“I volti di Eni” è il nuovo format che racconta le storie delle persone, delle loro vite, passioni e sfide quotidiane in cinque video ritratti. Con questo progetto il colosso della luce mira a puntare l’attenzione sui propri dipendenti e, attraverso la loro testimonianza, parlare di welfare. Come affermato dalla stessa azienda sul proprio portale “Eni pone le sue persone al centro della propria strategia di business e si posiziona da sempre come una “caring company”, un’impresa che promuove un impegno continuativo nella cura delle proprie persone per creare una catena di valore condivisa”.
“I volti di Eni” si presenta dunque come una best practice divulgativa, che possa comunicare l’immagine dell’azienda fondata sull’importanza data ai lavoratori che la fanno crescere, promuovendo e incentivando il loro benessere. Un’offerta in materia di welfare ampia e diversificata: dal nido all’orientamento scolastico, fino agli anziani; dalla tutela della salute alla copertura previdenziale, dai servizi ricreativi ed educativi a quelli finanziari e assicurativi, dalla mobilità alla ristorazione e alle palestre. In ambito formativo, Eniscuola primeggia come iniziativa nata per portare nelle classi un insegnamento non convenzionale sui temi delle scienze con un focus sull’energia attraverso lo sviluppo di tre aree d’intervento: “Energia e Ambiente”, “In Classe” e “Progetti per il territorio”.
La proposta previdenziale invece si articola su due fondi: Fondenergia per i lavoratori e Fopdire per i dirigenti. Sono ormai quasi tre anni, dal 2017, che Eni permette ai suoi dipendenti di convertire parte del premio di partecipazione in un paniere di beni e servizi, usufruendo delle opportunità fiscali e contributive previste dalla normativa vigente e accedendo a una piattaforma che rende disponibile un’ampia gamma di servizi.
Come testimoniato dal progetto “I volti di Eni”, il supporto alle famiglie nella conciliazione vita privata e vita professionale resta però la parte fondamentale del programma di welfare di Eni, attraverso un’azione trasversale riguardante la genitorialità, la flessibilità oraria, lo smart working, nido scuola 0-6 anni, soggiorni estivi, summer camp e comprendenti inoltre il potenziamento del supporto ai caregiver attraverso il programma Fragibilità.
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ENI, IL WELFARE RACCONTATO DALLE PERSONE
ADAPT, IL WELFARE UTILE IN UN CORSO
A seguito delle numerose iscrizioni per il corso organizzato nel mese di marzo, ADAPT ha deciso di proporre la terza edizione del corso sul welfare organizzato questa settimana tra Milano e Roma. Fare welfare in azienda è stato tenuto dai docenti Emmanuele Massagli, Presidente di ADAPT, professore a contratto di “Pedagogia del lavoro” e di “Welfare della persona” presso l’Università degli Studi di Bergamo, e da Silvia Spattini, Direttore di ADAPT ed esperta di diritto del mercato del lavoro. Il corso, attraverso una lezione interattiva e laboratoriale, ha adottato un metodo utile a fornire un aiuto concreto per imprese, sindacalisti, avvocati, consulenti ed altri operatori del settore che vogliono investire in piani welfaristici in relazione a un sempre maggiore allargamento del mercato.
Gli strumenti mirano a: analisi della normativa fiscale e lavoristica; esame di accordi collettivi e regolamenti; esercitazione per la stesura di un piano di welfare.
Dopo il corso di Milano tenutosi lo scorso lunedì in cui erano presenti 27 partecipanti, quello svoltosi nella Capitale ha visto la partecipazione dello stesso numero di persone, 26, tra responsabili/direttori ufficio HR, coordinatori/dirigenti di azienda, e anche consulenti del lavoro e avvocati giuslavoristi.
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WELFARE HUB INTESA SANPAOLO PER LE AZIENDE DI CONFAGRICOLTURA
Il Welfare hub di Intesa Sanpaolo per le aziende di Confagricoltura. È uno dei punti che costituiscono il più vasto accordo siglato tra Intesa Sanpaolo e Confagricoltura per supportare il sistema agricolo e agroalimentare italiano. L’accordo è stato sottoscritto da Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura e per Intesa Sanpaolo da Teresio Testa, responsabile della Direzione Sales & Marketing Imprese Banca dei Territori e Andrea Lecce, responsabile della Direzione Sales & Marketing Privati e Aziende Retail Banca dei Territori. L’obiettivo condiviso è quello di accompagnare le aziende su temi come la crescita, il ricambio generazionale, l’aggregazione, l’innovazione, la ricerca di nuovi mercati di sbocco, in Italia e all’estero. Il Gruppo Intesa San Paolo metterà a disposizione degli associati una struttura dedicata di supporto e consulenza, costituita da specialisti operanti su tutto il territorio nazionale in grado di accompagnarli nei loro progetti, così come nelle procedure di accesso ai fondi PSR (Programmi di sviluppo rurale) e alla contribuzione PAC (Politica agricola comune) e avvierà un percorso per semplificare le procedure di accesso al credito.
Tra i tanti punti di attenzione dell’accordo, quello sul welfare aziendale conferma la sensibilità sviluppata da Intesa San Paolo – sia all’interno della propria organizzazione, sia nello sviluppo di una piattaforma da due anni disponibile alle aziende clienti – e da Confagricoltura, che da quattro anni partecipa alla rilevazione annuale Welfare Index Pmi, per monitorare lo sviluppo dei piani di welfare nelle piccole e medie imprese italiane. Oltre alla promozione del welfare aziendale, l’accordo tra Gruppo Intesa San Paolo e Confagricoltura riguarda la valorizzazione delle filiere produttive e le reti d’impresa; il supporto alla propensione all’export e all’internazionalizzazione delle diverse filiere agroalimentari, a cominciare dal settore vitivinicolo; l’accompagnamento delle imprese nei processi di innovazione e miglioramento tecnologico; il sostegno dell’e-commerce, mettendo a disposizione un portale che promuove le eccellenze del made in Italy; il supporto alla formazione attraverso una innovativa piattaforma di e-learning (Skills4Agri) dedicata agli associati.
Nell’ambito dell’accordo, con la prospettiva di intensificare anche i rapporti a livello territoriale, Confagricoltura e Intesa Sanpaolo hanno convenuto sulla necessità di istituire un “Tavolo di confronto”, che pianifichi incontri, attività, iniziative, coinvolgendo nei rispettivi piani operativi, le rispettive articolazioni territoriali e agenzie locali. “Il tema dell’accesso al credito rappresenta, in uno scenario sempre più concorrenziale e globalizzato, uno degli elementi di maggiore preoccupazione per il tessuto produttivo agricolo italiano – ha evidenziato il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti -. In questa ottica il nuovo accordo intende non solo sviluppare nuovi business per le nostre imprese agricole, ma anche migliorare la gestione aziendale e rafforzare la loro capacità di difendere la posizione acquisita sul mercato”.
“Il nostro gruppo intende accompagnare lo sviluppo e l’innovazione delle imprese e delle filiere del settore agroalimentare consapevole che rappresenti una delle principali potenzialità del Paese – ha sottolineato Andrea Lecce, responsabile della Direzione Sales & Marketing Privati e Aziende Retail di Intesa San Paolo -. Con questo accordo intendiamo mettere a disposizione una struttura specialistica appositamente dedicata e supportare, anche attraverso la formazione, il capitale umano e il ricambio generazionale”.
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BENEFICY, UNA NUOVA PIATTAFORMA PER IL WELFARE AZIENDALE
Nel mondo delle piattaforme online di welfare aziendale, ha da poco fatto il suo ingresso Beneficy, piattaforma in cloud tramite cui i lavoratori dipendenti hanno accesso a un marketplace dove poter scegliere beni e servizi in base alle proprie esigenze utilizzando il credito messo loro a disposizione dal datore di lavoro. Beneficy è stata presentata lo scorsa settimana in occasione di Code4Future 2019, prima edizione del festival dell’innovazione applicata al mondo delle imprese.
Le aziende, non solo quelle più grandi ma anche le PMI, si stanno gradualmente aprendo a questo tipo di retribuzione, a seguito soprattutto dei vantaggi derivanti dalla legge di stabilità 2016 e dalla legge di bilancio 2017 che hanno potenziato le agevolazioni fiscali per servizi e prestazioni di welfare aziendale ai dipendenti (asili nido, buoni pasto, assistenza integrativa). Rispetto a quella in denaro infatti, questo tipo di retribuzione comporta un risparmio, sia per il datore di lavoro che per i dipendenti, pari a circa il 40%.
Beneficy è la piattaforma che: rafforza il brand dell’azienda puntando sulla soddisfazione dei dipendenti; aiuta a migliorare il work-life balance incrementando la produttività e riducendo l’assenteismo; è una piattaforma di welfare aziendale in cloud fruibuile al 100% in modalità Software-as-a-Service. A seguito dell’iscrizione e in pochi minuti il piano di welfare è già attivo; è personalizzabile.
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JOINTLY FRAGIBILITÀ, IL WELFARE CHE SOSTIENE LAVORATORI CAREGIVER
Secondo l’indagine condotta da Jointly, insieme con il Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano, su un campione di 30.000 lavoratori di aziende italiane medio grandi, risulta che 1 dipendente su 3 si fa carico della cura di un familiare anziano o non autosufficiente e nel 77% dei casi il lavoro di cura lo occupa spesso o quotidianamente diventando praticamente un secondo lavoro. Il 25% deve gestire, contemporaneamente al familiare non autosufficiente, anche figli piccoli o adolescenti.
In particolare il fenomeno dei lavoratori che si occupano di familiari non autosufficienti:
Non riguarda solo le donne. È vero che anche nel caso del famigliare anziano, il carico di cura tende più frequentemente a cadere sulla componente femminile del nucleo famigliare (che spesso rischia di uscire dal mercato del lavoro per assolvere a tali necessità), ma è altresì vero che rileviamo un’incidenza più importante di uomini che si attivano, anche in solido, per assolvere queste necessità di cura del famigliare.
Può capitare a tutte le età. Se le politiche a sostegno della neo-genitorialità impattano mediamente un target ben definito (30-40 anni) e in un momento chiaro del percorso lavorativo, la necessità di assumere la cura di un familiare è distribuita in modo più uniforme sulle diverse fasce di età presenti nelle aziende.
Si tratta di uno status con durata indefinita. Mentre nel caso di un neo genitore è possibile identificare delle fasi con un inizio e una fine precisi, a cui si associano specifiche esigenza legate alla crescita e gestione di un figlio, nel caso di un lavoratore caregiver è molto più complesso: spesso la perdita di autonomia del famigliare è lenta e progressiva e anche il bisogno di assistenza evolve secondo uno schema non definito.
Il carico di cura può dover essere gestito a distanza. La mobilità territoriale della forza lavoro fa sì che spesso la persona da assistere non si trova a vivere nello stesso luogo del famigliare che se ne deve prendere cura. Ciò determina non solo un aggravio della complessità organizzativa, ma determina anche l’insufficienza delle politiche di flessibilità degli orari come soluzione unica al problema.
L’impatto di questi fattori sul costo per le aziende è importante in termini di:
assenteismo: in media chi beneficia della legge 104 si assenta 15 giorni in più all’anno (Osservatorio Jointly)
uscita anticipata dal mondo del lavoro: nel 15% della famiglia si valuta l’uscita di uno dei due familiari per far fronte ai carichi di cura (Censis)
rischio di burnout legato a maggiore stress, preoccupazione e fatica emotiva.
Sostenere un dipendente caregiver ha ricadute positive da più punti di vista: favorisce il worklife balance, riduce lo stress del lavoratore diminuendo i permessi, è utile all’azienda perché sa negoziare, sa gestire il tempo ed è multitasking.
Nello specifico Jointly Fragibilità è un insieme di strumenti che prevede: un consulente qualificato che ascolta, risponde e orienta il lavoratore, fornendogli un aiuto mirato sul suo bisogno e su quello del suo familiare;
un’ampia rete di servizi socio assistenziali, diffusi in tutta Italia; un portale web che facilita l’accesso ai servizi della rete, consentendo l’acquisto direttamente on line e la possibilità per l’azienda di partecipare con un contributo welfare finalizzato.
IL CONSULENTE FRAGIBILITÀ
Lo sportello di consulenza telefonica, gestito da operatori sociali qualificati, ha la funzione di intercettare le richieste dei dipendenti caregiver e orientarli grazie alla strutturazione di un piano assistenziale personalizzato che propone la migliore soluzione per affrontare le esigenze di cura del famigliare.
Il servizio di consulenza svolge un triplo livello di supporto:
quello dell’ascolto e presa a carico delle necessità del dipendente; quello informativo e di orientamento; quello pratico e organizzativo a supporto diretto dell’attivazione di servizi per la famiglia.
LA RETE DEI SERVIZI FRAGIBILITÀ
Il Consulente Fragibilità opera in sinergia e stretta collaborazione con la rete nazionale dei partner di Jointly Fragibilità che offrono i servizi socio assistenziali su tutto il territorio nazionale e che garantiscono:
Qualità e professionalità: i partner sono stati selezionati in tutta Italia secondo standard di accreditamento puntuali e differenziati per tipologia di servizio, con l’obiettivo di garantire elevati e omogenei livelli di servizio in tutto il territorio;
(ITALPRESS) – (SEGUE).
Facilità di accesso e semplificazione: tutti i servizi disponibili all’interno della rete di partner sono stati digitalizzati in modo da essere consultabili, attivabili e pagabili direttamente online (con carta di credito o contributi finalizzati messi a disposizione dall’azienda)
Nello specifico la rete Fragibilità comprende servizi a copertura di diverse aree di bisogno
ASSISTENZA AL FAMILIARE IN CASA: ricerca e selezione badante, trasposto e ausili, professionisti a domicilio (assistente domiciliare, infermiere, fisioterapista, logopedista, educatore)
ASSISTENZA AL FAMILIARE FUORI CASA: strutture residenziali (RSA), centri diurni, soggiorni climatici
INFORMAZIONE E SUPPORTO AL CAREGIVER: Informazioni su aiuti economici, supporto legale e amministrazione di sostegno, supporto psicologico, mediazione familiare, gruppi mutuo aiuto, formazione.
(ITALPRESS/WEWELFARE.IT)
IL PESO DELLE PENSIONI NEGLI SCENARI FUTURI
Nel 2018, il rapporto occupati/pensionati si e’ attestato sull’1,45, valore molto prossimo a quell’1,5 individuabile come traguardo cui tendere per la stabilita’ di medio-lungo termine del sistema. Malgrado i segnali di miglioramento, non mancano pero’ da parte degli organismi internazionali i richiami nei confronti dei conti pubblici italiani, su cui gravano anche alcuni limiti dei modelli previsionali adottati e, in particolare, la mancata riclassificazione della spesa pensionistica. Demografia, occupazione e crescita economica le variabili individuate dall’Osservatorio come quelle su cui agire per garantire all’Italia, e al suo sistema pensionistico, uno sviluppo alternativo agli scenari piu’ pessimistici. Nel 2018 l’Italia ha gia’ fatto segnare uno dei tassi di occupazione piu’ alti di sempre: resta pero’ ancora da mobilitare, attraverso investimenti volti a rilanciare la produttivita’ e un’adeguata valorizzazione del capitale umano (conciliazione vita-lavoro, age management e formazione continua), una “riserva inutilizzata” di lavoratori disoccupati o inoccupati, in prevalenza giovani, donne e over 55. Dalla meta’ del 2014 fino alla prima parte del 2018, l’Italia ha vissuto una fase di crescita positiva evidenziata sia da buoni dati sul fronte dell’occupazione, che ha toccato uno dei tassi piu’ elevati di sempre (il 58,7%, con circa 23,223 milioni di occupati tra i 15 e i 64 anni), sia da segnali positivi per quanto riguarda la tenuta del sistema pensionistico. Nel 2018, il rapporto occupati/pensionati si e’ infatti attestato intorno all’1,45, valore piu’ alto degli ultimi 22 anni e molto prossimo a quell’1,5 occupati individuabile come traguardo cui tendere per la stabilita’ di medio-lungo termine del sistema. Eppure, malgrado risultati apprezzabili dopo gli anni della crisi, non sono mancati allarmi (anche recenti) sui conti pubblici italiani da parte di Unione Europea, Fondo Monetario Internazionale e Ocse. Richiami che, se si possono considerare comprensibili nel caso di una spesa assistenziale fuori controllo – 116 i miliardi stimati a carico della fiscalita’ generale per la spesa sociale nel solo 2018 – e di un eccessivo debito pubblico – nel 2018, per i soli interessi sul debito sono stati “spesi” 62,536 miliardi -, non sono invece giustificabili nel caso della spesa pensionistica “pura” che, al netto dei trasferimenti monetari di natura assistenziale, ha fatto segnare nell’ultimo quinquennio un incremento annuale dello 0,7%, uno dei piu’ bassi dalla meta’ degli anni Novanta in poi. Un futuro gia’ scritto o che lascia la strada a un’ipotesi di sviluppo alternativa? Questa la domanda da cui trae le premesse l’Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate Sostenibilita’ della spesa per pensioni in un’ipotesi alternativa di sviluppo, redatto da Alberto Brambilla, Gianni Geroldi, Claudio Negro, Paolo Onofri e Alessandro Rosina per il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali. L’Osservatorio considera che gli scenari per gli anni a venire sono per solo in parte gia’ definiti, lasciando dunque spiragli per un migliore sviluppo dell’Italia attraverso interventi che sappiano combinare evoluzione demografica, ripresa del mercato del lavoro, rilancio della produttivita’ e dell’economia. Se e’ infatti ad esempio vero che, secondo le ultime previsioni, l’Italia e’ destinata a una crescita della quota anziana a fronte di una riduzione della popolazione complessiva, lo e’ altrettanto che adeguate politiche familiari e di conciliazione vita-lavoro per favorire l’aumento della natalita’, da un lato, e una gestione dei flussi migratori coerente con le esigenze economico-occupazionali del Paese, dall’altro, potrebbero contrastare le piu’ pessimistiche prospettive di “declino demografico”. Secondo il Centro Studi e Ricerche, occorrerebbe dunque intervenire sul sistema degli incentivi all’occupazione privilegiando, sul modello di quanto gia’ fatto per Industria 4.0, il maxi-ammortamento del costo del lavoro alla decontribuzione, che spesso finanzia attivita’ di comodo o decotte creando occupazione instabile, e promovendo investimenti pubblici e privati in ricerca e innovazione soprattutto nelle scienze biomediche, nella farmaceutica, nell’ICT.
(ITALPRESS).
CIDA E ADAPT, UN OSSERVATORIO PER IL LAVORO CHE CAMBIA
La partnership ha l’obiettivo di analizzare le varie esperienze a livello territoriale e tradurle in proposte concrete, normative e contrattuali, prendendo in considerazione le trasformazioni in atto nel mondo del lavoro viste dai manager, per capire come i dirigenti interpretano il cambiamento e quale atteggiamento adottano per fronteggiarlo. Il nuovo strumento di analisi è stato annunciato in occasione del Global outlook conference redatto da Oxford Economics e presentato ieri a Roma, e si inserisce in un contesto reso più problematico dalle incertezze diffuse a livello macroeconomico, come indicato all’outlook. “L’economia globale ha rallentato la crescita così come quella europea”, ha detto Emilio Rossi, senior advisor di Oxford Economics illustrando il rapporto del prestigioso centro studi. “Gli scambi commerciali risentono della guerra tariffaria tra USA e Cina mentre in Europa le problematiche derivanti dalla frenata del settore auto tedesco e dalla Brexit fanno sentire il loro peso. Con questo quadro esterno è probabile che l’economia italiana mantenga l’attuale profilo di stagnazione anche nel 2020 e che non sia in grado di migliorare né la produttività, né i livelli occupazionali”.
E di occupazione ha parlato Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione Adapt: “La trasformazione del mercato del lavoro ha subito un’accelerazione causata da quattro fattori: la tecnologia, la demografia, l’ambiente, la globalizzazione. Ognuno dei quali ha importanti conseguenze sul lavoro, sulla sua organizzazione, sulla sopravvivenza di mansioni note e sullo sviluppo di nuove. Agendo contemporaneamente – ha spiegato – questi fattori determinano una situazione nuova per il lavoro organizzato, spesso critica, che richiede nuovi strumenti di analisi e di intervento. In questo contesto nasce l’Osservatorio, per capire come, a livello territoriale, i manager facciano fronte al cambiamento, come lo gestiscano all’interno delle aziende, come lo riescano a mediare con gli altri dipendenti. È dal confronto con queste esperienze che Cida e Adapt intendono ricavare gli elementi utili a elaborare uno strumento inedito, ma indispensabile per chi voglia capire come sta cambiando il mondo del lavoro. Un ‘Osservatorio’, appunto, che recependo dal basso le esperienze concrete, le trasformi in analisi complete e in proposte utili per il legislatore e per le piattaforme contrattuali”.
(ITALPRESS/WEWELFARE.IT).
LUCA PESENTI E IL BIG BANG DEL WELFARE AZIENDALE
Il Big Bang del welfare aziendale è avvenuto nel 2016. Oggi dopo tre anni dalla Legge di Bilancio che ha cambiato il mondo (e la fiscalità del settore) la rivoluzione del mercato è in pieno svolgimento. Luca Pesenti è stato tra i primi ad analizzare lo sviluppo del welfare aziendale in Italia. Professore Associato di Sociologia generale nella Facoltà di Scienze Politiche e sociali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha scritto Il welfare in azienda (Vita e Pensiero), che sarà disponibile in libreria dalla prossima settimana. Con Pesenti ne abbiamo anticipato alcuni contenuti.
Una seconda edizione del volume del 2016. Ma totalmente rinnovata.
Per forza. In tre anni è cambiato tutto. E molto cambierà ancora. In questi tre anni ho avuto l’opportunità di guardare a questo mondo da vicino, come ricercatore e come consulente. Ho provato a fare una sintesi.
Il dato più eclatante di questo periodo esplosivo, dopo quello che lei ha definito il Big Bang del 2016?
A conti fatti, possiamo sostenere che questi tre anni sono stati quelli di un vero e proprio Big Bang del welfare aziendale. La cosa più significativa credo che sia stata la dinamica di crescita del mercato dei provider, cioè di quei soggetti di impresa che sono partner delle aziende nella definizione e nella gestione dei piani di welfare aziendali, che siano contrattati o erogati come liberalità. Ne abbiamo contati 92.
Troppi?
Tanti sicuramente. Sono 92 aziende (ha collaborato alla ricerca Giovanni Scansani) che ne servono meno di 20mila, tante sono le imprese che hanno adottato piani di welfare in Italia. Per un fatturato complessivo che è all’incirca di un miliardo di euro.
Destinato a crescere? Quanto? La ricerca Censis-Eudaimon stima un potenziale di 21 miliardi.
Crescerà sicuramente. La differenza verrà fatta dalle Pmi. Mentre oggi le grandi aziende si dotano tutte di piani di welfare, nelle Pmi l’incidenza è inferiore all’1%. Sappiamo che le Pmi in Italia rappresentano il 95% del totale delle imprese e occupano oltre l’80% dei lavoratori.
Una prateria da percorrere, una nuova frontiera da raggiungere.
Certamente c’è un vento che soffia a favore. Una grande attenzione di popolarità. Nel libro segnalo che questo vero e proprio boom di popolarità, ha portato a metà del 2019 a visualizzare oltre 750mila siti contenenti questo termine: welfare aziendale. E poi c’è stata quasi una benedizione. L’apice di questo picco di interesse è probabilmente arrivato il 7 settembre 2018, giorno in cui sul «Sole 24 Ore» apparve una lunga intervista a papa Francesco in cui (tra le molte cose dette) indicava proprio il welfare aziendale come uno dei modi per perseguire uno sviluppo integrale capace di rimettere al centro la persona e la famiglia.
Attenzione crescente perché il welfare pubblico è calante?
Sì e no. Le risorse impegnate pubblicamente nei sistemi di protezione sociale sono state in costante aumento. Nel libro ricordo alcuni dati. La spesa sociale in Italia è cresciuta costantemente negli ultimi vent’anni, passando da circa 200 miliardi di lire nel 1995 a quasi 99 miliardi di euro nel 2016. Si tratta di una crescita di oltre 6 punti percentuali se rapportata al PIL, un aumento molto robusto se si pensa che nello stesso lasso di tempo nei 15 Paesi originari della UE il peso della spesa sociale sul PIL è cresciuto di meno di 2,5 punti. Nel 2016, dunque, la spesa sociale in Italia era pari al 29,7% del PIL, contro il 23,3% del 1995. Non è per altro sostenibile neppure la tesi di una crescente tensione sulla spesa sociale a partire dal 2007-2008, come conseguenza delle politiche di austerity susseguitesi alla crisi economica.
E allora perché l’esplosione del welfare aziendale? C’è un quadro macro che sta cambiando: crisi demografica, nuove esigenze di assistenza sanitaria, anche a lungo termine, il mutamento delle famiglie e del loro ruolo…
Tutto vero. Il ruolo della famiglia ha generato un welfare particolare, che è destinato a essere integrato e modificato. Sempre nel libro ricordo che secondo le stime di MBS Consulting, oltre alla spesa out-of-pocket sanitaria, le famiglie italiane spendono infatti quasi 48 miliardi di euro per servizi di assistenza e cura, 10 miliardi per la scuola, 8 miliardi per previdenza e protezione sociale. In tutto, oltre 100 miliardi dunque, pari a 1/5 circa della spesa pubblica.
Torniamo alle aziende…
In verità sappiamo ancora abbastanza poco di quel che sta accadendo nella realtà delle aziende italiane, e quel poco che sappiamo rappresenta solo una parte (seppur rilevante) di quello che si può immaginare essere accaduto, perché non riesce a contabilizzare la componente di welfare unilaterale e volontario messo in campo dalle imprese.
Eppure c’è chi, come Tiziano Treu ha posto un dubbio sulla fiscalità generale che paga lo sviluppo del welfare e sulla coerenza di alcuni benefit aziendali. Nel suo libro lei ha citato le dichiarazioni fatte dal presidente del Cnel al nostro sito…
Infatti. Così come ho rammentato la replica del presidente di Aiwa, sempre su wewelfare.it, il tema è sensibile. Occorrono beni più solidi nel welfare aziendale, oltre ai flexible benefit. La componente flex è solo una parte aggiuntiva di una policy aziendale che deve essere più ampia e articolata. Vedremo ancora molti cambiamenti.
Il mercato dei provider è destinato a cambiare. Nel suo libro cita l’acquisizione di Easy Welfare da parte di Edenred così come quella di DoubleYou da parte di Zucchetti. In questi giorni Zucchetti ha acquisito anche Amilon.
Ritengo improbabile immaginare di assistere ad una ‘reazione a catena’ di ripetute acquisizioni. Non dovremmo dunque assistere solo ad una diffusa ‘razionalizzazione’ del mercato, che con ogni probabilità, stante anche i numeri che abbiamo indicato, resterà sufficientemente ampio e plurale pur in presenza di un numero molto limitato di big player. Più probabile la possibilità che i principali ‘reseller’ decidano di mettere a frutto l’esperienza maturata nel corso delle partnership a tutt’oggi attive passando dalla posizione attendista del rivenditore di portali di terzi a quella protagonista di un vero e proprio player del settore. Investendo su una propria infrastruttura o acquistando un provider ‘puro’ già attivo.
Una ultima questione, anzi due. Nel suo libro si pone la questione del Terzo settore e quella dello sviluppo ancora claudicante del welfare territoriale.
Beh, il Terzo settore è destinato ad assumere un ruolo importante. Cito il caso di CGM. Di certo la cultura del Terzo settore può introdurre qualcosa di più e di nuovo oltre al semplice approccio commerciale dei maggiori provider. Può avvenire un salto di qualità.
E sul territorio?
Il welfare nelle aziende ha ormai assunto dimensioni quantitativamente rilevanti e una maturità sistemica sufficientemente robusta. Invece lo sviluppo delle forme di welfare aziendale territoriale è più lento, anche se da tempo sono segnalate come una delle possibili risposte alla tiepida accoglienza che le PMI hanno dimostrato nei confronti di questi temi. Abbiamo iniziato a documentare l’esistenza di queste embrionali dinamiche di territorializzazione, in una ricerca da noi effettuata nell’ambito di un’indagine sugli elementi di innovazione del sistema di welfare italiano, mostrando la crescita di interesse da parte di soggetti come le istituzioni pubbliche locali e le associazioni di rappresentanza datoriale nazionali e territoriali, in collaborazione con alcuni provider. Qualcosa sta accadendo.
(ITALPRESS/WEWELFARE.IT).









