero del Lavoro. Tutte le famiglie hanno un comune denominatore: ogni persona è stata assunta nel suo problema complessivo. Questo progetto ci ha aiutato a mettere in piedi un modello inclusivo, che dà risposte a bisogni primari, con politiche attive, aiuta a creare una rete di aggregazione”.
“Ci sono alcuni strumenti come l’Isee che vanno rivisitati – ha concluso la Borzì -. Questa sperimentazione romana ci ha consentito di portare alla ribalta l’importanza di un walfare che sia prioritario. Partire da un modello di walfare sartoriale che parta dal basso, che ascolti i bisogni delle persone, che valuti l’efficacia delle sue politiche. Un walfare incentrato sulla corresponsabilità delle istituzioni sociali perché solo così potremmo costruire una società migliore”.
“La prima intenzione del reddito di cittadinanza è quello di dare un sostegno, contemporaneamente bisogna dare a queste famiglie un percorso di vita che li renda indipendenti, dando servizi, e con l’aiuto dei comuni fare una valutazione del disagio per poi intervenire – ha detto il ministro Catalfo -. Questo lo puoi far con l’aiuto delle associazioni come le Acli e con progetti come walfare lab che consentano alla persona che ha avuto un particolare disagio ed è rimasto indietro di risalire. L’Italia era rimasta indietro sui centri per l’impiego con soli 8 mila addetti, il rafforzamento dice che nell’arco di tre anni le regioni potranno assumere 11.600 operatori che consentiranno a chi è in difficoltà di avere la possibilità di andare nei centri dell’impiego con 20 mila operatori. Abbiamo messo oltre 1 miliardo per le infrastrutture”.

(ITALPRESS).

#CONCILIAMO, 74 MILIONI IN ATTESA DI ASSEGNAZIONE

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È scaduto alle ore 12:00 di giovedì 9 gennaio 2020 il termine per la presentazione delle domande di finanziamento e ora restiamo in attesa di successivi aggiornamenti. Lo riporta l’avviso pubblicato sul sito ufficiale relativo al bando #Conciliamo di cui abbiamo seguito l’iter negli scorsi mesi e che attingerà a un fondo di 74 milioni di euro per progetti di conciliazione famiglia-lavoro che promuovano un welfare su misura per le famiglie e per migliorare la qualità della vita di mamme e papà lavoratori. #Conciliamo ha come obiettivi specifici il rilancio demografico, incremento dell’occupazione femminile, riequilibrio dei carichi di lavoro fra uomini e donne, sostegno alle famiglie con disabilità, tutela della salute, contrasto all’abbandono degli anziani.
(ITALPRESS/WELFARE.IT).

MASSAGLI “PIÙ SPAZIO A WELFARE AZIENDALE”

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Prima del varo della manovra si è fatto un gran parlare di taglio al cuneo fiscale, ma nella sostanza qualcosa (poco) cambierà solo dal primo luglio, e solo per chi ha una retribuzione superiore a 25mila euro. Il solito sistema degli interventi a margine. “Il costo del lavoro resta più o meno quello che è, purtroppo. Se dobbiamo vedere il mezzo bicchiere pieno, potremmo dire che il mancato taglio al cuneo fiscale potrebbe assicurare nuova linfa e nuove opportunità per le soluzioni di welfare aziendale”. Con Emmanuele Massagli, presidente di Aiwa (l’Associazione italiana del welfare aziendale) abbiamo voluto fare una analisi degli effetti prodotti dalla Legge di bilancio appena varata, sul mercato del welfare aziendale. “Le opportunità di defiscalizzazione e decontribuzione offerte dalla conversione di premi di risultato, secondo le norme stabilite nel 2016 sul welfare aziendale, restano le uniche occasioni effettive per ridurre il costo del lavoro, almeno nella sua parte collegata ai risultati conseguiti dalle imprese. Quindi nessun taglio diretto al cuneo fiscale, ma per le imprese che fanno utili e redistribuiscono risultati c’è ancora un modo per ridurre l’impatto fiscale: il welfare aziendale”. I numeri del welfare, fonte Aiwa, indicano oltre 100.000 imprese coinvolte e quasi 2.500.000 lavoratori di imprese private beneficiari di piani di valore medio attorno ai 700 euro. “Gli interventi a margine hanno un effetto di annuncio politico; nella sostanza, anche per il 2020, l’unico modo di ridurre la fiscalità del lavoro è data dai piani di welfare. Potremmo dire che non avere ristretto gli spazi sia già una buona cosa per consolidare e sviluppare il nostro mercato” aggiunge Massagli: “Lo si vede anche con i processi in atto di accorpamento, acquisizione, alleanze commerciali tra i provider, anche a livello di agenzie per il lavoro. Il welfare aziendale si sta definendo come una prassi inevitabile, conveniente, praticabile in tutte le organizzazioni di lavoro”.
“Resto dell’idea che allo sviluppo pieno e alla maturazione del mercato – continua Massagli – servirà l’integrazione a pieno titolo del Terzo settore nel perimetro del welfare aziendale, anche per ribadirne la finalità sociale”. Aiwa aveva chiesto che i residui non goduti dei piani di welfare potessero diventare risorsa per le associazioni del Terzo settore: “Non tocca solo al pubblico stornare piccole o grandi quote a sostegno dei soggetti socialmente attivi e meritevoli. Oltre al 5 per mille potrebbe essere resa disponibile questa ulteriore modalità di sostegno finanziario. Aiwa aveva avanzato anche la proposta di cessione del credito welfare a colleghi che abbiano necessità di cura proprie o di propri familiari, similarmente a quanto già avviene per le ferie. Sarebbe anch’essa una misura di natura sociale”. E sarebbe un segnale importante e a costo zero. “Abbiamo chiesto anche di inserire un vantaggio fiscale per chi nei piani di welfare inserisse anche il pagamento dell’affitto dei figli che studiano fuori sede: sarebbe un triplo risultato. Aiutare i nostri giovani cervelli a studiare in Italia, favorire la solidarietà familiare, far emergere il nero di tanti affitti studenteschi”. Massagli continua: “Come Aiwa avevamo anche chiesto un inserimento di norme che favorissero il sostegno dei malati oncologici cronici. Si tratta di provvedimenti a impatto fiscale nullo o quasi; per i quali servirebbe la politica, e uno sguardo di medio periodo, che oggi non è dato”. Ultimo, ma non ultimo, dalla manovra appena approvata, emerge la già annunciata novità sui buoni pasto. E cioè: il valore non imponibile dei buoni pasto scende da 5,29 a 4 euro, se si tratta di buoni pasto cartacei, sale da 7 a 8 euro, se si tratta di buoni pasto elettronici. Il Governo conta di incassare 20 milioni all’anno in questa transizione, che premia il cashless e la tracciabilità anche nel buono pasto, il primo gradino di ogni piano di welfare aziendale. Gli emettitori hanno accettato il rischio e stanno scommettendo sulla lungimiranza delle 90mila aziende (enti pubblici compresi) che utilizzano questo tipo di benefit per i loro dipendenti e che non saranno tentate dalla riduzione del valore del buono, quanto piuttosto dalla conversione a breve in buono elettronico. A oggi sono circa 2,4 milioni i lavoratori italiani che dispongono di buoni pasto (1,6 milioni dipendenti di imprese private, 800mila dipendenti pubblici). Il valore del singolo buono pasto è determinato solo dalla scelta dell’azienda, ma ovviamente la grande maggioranza dei voucher ha un valore uguale o inferiore a quello della massima detraibilità. Infatti, il valore medio del circolante è di 5 euro, appena sotto la soglia dei 5,29 euro.
(ITALPRESS/WELFARE.IT).

CONFINDUSTRIA, IL WELFARE IN UN CONTRATTO

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L’annuale indagine Confindustria sulle condizioni dell’occupazione nelle aziende associate (elaborata da Giovanna Labartino, Francesca Mazzolari e Giovanni Morleo) registra che nel 2019 nell’industria in senso stretto il 66,1% dei lavoratori sono coperti da un contratto aziendale che prevede l’erogazione di premi variabili collettivi. La contrattazione aziendale di contenuto economico è meno diffusa nei servizi, dove i lavoratori coperti sono il 48,7%. La quota di aziende che stipula tali contratti si ferma mediamente al 29% nell’industria al netto costruzioni e al 13,7% nei servizi – percentuali più basse rispetto a quelle della forza lavoro coperta data la maggiore diffusione dei premi nelle imprese più grandi. Negli ultimi anni, anche sulla scia del regime fiscale agevolato riconosciuto in via strutturale alle retribuzioni premiali legate ad incrementi di produttività aziendale, la diffusione della contrattazione di secondo livello è cresciuta sia nell’industria sia nei servizi. Sulla base delle risposte delle imprese che hanno partecipato all’indagine in ciascuno degli ultimi tre anni, è infatti aumentata tra i 2 e i 5 punti percentuali, a seconda della dimensione aziendale. Oltre alla corresponsione di premi, più di un quarto dei contratti aziendali prevede oggi la possibilità che questi siano convertiti in welfare (35%). La previsione di tale opzione è in forte crescita, su livelli pari a oltre a una volta e mezza rispetto a quelli del 2018. (ITALPRESS) – (SEGUE). La diffusione di forme di partecipazione dei lavoratori agli utili e quella di forme di coinvolgimento paritetico dei dipendenti nell’organizzazione, pur attestandosi su livelli decisamente più bassi, sono altresì in crescita, raggiungendo nel 2019 rispettivamente il 4,8% e il 7,8%. Il 60,2% delle imprese associate mette attualmente a disposizione dei propri dipendenti non dirigenti almeno un servizio di welfare. La forma più diffusa si conferma l’assistenza sanitaria (45,9%), seguita da previdenza complementare (28,7%), mense (21,1%) e fringe benefits (19,7%). Più bassa la diffusione di “carrello della spesa” (9,8%) e contributi per l’assistenza a familiari anziani o non autosufficienti (3,8%), ma per entrambe le voci si stima una forte crescita dal 2017 sulla base del campione di imprese osservate anche negli anni precedenti. Nel 2019 quasi un’azienda associata su 10 (1 su 5 tra quelle di grandi dimensioni) ha introdotto forme di “lavoro agile”, ovvero modalità di svolgimento del lavoro flessibili in termini di orario e luogo. Nel campione longitudinale la diffusione del cosiddetto smart working risulta in forte aumento, quasi raddoppiando tra 2018 e 2019

UN’IMPRESA SU CINQUE APPLICA UN CONTRATTO AZIENDALE, QUASI UNA SU TRE NELL’INDUSTRIA
Secondo la rilevazione condotta tra febbraio e aprile 2019, si stima che il 21,0% delle aziende associate a Confindustria applica attualmente un contratto collettivo aziendale che prevede l’erogazione di un premio variabile collettivo. Si riscontrano ampie differenze per settore e dimensione aziendale. Nell’industria al netto delle costruzioni la diffusione della contrattazione aziendale di contenuto economico si attesta in media al 29% (contro il 13,7% nei servizi), passando dal 10,6% tra le aziende fino a 15 addetti al 32,4% tra quelle con 16-99 addetti, e raggiungendo il 76,8% tra quelle con 100 e più addetti. Dato che i contratti aziendali sono più diffusi tra le imprese di maggiore dimensione, la copertura dei premi variabili collettivi è più elevata se espressa in termini di lavoratori: 58,7% su un totale di oltre 5 milioni di lavoratori occupati in aziende associate a Confindustria. Tra le imprese dei servizi i lavoratori coperti sono il 48,7%, nell’industria al netto delle costruzioni il 66,1%.

PIÙ CONTRATTI AZIENDALI DAL 2016, SPECIE PER IMPRESE PICCOLE E DEI SERVIZI Nell’indagine di quest’anno alle imprese con esperienza di contrattazione aziendale è stato chiesto a quando risaliva il primo contratto. Tra quelle che attualmente applicano un contratto aziendale: il 12% lo fa dal 2016, ovvero da quando è stato introdotto in via strutturale un regime fiscale agevolato sulle retribuzioni premiali legate ad incrementi di produttività aziendale. Per le imprese di piccola dimensione (fino a 15 addetti), la percentuale per cui l’applicazione è recente sale mediamente al 19,7% (16,7% nell’industria in senso stretto e 35,7% nei servizi); l’8,4% ne aveva già applicato uno nei quattro anni precedenti, ovvero tra il 2012 e il 2015; per il restante 79,6% qualche tipo di contratto aziendale di contenuto economico era stato applicato anche prima del 2012. Premi collettivi incidono più per operai e impiegati Per il personale non dirigenziale, l’incidenza dei premi variabili collettivi sulla retribuzione annua complessiva è simile per operai e impiegati, rispettivamente pari al 3,3% e 3,5%, mentre tra i quadri scende al 2,6%. Nell’industria al netto delle costruzioni l’incidenza dei premi è mediamente più elevata che nei servizi e risulta particolarmente alta nelle imprese oltre i 100 dipendenti: 5,1% per gli operai e 4,6% per gli impiegati.

NON SOLO PREMI NEI CONTRATTI AZIENDALI
Tra le imprese che applicano un contratto aziendale che prevede l’erogazione di un premio variabile collettivo, in oltre il 35% dei casi lo stesso contratto prevede anche la possibilità (su richiesta del lavoratore) che il premio sia convertito in welfare. L’opzione è più diffusa al crescere della dimensione aziendale: nell’industria in senso stretto è prevista dal 27,0% dei contratti in imprese fino a 15 dipendenti, dal 29,7% in quelle con 16-99 addetti e da quasi la metà (48,1%) in quelle con 100 addetti e più. Per quanto riguarda altre previsioni contenute nei contratti aziendali, forme di partecipazione dei lavoratori agli utili sono previste nel 4,8% dei casi, mentre forme di coinvolgimento paritetico dei dipendenti nell’organizzazione sono previste nel 7,8% dei casi.

VARIEGATA L’OFFERTA DI BENEFIT AI DIPENDENTI
Da qualche anno l’indagine monitora la diffusione del welfare a livello aziendale. I risultati indicano che nella prima metà del 2019 il 60,2% delle imprese associate a Confindustria metteva a disposizione dei propri dipendenti non dirigenti uno o più servizi di welfare. La diffusione del welfare è più elevata nell’industria e nelle imprese grandi; come nel caso dei premi collettivi, la maggiore diffusione nelle aziende di grande dimensione eleva la quota complessiva di lavoratori a cui tali servizi sono messi a disposizione. Nel welfare aziendale prevale l’offerta di sanità integrativa e previdenza complementare. Nello specifico, quasi la metà delle aziende associate versa contributi in fondi di assistenza sanitaria integrativa a favore dei propri dipendenti (45,9%), principalmente in applicazione di quanto previsto dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (39%). La diffusione della previdenza complementare è al 28,7%, anch’essa soprattutto in attuazione di CCNL (24,5%). Per entrambe le forme di welfare la percentuale di imprese che le mettono a disposizione dei propri dipendenti schizza tra quelle grandi, in particolar modo nell’industria (81,5% e 75,6% rispettivamente). In termini di diffusione, seguono le somministrazioni di vitto (per esempio tramite mense aziendali) e i fringe benefit (tra cui autovetture ad uso promiscuo o prestiti agevolati), messi a disposizione da circa una su 5 aziende (21,1% e 19,7%), in entrambi i casi principalmente per decisione unilaterale (12,7% e 15,8%). Somme e servizi con finalità di educazione, istruzione o ricreazione rivolti ai dipendenti sono erogati dal 6,6% delle imprese. Una quota molto simile li eroga a favore di familiari dei dipendenti (6,8%). Le percentuali si quadruplicano tra le grandi imprese.
Mediamente al 9,8% (20,9% per le grandi imprese) la diffusione del “carrello della spesa”, un altro tipo di erogazione che offre un concreto sostegno al potere di acquisto dei dipendenti, ancor più se distribuito con accordi con specifici esercenti. Al 3,4% la diffusione di servizi di trasporto collettivo (11,1% tra le grandi imprese industriali). Al 3,8% la diffusione di forme di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti, voce che probabilmente prenderà peso in futuro sia per la recente estensione degli incentivi fiscali a questa forma di welfare sia per la crescente domanda a fronte dell’invecchiamento della popolazione. Nell’industria in senso stretto, tra le grandi imprese ormai più del 15% offre questo tipo di benefit ai dipendenti. Come già messo in evidenza, la diffusione del welfare aziendale cresce con la dimensione di impresa. Tra le imprese più grandi si registra anche l’incidenza più elevata della previsione di welfare da contratto aziendale. Concentrandoci sui tipi di benefit più diffusi, tra le imprese con 100 o più addetti, il 10,3% offre assistenza sanitaria integrativa prevista da contratto aziendale, il 9,1% previdenza complementare e il 19,8% qualche forma di vitto. Nel caso dei fringe benefit, invece, la previsione da contratto aziendale scende al 6,9%, perché di gran lunga prevalente rimane la concessione (per decisione) unilaterale del datore di lavoro.

LAVORO AGILE IN QUASI UN’AZIENDA SU DIECI…
Per il secondo anno consecutivo, l’indagine Confindustria ha approfondito il tema dell’organizzazione del lavoro, monitorando la diffusione di forme di lavoro agile, ovvero modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno, senza postazione fissa. Sulla base della rilevazione effettuata nei primi mesi del 2019, si stima che l’8,9% delle imprese associate a Confindustria abbia introdotto forme di smart working, una su 5 tra quelle con 100 o più addetti (20%). La diffusione è mediamente più ampia nei servizi che nell’industria (11% rispetto a 7,3%).

…E UN TEMA INTERESSANTE ANCHE IN MOLTE AZIENDE CHE NON L’HANNO INTRODOTTO Si stima che un altro 10% di aziende, pur non avendolo ancora introdotto, consideri il lavoro agile un tema interessante da affrontare. Con riferimento alle modalità di disciplina, tre volte su quattro, se introdotto, lo smart working è regolato solo da accordi individuali (76,4%). Vi è un 19,5% di aziende che tuttavia ha introdotto anche una regolamentazione aziendale e un 8,6% che include il tema nella contrattazione collettiva aziendale. Nelle imprese più grandi è più frequente che agli accordi individuali si affianchi anche una regolamentazione aziendale (29,8% dei casi) e/o la contrattazione aziendale (22,7%). Per quanto riguarda la diffusione del welfare, si osserva una crescita nel triennio che interessa tutti i tipi di servizi considerati. Gli aumenti maggiori si registrano per due tipologie, ovvero: il “carrello della spesa” (spesso erogato tramite la corresponsione di voucher); somme e servizi per l’assistenza ai familiari anziani o non-autosufficienti dei dipendenti. La diffusione di entrambi i benefit partiva da livelli molto bassi, ma quadruplica nell’arco del triennio. L’aumento della diffusione di entrambe le tipologie è da leggere alla luce dei cambiamenti normativi introdotti dalla Legge di bilancio 2016, che ha ampliato la lista di beni e servizi “non imponibili” di cui all’art.51 del TUIR (includendovi, in particolare, i servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti) e confermato la possibilità di fruire del beneficio fiscale anche qualora i benefit siano erogati ai dipendenti tramite voucher. Sull’aumento osservato incidono anche altri fattori concomitanti. Nel caso dell’assistenza ai familiari anziani, è in atto un incremento strutturale della domanda di questi servizi, per esigenze di cura legate alla maggiore longevità. Sulla maggiore diffusione del carrello della spesa incide quanto contenuto nel CCNL metalmeccanico del 26 novembre 2016, ovvero che, a partire dal 1° giugno 2017, le aziende attivassero, per tutti i lavoratori dipendenti, piani di flexible benefits, per un importo di 100 euro nel 2017, 150 euro nel 2018 e 200 euro nel 2019 –requisito che spesso le imprese hanno soddisfatto fornendo voucher. Non a caso, l’aumento della diffusione del carrello della spesa è particolarmente marcato nel comparto metalmeccanico. Infine, anche per quanto riguarda la diffusione del lavoro agile si osserva nel campione longitudinale un forte incremento tra 2018 (primo anno in cui se ne è rilevata la presenza) e 2019. La percentuale di imprese che dichiara di aver introdotto forme di smart working quasi raddoppia da un anno all’altro, con incrementi di simile intensità in tutte le classi dimensionali e settori osservati.

IN CALO IL TASSO DI ASSENTEISMO Nel corso del 2018 le ore lavorabili pro-capite, al netto delle ore di Cassa Integrazione Guadagni, sono state mediamente pari a 1.653 (+0,6% rispetto al 20172). Di queste, 101 non sono state lavorate a causa delle assenze dal lavoro (retribuite e non), -6,5% dalle 108 nel 2017. Il tasso di assenteismo (calcolato come il rapporto tra le ore di assenza e le ore lavorabili) è risultato in calo, attestandosi al 6,1% dal 6,5% dello scorso anno. L’incidenza delle assenze è aumentata, seppur lievemente, nell’industria in senso stretto (da 5,9% a 6,1%), mentre nei servizi è diminuita dal 7,6% al 6,2%. Il tasso di assenteismo si è confermato crescente all’aumentare della dimensione aziendale: 6,7% in quelle con 100 e più adetti, 4,3% in quelle fino ai 15.

CAUSALI DI ASSENZA DIVERSE PER GENERE
La malattia non professionale si è confermata la causa più frequente di assenza (3,2% delle ore lavorabili), seguita dai congedi retribuiti (1,2%) e dagli altri permessi retribuiti (1,1%), che includono i permessi sindacali e quelli per visite mediche o accompagnamento parentale. L’incidenza delle assenze è risultata pari al 5,2% tra gli uomini e all’8,7% tra le donne. I congedi parentali spiegano quasi il 75% della differenza, essendo pari al 3,0% delle ore lavorabili per le donne e allo 0,4% per gli uomini, a causa degli oneri di accudimento familiare, visto che quelli a carico del genere femminile sono di gran lunga maggiori.

IN ULTERIORE CALO IL RICORSO ALLA CIG
Nel 2018, in media d’anno, scende ulteriormente la quota di imprese industriali che ha avuto almeno un lavoratore in Cassa Integrazione: l’ultima rilevazione indica una diffusione pari al 17,9% (era pari al 19,4% nel 2017, al 24,7% nel 2016 e 36,7% del 2015). Nell’industria l’incidenza delle ore di CIG su quelle lavorabili è rimasta più elevata per gli operai (1,7%, corrispondente a 27,7 ore pro-capite, dal 2,5% nel 2017); per l’addetto medio è dell’1,1% (corrispondente a 17,7 ore pro-capite) dall’1,6% dell’anno precedente. Nei servizi la diffusione della CIG, strutturalmente limitata rispetto all’industria, si attesta al 2,0%, dal 3,0% nel 2017 e dal 4,0% del 2016. L’incidenza media delle ore di CIG sulle ore lavorabili è allo 0,5%, in calo dallo 0,9% del 2017. Dato che l’Indagine Confindustria raccoglie informazioni sul ricorso alla CIG durante l’intero anno precedente la rilevazione, non è possibile valutare variazioni in corso d’anno, quali l’aumento delle autorizzazioni di ore di CIG mappato invece negli archivi INPS a partire dall’autunno 2018 e confermato per la prima metà del 2019. Se le autorizzazioni rimarranno elevate per il resto dell’anno in corso, il fenomeno sarà rilevato nella prossima edizione.

(ITALPRESS/WEWELFARE.I).