Vincenzo Silvestri, Presidente di Fondazione Lavoro, e Carlo Scatturin, vice Presidente e Country Manager di Quanta, a margine del Convegno a tema Contratto a tempo determinato e somministrazione, che si è tenuto ieri presso la sede milanese di Quanta, hanno siglato la convenzione ribadendo: “La nostra rete di Consulenti – ha dichiarato Vincenzo Silvestri – ha ora un’opportunità in più per allargare la filiera e offrire ai propri clienti uno strumento importante in aggiunta a quelli tradizionali di intermediazione. È un valore aggiunto, un’utile sinergia che risponde alle esigenze di flessibilità del mercato”. “Si tratta – ha aggiunto Carlo Scatturin – di mettere a fattore comune le esperienze di chi opera nel mercato del lavoro con l’obiettivo di ridurre la distanza tra domanda e offerta. Agenzia per il lavoro e Consulenti sono soggetti per natura vicini alle imprese: l’intento comune è di generare valore, adattandosi al complesso e mutevole contesto normativo”. Dal canto suo, Quanta proporrà il servizio di somministrazione di lavoro temporaneo ai clienti presentati dai Consulenti del Lavoro e contribuirà alla promozione della convenzione mettendo a disposizione il proprio knowhow a supporto dell’accordo.
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CONSULENTI DEL LAVORO, A PATTI CON LA FLESSIBILITÀ DEL MERCATO
INTESA SANPAOLO, INSIEME A NATALE PER IL TERRITORIO
Intesa Sanpaolo a Natale apre le porte a 2000 persone in condizioni di fragilità, offrendo loro un pranzo e momenti di musica e arte in dieci città.
Noi Insieme è un progetto che ha il suo punto di forza nelle relazioni ed è realizzato grazie al contributo di tante realtà. Gli appuntamenti si snodano dal 1° al 23 dicembre, e coinvolgono dieci città: Torino, Milano, Vicenza, Padova, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli e Lecce.
La Caritas Italiana e le Caritas Diocesane coinvolgono le persone da loro assistite; i gestori delle mense aziendali Intesa Sanpaolo – Pellegrini, CAMST, CIR food, Cepparolli Nara – preparano un menù speciale per tutte le sensibilità culturali e religiose; gli studenti delle Scuole Alberghiere Salesiane e di altre realtà della formazione professionale curano il servizio ai tavoli arricchendo così il loro percorso di studi; i ragazzi dell’Associazione del Sistema delle Orchestre e dei Cori Giovanili e Infantili in Italia Onlus, nato su iniziativa dei maestri Claudio Abbado e José Antonio Abreu e di altri cori, propongono l’intrattenimento musicale.
Le Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo offrono visite guidate alle proprie collezioni d’arte; nella sede del Grattacielo di Torino, Intesa Sanpaolo Innovation Center offre ai bambini un’esperienza con Pepper, il robot umanoide; i dipendenti della Banca partecipano come volontari alle giornate in un clima di condivisione.
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ANSEB, AZIENDE DICONO SÌ A DIGITALIZZAZIONE BUONI PASTO
Le aziende che emettono buoni pasto hanno accettato il rischio: una possibile riduzione del fatturato sul breve periodo, per poter contribuire alla digitalizzazione dell’economia del Paese. Anzi, indirettamente sono state loro ad aver lanciato l’idea che – integrata nella manovra finanziaria di fine anno – dovrebbe diventare norma dal primo gennaio 2020. E cioè: il valore non imponibile dei buoni pasto scende da 5,29 a 4 euro, se si tratta di buoni pasto cartacei, sale da 7 a 8 euro, se si tratta di buoni pasto elettronici, o digitali, come preferisce dire Emmanuele Massagli, presidente di Anseb (l’associazione che raccoglie le quattro aziende più forti del mercato: Edenred, Day, Sodexho, Cirfood), che poco più di un anno fa aveva proposto una modifica di questo genere durante gli “Stati Generali” organizzati dalla stessa Associazione.
Era l’estate del 2018, era appena fallita “QuiGroup”, il secondo operatore del settore (che ANSEB non ha mai voluto tra i propri associati), riverberando sul mercato dei buoni pasto qualche opacità, che solo la tracciabilità assoluta garantita dalla digitalizzazione del voucher, avrebbe potuto fugare. Da qui la proposta di allora, ripresa dalla manovra di oggi: penalizzare i buoni cartacei, valorizzare quelli elettronici. “Per gli operatori potrebbe essere un problema, almeno sul breve periodo – commenta Massagli, con l’orgoglio di chi rappresenta le imprese che hanno avuto il coraggio di lanciare il cuore oltre l’ostacolo – perché potrà capitare che qualche impresa, per pigrizia o per imperizia, preferisca abbassare il valore del buono pasto ai suoi dipendenti, piuttosto che adeguarsi alla digitalizzazione e alla dematerializzazione dei voucher”. Le stime di Anseb valutano che il 60% del mercato dei buoni pasto sia già digitalizzato. Quindi c’è la possibilità (teorica) che il 40% del mercato (a oggi stimato in circa 3 miliardi di euro, tanto è il valore dei buoni pasto emessi ogni anno) finisca per ridursi di un quarto del valore. Quindi ci potrebbe essere un calo del 10% del fatturato complessivo del settore.
Ma gli emettitori hanno accettato il rischio, con una inedita compattezza: oltre alle quattro società associate in Anseb, anche gli altri principali operatori (Repas, Pellegrini, Ep, YesTicket) stanno scommettendo sulla lungimiranza delle 90mila aziende (enti pubblici compresi) che utilizzano questo tipo di benefit per i loro dipendenti. A oggi sono circa 2,4 milioni i lavoratori italiani che dispongono di buoni pasto (1,6 milioni dipendenti di imprese private, 800mila dipendenti pubblici). Il valore del singolo buono pasto è determinato solo dalla scelta dell’azienda, ma ovviamente la grande maggioranza dei voucher ha un valore uguale o inferiore a quello della massima detraibilità. Infatti, il valore medio del circolante è di 5 euro, appena sotto la soglia dei 5,29 euro. La manovra finanziaria ha inserito l’operazione sui buoni pasto all’interno dell’operazione cashless e Anseb aveva proposto la strada della digitalizzazione – prima di vedere adottato il suo suggerimento – proprio per scommettere sulla “conversione digitale” dei pagamenti degli italiani. Un passo verso la nuova frontiera dell’uso massiccio di carte di credito, bancomat, pagamenti virtuali.
Mentre le società emettitrici scommettono sull’evoluzione del mercato e sulla tracciabilità e trasparenza delle operazioni, lo Stato punta di fatto sulla lentezza di questa trasformazione: infatti conta su un gettito di 51 milioni di euro per il 2020 (oltre 56 milioni nel 2021), immaginando che le imprese (soprattutto quelle nelle quali è presente una forte rappresentanza sindacale) non abbasseranno il valore del buono (a 5,29 euro), ma subiranno una tassazione marginale derivante dall’abbassamento a 4 euro della soglia di detraibilità. Proprio per questo, a vantaggio dei lavoratori, ANSEB aveva proposto un rinvio di entrata in vigore della norma al 1° marzo, che pare destinato a non essere accolto. Per i lavoratori difficilmente cambierà qualcosa, se non nelle aziende dove la rappresentanza sindacale non è abbastanza risoluta nel mantenere il livello dei benefit conseguiti. “In realtà noi speriamo che siano molte le imprese che vorranno cogliere l’opportunità di aumentare il valore del buono fino a 8 euro, scommettendo sulla digitalizzazione” commenta Massagli, che aggiunge una considerazione sull’importanza del benefit: “Il buono pasto è il primo step di un processo di welfarizzazione in azienda. Si comincia da quello, per comprendere la necessità di rendere migliore il posto del lavoro per i propri dipendenti, adottando più completi piani di welfare”.
Nel 2015 solo il 30% dei buoni pasto era elettronico, dopo quattro anni la quota è raddoppiata. Nei prossimi tre anni Anseb scommette sulla quasi totalità del mercato digitalizzato. Nella transizione lo Stato lucra, contando sulla lentezza delle Pmi. Le aziende emettitrici dal canto loro assicurano la piena assistenza territoriale, per stendere una rete più stretta che consenta di consumare il buono pasto elettronico, scommettendo su un sensibile spostamento delle emissioni digitali da 7 a 8 euro.
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ZUCCHETTI, LEADERSHIP ANCHE NEL WELFARE CON AMILON E DOUBLEYOU
“Per il welfare aziendale accadrà come per il mercato dell’Ict: prima c’è stata la moltiplicazione delle offerte e dei competitor. Poi abbiamo assistito alla concentrazione”. Domenico Uggeri, vicepresidente di Zucchetti, in questa intervista parla dall’alto di una posizione di leadership consolidata nei servizi Ict per le imprese (gestionali Erp, etc.) e dall’osservatorio privilegiato che Zucchetti si sta costruendo anche nel settore dei servizi di welfare aziendale. La strategia del Gruppo lodigiano segue sia la linea dello sviluppo per acquisizioni, sia per crescita organica. In poco più di tre anni il Gruppo ha raddoppiato il suo fatturato, superando la soglia degli 850 milioni di euro. Oltre 400mila clienti, 6000 collaboratori, 1500 partner.
Una dimensione che secondo qualche osservatore vorrebbe dire essere pronti alla Borsa.
“Mai dire mai, ma non è un tema all’ordine del giorno. Il progetto industriale sta andando di pari passo al progetto finanziario. E le risorse finanziarie di cui disponiamo sono più che sufficienti per i nostri piani”.
Avete fatto crescita e acquisizioni in molti segmenti, ma vediamo i progetti legati al mondo del welfare aziendale. In questi giorni è stata ufficializzata l’acquisizione di Amilon.
“Sì, ma non si tratta di un’acquisizione solo finalizzata al mondo welfare. Amilon è una società leader nel segmento delle loyalty card, delle gift card, nei voucher e nei coupon elettronici. Quindi si tratta di un mercato più largo rivolto alla gdo, alla ristorazione, al retail, a tutto il mondo consumer. Certo anche i lavoratori dipendenti sono consumatori e non nego che ci possano essere sinergie interessanti per l’offerta di servizi di welfare aziendali, legati a forme di flexible benefit”.
Quindi ci sono margini di sviluppo con DoubleYou, la vostra prima acquisizione nel mercato del welfare aziendale, ormai tre anni fa.
“La maggioranza assoluta in entrambe le aziende ci consente di andare sul mercato con un’offerta completa, che come dicevo, nel caso di Amilon eccedono l’orizzonte del welfare. Certo, per DoubleYou si tratta di un’opportunità per arricchire il marketplace. Ma Amilon continuerà a collaborare con tutti gli operatori del mercato, secondo una strategia di sviluppo che prevede accordi non esclusivi”.
DoubleYou continua a crescere? Rispetto al leader di mercato tra i provider, Easy Welfare, ora entrata nell’orbita dei francesi di Edenred, che posizione occupa?
“In tre anni siamo cresciuti a due, anzi forse a tre cifre. Diciamo che dal 2017 a oggi DoubleYou ha quadruplicato il suo fatturato. Easy Welfare ha iniziato prima, ma DoubleYou è saldamente al secondo posto del mercato. Secondo posto, per ora”.
Ma non basta avere una piattaforma per fare un buon welfare aziendale…
“Infatti l’offerta di DoubleYou è molto più completa. Serve la consulenza. Ci vuole la competenza per allestire e proporre i servizi erogati tramite la piattaforma. Ma siamo gli unici sul mercato che offrono un marketplace utilizzabile anche da un ente terzo. La nostra piattaforma è leader, si mette a disposizione dei soggetti che la rendono disponibile al cliente finale. Abbiamo una rete di partner (associazioni di categoria, soprattutto) molti professionisti, artigiani, commercianti, ma anche le agenzie per il lavoro (da Adecco a Manpower, fino a Randstad) che distribuiscono le nostre soluzioni ai loro associati. Quando rilasciamo la nostra piattaforma ci preoccupiamo della formazione dei nostri utenti. Abbiamo un rigoroso processo di certificazione delle vendite. Prima del rilascio prevediamo una valutazione della struttura ‘lato cliente’ (gli hr manager) attraverso il sistema della consulenza aziendale o delle realtà associative che rappresentano e intermediano le realtà aziendali”.
Servite anche il fronte assicurativo?
“La nostra è una struttura di aggregazione di servizi, per questo collaboriamo con tutti coloro che producono servizi (anche Generali-Welion è nostro partner). Vogliamo erogare contenuti specifici attraverso le nostre soluzioni informatiche (fatturazione elettronica, gestionali buste paga…). Sono molte le compagnie di assicurazione che si affacciano sul mercato del welfare integrativo e aziendale, per offrire prodotti e servizi, a costoro offriamo la nostra piattaforma tecnologica. Il mercato ha bisogno di facilitazioni per continuare a crescere; ci auguriamo che i sistemi di incentivazione crescano (mentre le compagnie di assicurazione inseguono i clienti soprattutto sul fronte della salute e del benessere)”.
E le banche? Ci sono ormai anche le banche che fanno concorrenza nel mercato del welfare aziendale. Voi siete partner di Ubi…
“Le banche stanno cercando di offrire servizi per fidelizzare le aziende clienti, in una stagione in cui i servizi finanziari tradizionali stanno subendo una trasformazione epocale. Alcuni affrontano il mercato del welfare aziendale con convinzione, altri si limitano ad offrire una piattaforma tecnologica. Con Ubi, fino alla fine di quest’anno, tramite DoubleYou, non ci limitiamo a offrire la piattaforma, ma anche un’offerta di servizi consulenziali. L’anno prossimo probabilmente Ubi si strutturerà in modo autonomo sul fronte della consulenza, pur continuando a utilizzare il nostro marketplace”.
(ITALPRESS/WEWELFARE.I).
UNIPOL/AMBROSETTI, WELFARE NEW DEAL PER SALVARE SISTEMA
Presentato il Rapporto 2019 del Think Tank “Welfare, Italia”, sviluppato da Unipol Gruppo con The European House – Ambrosetti.
L’iniziativa, all’interno del progetto Welfare Italia, laboratorio per le nuove politiche sociali, ha visto oltre 200 esponenti delle Istituzioni ed esperti del settore che hanno dibattuto sui vincoli e le proposte per garantire che il sistema di welfare del Paese possa continuare a funzionare rispondendo efficacemente anche ai nuovi bisogni emergenti.
Nell’ambito del Welfare Italia Forum 2019, sono stati proposti 4 pilastri di azione per passare da un sistema passivo ad uno attivo: ottimizzare le basi informative per il monitoraggio del welfare aumentando e mettendo a fattor comune la quantità di dati pubblici e privati per favorire i processi decisionali;
lanciare un Welfare New Deal a livello europeo, riorganizzando i meccanismi (bonus, detrazioni, etc) e semplificando le normative esistenti per garantire un efficace relazione pubblico-privato;
adeguare l’offerta di servizi ai nuovi bisogni di age management e di long term care, incentivando l’adesione ai fondi pensione integrativi e sostenendo programmi di tutoring da parte dei lavoratori over 55; promuovere l’auto responsabilizzazione di individui e aziende attraverso campagne di comunicazione strutturate che conducano ad un approccio proattivo da parte dei cittadini.
La spesa pubblica complessiva in servizi di welfare nel 2018 ammonta a 488,3 miliardi di Euro. Tra le tre voci di spesa approfondite nel dettaglio nel Rapporto (Sanità, Previdenza e Politiche Sociali), la componente pensionistica è quella con l’impatto maggiore: con un valore pari a 281,5 miliardi di Euro nel 2017, vale il 57,6% del totale della spesa sociale pubblica in Italia.
All’interno di questo contesto, l’integrazione pubblico-privato si configura come un meccanismo in grado di far fronte non solo ai crescenti vincoli di spesa del pubblico e al dualismo geografico, ma anche all’evoluzione dei bisogni dei beneficiari di servizi di welfare. A fine 2018 sono censiti 7,9 milioni di aderenti a forme di previdenza complementare (circa il 30% della forza lavoro) e 1,7 milioni di lavoratori beneficiano dei servizi di welfare aziendali offerti dalle aziende. Complessivamente, il segmento della sanità integrativa coinvolge 12,6 milioni di beneficiari nel 2018 (la spesa sanitaria privata ammonta a 40 miliardi di Euro), mentre gli aderenti a forme di previdenza complementare sono circa 7,9 milioni, pari al 30% della forza lavoro.Per mettere a fuoco le necessità evolutive del sistema di welfare, al Welfare Italia Forum 2019 sono stati approfonditi i driver di cambiamento esogeni ed endogeni che agiscono sul sistema di protezione sociale e impattano sui bisogni dei fruitori dei servizi di welfare. L’aumento della speranza di vita – cresciuta in media di 1,7 anni dal 2008 ad oggi – la caduta del tasso di natalità del 25%, i cambiamenti del mercato del lavoro verso una maggiore diffusione delle forme non standard, le innovazioni tecnologiche che mettono ad alto rischio di automazione il 15% dei posti di lavoro nei prossimi 15-20 anni, sono solo alcuni dei trend in atto.
L’Italia è al 28° posto tra i Paesi dell’UE-28 nell’Indice che valuta la capacità di un Paese nel favorire la transizione da istruzione a mercato del lavoro e il tasso di occupazione degli stranieri è tra i più bassi in Europa (60,9%). I divari di genere nel mercato del lavoro causano un costo di oltre 176,5 miliardi di Euro per il sistema-Paese.
Un punto chiave della discussione al Forum ha riguardato la necessità di una ricalibratura del sistema di welfare rispetto ai nuovi bisogni per garantirne la sostenibilità nel medio-lungo termine. Occorre un intervento immediato per ricalibrare il modello di welfare integrando i diversi attori (pubblico, privato, no-profit e Unione Europea), per offrire ai cittadini le migliori e le più moderne risposte universalistiche di protezione sociale.
La fotografia tendenziale scattata dal Rapporto all’Italia del welfare al 2050 mostra infatti caratteristiche molto diverse da quella attuale. Dal punto di vista demografico, ci saranno 36.000 nascite annue in meno e 2,9 milioni di anziani non autosufficienti in più. Il tasso di dipendenza strutturale subirà un incremento di ben 27,2 punti percentuali rispetto a quello attuale. Il numero di stranieri salirà a circa 10,3 milioni (1 ogni 6 abitanti), anche se il contributo dell’immigrazione all’equilibrio demografico del Paese è ancora troppo basso e, nel tempo, si sta indebolendo.
La combinazione di trend demografici e cambiamenti nel mercato del lavoro porterà nel 2050 ad un calo di ben 7,4 milioni di persone in età lavorativa e 2,3 milioni di occupati in meno. Nel complesso, si arriverà ad un rapporto di 1,1 pensionati per ogni lavoratore con necessarie conseguenze sul sistema previdenziale che, da un lato, vedrà aumentare di 1,3 p.p. l’incidenza della spesa pensionistica sul PIL e, dall’altro, andrà verso una riduzione del tasso di sostituzione di circa 15 p.p. rafforzando il senso di urgenza per accrescere la componente di previdenza integrativa. Le dinamiche economiche, inoltre, proiettano il raddoppio dei costi attuali in Long Term Care e 5,7 milioni di nuovi poveri che si andrebbero ad aggiungere al numero odierno.
Osserviamoli nel dettaglio: 33,4 milioni di persone in età lavorativa (-7,4 milioni rispetto al 2018); 20,9 milioni di occupati (-2,3 milioni rispetto al 2018); 1,1 pensionati per ogni lavoratore; 17,6% di spesa pensionistica sul PIL (+1,3 punti percentuali rispetto al 2018); spesa raddoppiata in Long Term Care per over 80; -36.000 nascite all’anno; 5,7 milioni di anziani non autosufficienti (+2,9 milioni rispetto al 2018); 10,7 milioni di poveri (+5,7 milioni rispetto al 2018).
Il Think Tank “Welfare, Italia” delinea una visione evolutiva che suggerisce un’evoluzione verso una maggiore flessibilità e personalizzazione delle prestazioni, un’integrazione funzionale tra pubblico e privato, una ridefinizione dei ruoli – nella direzione di una maggiore complementarietà – e un percorso di autoresponsabilizzazione di cittadini e imprese. Tra le linee d’azione suggerite per la piena realizzazione della visione evolutiva vi è, inoltre, il lancio di un Welfare New Deal, un piano di intervento congiunto, con risorse a livello nazionale ed europeo, per cui è richiesto un atto di responsabilità da parte di tutti gli attori in campo. La transizione ad un welfare più inclusivo e sostenibile, inoltre, non può che passare da una riduzione dei forti divari del Paese, in molte aree fondamentali dello sviluppo: in Italia i giovani che non studiano, non lavorano e non si formano sono il 25,5%, ma in alcune Regioni del Sud superano il 40%, generando costi per il sistema-Paese pari ad oltre 21 miliardi di Euro. Le famiglie italiane, soprattutto nel Mezzogiorno, tra il 2001 e il 2017 hanno perso tra 16 e 29 punti percentuali di reddito netto disponibile rispetto ad alcuni Paesi europei.
Dalla ricerca emerge che se l’Italia, ottimizzando il sistema di welfare riducesse alcuni dei gap attuali in molte aree fondamentali dello sviluppo (occupazione femminile e giovanile, povertà, formazione, ecc.) si genererebbe un impatto positivo pari a oltre il 13% del PIL.
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TERZO SETTORE: WELFARE PIÙ SOLIDO PER FAMIGLIE E BAMBINI
Giuseppe Bruno, Presidente CGM, Consorzio Gino Mattarelli la più importante rete di Imprese Sociali e Cooperative a livello italiano in occasione del convegno Investire sul futuro. Sfide, Opportunità, Pratiche alla presenza di Elena Bonetti Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia ha affermato: “Bene il Governo rispetto alla decisione di aumentare le risorse per gli asili nido ora però occorre dare un ulteriore slancio vero i poli 0/6 con il completamento della riforma e la messa a sistema delle risorse che interessano la fascia d’età per realizzare il potenziamento dei servizi, e superare anche disuguaglianze di accesso oltre che territoriali e sociali“. “All’interno del nostro network composto da più di 700 imprese sociali, oltre il 35% di esse presenta un core business legato al tema legato al tema dell’educazione focalizzato sui servizi agli 0-6 anni. Gli asili nido gestiti da Cooperative CGM sono circa 700 i quali ospitano 28.000 bambini in fascia 0-6 anni“, ricorda Bruno.
“Per questo riteniamo necessario far uscire i servizi educativi per l’infanzia dalla dimensione individuale per farli entrare pienamente nella sfera educativa di crescita e quindi essenziali; per raggiungere questo obiettivo è necessario creare sistemi di welfare che meglio rispondano alle esigenze delle persone e delle famiglie ed in questo caso in primis dei bambini“, sostiene il Presidente CGM. “Attraverso la rete CGM è stato possibile, e persiste uno scambio di buone prassi e la condivisione di soluzioni proprio perché le sperimentazioni portate avanti su un determinato territorio possono tornare utili anche in un altro“, evidenzia il Presidente CGM. “Sulla base dell’esperienza maturata sul campo vogliamo essere stimolo perché si giunga al riconoscimento di modelli di successo, ovviamente intesi nella loro declinazione territoriale e si possa favorire l’allocazione di risorse economiche adeguate in obiettivi di sviluppo dei servizi 0-6 anni. È necessario allo stesso tempo che vi sia l’accesso a dati di prima mano rispetto ai territori ove si opera; vi è infatti una differenza sostanziale tra la realizzazione e mantenimento di un polo dell’infanzia 0-6 anni in una città metropolitana rispetto a aree interne spesso caratterizzate da fenomeni di spopolamento e chiusura dei servizi a fronte di una crescita zero”, rimarca Bruno. (ITALPRESS) – (SEGUE). “Proprio nelle aree interne, nelle aree di montagna, le imprese sociali CGM hanno un ruolo importantissimo per la rinascita dei territori. Lo sono perché conoscono le comunità, hanno spesso dato nuova vita attraverso la valorizzazione delle risorse esistenti, ottimizzando esigenze e denari fino a rendere reali interventi che sarebbero sembrati impossibili secondo le logiche tradizionali della sostenibilità. Per questo, di fronte alla decisione presa dall’Esecutivo pensiamo che l’Impresa sociale cooperativa possa offrire un prezioso contributo al completo sviluppo delle politiche dedicate agli 0-6 anni. Ci candidiamo a offrire al Ministro Bonetti il nostro contributo reale e concreto, grazie anche alle nostre organizzazioni datoriali che ben rappresentano le istanze provenienti dal basso. Pensiamo sia possibile favorire strategie e risorse di successo oltre che risposte per le criticità rilevate dalle diverse latitudini del nostro Paese. È la sfida, o meglio la fase due, necessaria perché il contributo per asili gratis non resti solo un impegno ed un investimento economico infruttifero per il futuro del nostro Paese“, conclude Bruno.
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CONSULENTI DEL LAVORO, C’È POSTO PER 145 MILA DISABILI
Il sistema del collocamento mirato, introdotto 20 anni fa dalla legge n.68/1999, pur rappresentando un prezioso strumento di inclusione lavorativa e sociale delle persone con disabilità, non è più in grado da solo di impedire che questi soggetti si ritrovino confinati ai margini del mercato del lavoro e, quindi, della società. Dal report L’inclusione lavorativa delle persone con disabilità in Italia, presentato dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro è emerso uno spaccato di questa realtà, che nel 2018 poteva contare quasi su 360 mila lavoratori, per la maggior parte uomini (58,7% contro il 41,3% delle donne) e concentrati al Nord d’Italia, con la regione Lombardia che da sola occupa il 21,5% del totale. Un universo in cui il 53,7% degli occupati ha più di 50 anni, il 93,7% ha un contratto a tempo indeterminato ma ad alta incidenza di part time, soprattutto negli “under 30”(49,3%). Ma c’è un elemento nella ricerca-condotta sui dati resi per la prima volta disponibili dal Dicastero di via Veneto e relativi alle dichiarazioni PID (Prospetto Informativo Disabili) che le aziende con più di 14 dipendenti devono inviare ai fini del rispetto dell’obbligo normativo – che più di ogni altro sorprende.
A fronte dei 360mila occupati dichiarati dalle aziende in ottemperanza alla Legge, ci sono 145mila posti di lavoro “vacanti”. C’è, inoltre, una forte sproporzione tra la domanda e l’offerta di lavoro. Il numero degli iscritti alle liste di collocamento ammonterebbe a 775 mila unità e sarebbe in aumento per le difficoltà riscontrate nel promuovere inserimenti stabili. Negli ultimi anni, complice la crisi economica, il sistema si è dimostrato sempre più in affanno e incapace di dare risposta ad un’offerta di lavoro che solo nel 30% dei casi riesce a collocarsi. Un’altra conferma giunge dall’audizione dell’Istat sulla legge di Bilancio 2020, durante la quale è emerso che i più penalizzati sono i giovani e i giovanissimi con disabilità: nella fascia d’età tra i 25 e i 44 anni il 31,2% è in cerca di occupazione, quasi il doppio rispetto al 16,8% della fascia dei 45-64enni. Nel 2015, a fronte di quasi 92 mila persone iscritte per la prima volta nelle liste di collocamento mirato, gli avviamenti al lavoro sono stati 27.468, vale a dire il 29,9%. L’Istituto di statistica ha, inoltre,precisato che su 100 persone di 15-64 anni che, pur avendo limitazioni funzionali motorie o disturbi intellettivi sono comunque abili al lavoro, solo il 35,8% è occupato, il 20% è in cerca di un’occupazione e il 43,5% risulta inattivo. Alla conferenza stampa è intervenuto il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Nunzia Catalfo. “Vi è necessità di riequilibrare il versante delle politiche attive – ha dichiarato in conferenza stampa la Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine, Marina Calderone-con interventi che potenzino l’incrocio tra domanda e offerta, ma prima ancora l’occupabilità delle persone con disabilità e, quindi, la loro formazione. Serve per le aziende un percorso di accompagnamento e assistenza per definire un piano condiviso di inserimento dei lavoratori con disabilità. Tra i protagonisti del mondo del lavoro-ha continuato la Presidente – deve crescere la sensibilità su questo tema con un vero e proprio salto culturale. Una crescita che i Consulenti del Lavoro si pongono come obiettivo immediato, affiancando imprese e istituzioni nel creare questo circuito virtuoso”. Dai dati emerge, peraltro, che nell’ultimo decennio circa il 10% degli avviamenti al lavoro tramite collocamento mirato è avvenuto in aziende al di sotto dei 15 dipendenti, non sottoposte quindi all’obbligo di riserva. “Si tratta di una domanda spontanea e consapevole che potrebbe essere ulteriormente ampliata se supportata da meccanismi incentivanti o premiali”, ha concluso la Presidente.
(ITALPRESS/WEWELFARE.IT).
PREVIDENZA PRIVATA, AUMENTANO GLI ISCRITTI
Aumentano gli iscritti, le prestazioni e le entrate contributive. È quanto è emerso dal IX Report Adepp sulla Previdenza Privata, presentato a Roma. Dal 2005 al 2018, gli iscritti alle Casse sono aumentati del 26% arrivando a 1 milione e 650mila unità, di cui ogni 1.000 abitanti, 27 sono iscritti alle casse di previdenza private. I libri professionisti rappresentano circa il 6% dei lavoratori italiani. Ma ad aumentare sono anche i pensionati attivi, i redditi e le donne, le azioni di welfare sia assistenziale che strategico e aumenta il patrimonio che supera gli 87 miliardi di euro. La maggior parte degli iscritti rientra nella fascia d’età tra i 40 e i 60 anni e rappresentano circa il 53%. I nuovi iscritti sono al 51% donne e sempre le donne rappresentano il 40% del totale, mentre quelle tra gli under 40 sono circa il 53%. Aumenta del 23% l’età media degli iscritti attivi, di pari passo con l’aumento dell’età media dei lavoratori italiani. Infatti, gli over 60 sono in aumento passando dal 10% al 19%, mentre i pensionati attivi sono aumentati più del 100%. “È indicativo che gli under 40 siano in calo e gli over 60 siano in crescita. È un dato importante perché vuol dire che le condizioni demografiche e le aspettative di vita stanno cambiando, così come le condizioni economiche che inducono i professionisti, soprattutto intellettuali, a continuare a lavorare”, ha commentato il presidente di Adepp, Alberto Oliveti. “La storia della professione si sta piano piano femminilizzando – ha aggiunto Oliveti – la presenza femminile e giovanile è importante e implica problematiche diverse che però è bene affrontare nella variabilità di ipotesi di soluzione”. Infatti, le donne entrano prima degli uomini nel mercato del lavoro, si laureano prima e si iscrivono prima alla propria Cassa di previdenza, ma anche se i redditi aumentano del 3%, le donne continuano a subire il pay gap. Le libere professioniste dichiarano in media il 45% in meno dei loro colleghi uomini e la media dei redditi tra le donne è di circa 24 mila euro, mentre quella tra gli uomini è di 43 mila euro.
È anche vero che i liberi professionisti uomini under 40 guadagnano 1/3 dei loro colleghi over 50 così come rimane il gap territoriale. Infatti, i redditi più alti vengono dichiarati dai professionisti in Trentino Alto Adige con circa 54 mila euro annui, mentre quelli più bassi in Calabria dove un professionista dichiara poco meno di 20 mila euro. Tra gli iscritti alle Casse di Previdenza Privata vi sono anche professionisti dipendenti (Enpam, Inpgi, Enpaia), che negli ultimi 14 anni, a differenza dei loro colleghi indipendenti, hanno visto il loro reddito crescere in termini reali dell’11%. Tra gli altri dati, è emerso anche che le entrate contributive, pari a 10,3 miliardi di euro, sono aumentate del 91% in 14 anni, mentre il numero di prestazioni è aumentato del 45%, gli importi erogati dell’84%. Nel 2018, la spesa complessiva per welfare ammonta a 509 milioni di euro.
(ITALPRESS).









