TORINO (ITALPRESS) – Palazzo Madama a Torino, dal 7 ottobre 2021 al 9 gennaio 2022, e il Museo Diocesano di Susa, fino al 7 novembre 2021, presentano insieme la mostra Il Rinascimento europeo di Antoine de Lonhy.
L’esposizione, curata da Simone Baiocco e Simonetta Castronovo per la sezione di Torino e da Vittorio Natale per la sezione di Susa, punta a ricomporre la figura di Antoine de Lonhy, un artista poliedrico – era pittore, miniatore, maestro di vetrate, scultore e autore di disegni per ricami – che ebbe un impatto straordinariamente importante per il rinnovamento del panorama figurativo del territorio dell’attuale Piemonte nella seconda metà del Quattrocento. Venuto a contatto con la cultura fiamminga, mediterranea e savoiarda, fu portatore di una concezione europea del Rinascimento, caratterizzata dalla capacità di sintesi di diversi linguaggi figurativi.
Lonhy visse e lavorò in tre paesi diversi. Originario di Autun, in Borgogna, si formò sui testi della pittura fiamminga, tra Jan van Eyck e Rogier van der Weyden. Prima del 1450 era già in contatto con uno dei più straordinari mecenati di ogni tempo, il cancelliere del duca di Borgogna Nicolas Rolin, per il quale eseguì delle vetrate istoriate, purtroppo perdute. Si conoscono poi tutte le tappe del suo percorso attraverso l’Europa: a Tolosa, in Francia meridionale, dove realizzò almeno un ciclo di affreschi e decorò diversi codici liturgici e statuti cittadini; a Barcellona, in Catalogna, dove ancora sopravvive uno dei suoi capolavori: la grande vetrata per la chiesa di Santa Maria del Mar; infine nel ducato di Savoia, dove lavorò per la corte e per numerose chiese e monasteri del territorio e dove si spense, probabilmente, prima della fine del secolo. Il trasferimento di Lonhy dalla Spagna ad Avigliana – dove è documentato dal 1462 – si deve a diversi fattori, come la presenza in questo centro di un castello dei duchi di Savoia e la vicinanza con le prestigiose abbazie di Novalesa e Ranverso, poste sulla Via Francigena, una delle principali arterie di comunicazione già dal Medioevo, da cui passavano cavalieri, ecclesiastici e mercanti di mezza Europa, e quindi un luogo promettente per un artista alla ricerca di nuovi incarichi.
Il percorso espositivo della mostra, articolato su due sedi, Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica di Torino e il Museo Diocesano di Susa, vuole mettere in evidenza i viaggi, gli spostamenti e la carriera itinerante attraverso l’Europa di un artista che nelle sue opere riunì insieme elementi e influssi dalla Borgogna, dalla Provenza, dalla Catalogna e dalla Savoia. A Torino viene presentata una vera e propria antologia della produzione dell’artista, in pittura e miniatura, con i necessari richiami alla cultura franco-fiamminga che sta alla base del suo percorso; a Susa le opere di Lonhy sono messe a confronto con un tessuto regionale – tra Valle di Susa e Valle d’Aosta – che mostra la sua grande influenza sull’arte dei suoi contemporanei.
L’esposizione torinese inizia raccontando la “scoperta” di Antoine de Lonhy: come spesso avviene nel campo della storia dell’arte, alla conoscenza di questo artista del Quattrocento si è arrivati per gradi. Per lungo tempo gli studiosi avevano raccolto alcuni dipinti sotto il nome convenzionale di “Maestro della Trinità di Torino”, prendendo spunto proprio da uno dei suoi massimi capolavori, che è nelle collezioni civiche torinesi. D’altro canto, nell’ambito dello studio dei codici miniati, si era identificato, invece, un “Maestro delle Ore di Saluzzo”, a partire dal meraviglioso manoscritto, che è uno dei prestiti più importanti concessi per la mostra dalla British Library di Londra. In seguito si è poi compreso che dietro questi nomi convenzionali si celava un’unica personalità, il cui vero nome è stato svelato grazie allo studio dei documenti.
Si descrive poi l’attività dell’artista nelle tappe del suo itinerario: un giovanile codice miniato di proprietà delle collezioni torinesi dà un esempio per la produzione nel ducato di Borgogna, mentre per Tolosa l’elemento di maggiore curiosità è legato ai frammenti di affresco provenienti dalla chiesa di Notre-Dame de la Dalbade, datati 1454. Altrettanto importante è il prestito del polittico destinato al monastero della Domus Dei di Miralles, vicino a Barcellona, esposto insieme ad altri due pannelli che in origine erano parte dello stesso complesso.
La sezione più estesa prende in esame l’attività svolta dall’artista negli anni della sua permanenza nel Ducato di Savoia. Come si è detto, i documenti parlano di lui ad Avigliana e, tra le primissime opere, c’è una tavola frammentaria ritrovata proprio in una frazione di quella località: un San Francesco oggi alla Galleria Sabauda di Torino. Interessanti novità sono emerse nel corso delle ricerche effettuate per la mostra, che ci aiutano a leggere meglio l’impatto innovativo di Lonhy in rapporto alla corte ducale, ma anche rispetto al territorio: per esempio oggi sappiamo di una sua attività destinata a Chieri, al tempo città ancor più importante di Torino, le cui principali famiglie avevano svolto attività finanziarie in tutta Europa ed erano bene informate sulle migliori novità dell’Ars nova internazionale. La ricostruzione del catalogo “piemontese” di Lonhy, con tavole dipinte e codici miniati, è ora estremamente approfondita e la mostra – che si avvale di prestigiosi prestiti nazionali e internazionali, provenienti da importanti collezioni pubbliche e private – è in grado di proporla integralmente, comprese alcune opere mai esposte al pubblico. Il fascino dei dipinti raccolti in questa occasione aveva conquistato già in passato alcuni collezionisti privati, le cui storie sono sempre affascinanti, pur rimanendo nel “dietro le quinte” della ricerca. Emblematico il caso del senatore Leone Fontana, che nell’Ottocento aveva acquistato la già citata Trinità, inserendola nella sua ricchissima raccolta di opere piemontesi, donata in seguito al museo di Torino; oppure quello di Bob Jones Jr., che a metà del Novecento scelse la Presentazione di Gesù al Tempio per ampliare la pinacoteca dell’università privata fondata dal padre a Greenville (South Carolina). La mostra costituisce, inoltre, l’occasione per riunire gli elementi di un polittico venduto nel 1885, che aveva al centro la Adorazione del Bambino, appartenuta in seguito al collezionista olandese Fritz Mayer van den Bergh e oggi custodita nel museo che porta il suo nome ad Anversa.
Si tratta di un progetto nato nell’ambito del Rèseau europèen des musèes d’art mèdièval, una rete di musei europei fondata nel 2011 da E’lisabeth Taburet-Delahaye, già direttrice del Musèe de Cluny – musèe national du Moyen A’ge di Parigi, per promuovere iniziative espositive comuni, ricerche condivise, convegni e conferenze sul proprio patrimonio artistico. Sponsor della mostra Reale Mutua. Il catalogo, a cura di Simone Baiocco e Vittorio Natale, è edito da Sagep Editori. La pubblicazione è sostenuta da Associazione Amici Fondazione Torino Musei, in memoria del professor Giovanni Romano.
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“Il Rinascimento europeo di Antoine de Lonhy” in mostra a Torino
Apre a Rimini il Fellini Museum
RIMINI (ITALPRESS) – Apre a Rimini il Fellini Museum, polo museale diffuso di nuovissima concezione e il più grande progetto museale dedicato al genio di Federico Fellini. Le sue porte si aprono per uno speciale, lungo, weekend di inaugurazione: oggi (19 agosto) momento inaugurale e spettacolo a partire dalle 20,30 e venerdì 20, sabato 21 e domenica 22 agosto 2021 visite guidate gratuite aperte al pubblico dalle ore 10.00 sino a mezzanotte, già sold-out. Il pubblico, munito di Green Pass, da lunedì 23 agosto potrà accedere al Castel Sismondo regolarmente (orari e biglietti sul sito fellinimuseum.it).
Inserito dal Ministero della Cultura tra i grandi progetti nazionali dei beni culturali, il Fellini Museum è un luogo magico di sintesi artistica: uno spazio che fabbrica emozioni e spettacolo in cui innovazione, ricerca e sperimentazione si misurano con la classicità dell’arte.
Il Fellini Museum non intende interpretare il cinema del regista riminese come opera in sè conclusa, come sacrario o omaggio alla memoria, ma esalta l’eredità culturale di uno dei più illustri registi della storia del cinema, che a Rimini ha avuto i natali nel 1920. Il Fellini Museum è un museo del cinema che mette al centro di tutto l’opera del grande regista, la sua arte, con oltre cinque ore di estratti di film composti in un allestimento immersivo e partecipativo che rende il visitatore protagonista della sua stessa visita. Un repertorio audiovisivo unico, proposto come un percorso nel flusso creativo dell’opera di Fellini, cui si affianca una importante sezione documentale con i disegni di scena originali, gli abiti di Danilo Donati, oggetti e fotografie, i taccuini di Nino Rota. Ma il Fellini Museum è anche un “museo che esce dal museo”, agendo su più fronti e superando i suoi stessi luoghi: accende la macchina dell’immaginazione e riunisce in un unicum concettuale e spaziale, con la Piazza Malatesta, dando vita a un percorso composito di narrazioni partecipate in una esperienza immersiva e diffusa. Il ‘dialogò tra spazi interni ed esterni che caratterizza il Fellini Museum è senza soluzione di continuità, in cui creatività e immaginazione contaminano positivamente Rimini e il suo cammino nel presente e nel futuro, come chiave di accesso al mondo del «tutto si immagina».
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I portici di Bologna diventano patrimonio Unesco
BOLOGNA (ITALPRESS) – I portici di Bologna diventano patrimonio dell’umanità Unesco. A dare la notizia è l’assessore alla Cultura del Comune, Matteo Lepore, condividendo sui social una foto che lo ritrae insieme al sindaco Virginio Merola. ” “#Unesco: i portici di #Bologna patrimonio dell’umanità. E’ ufficiale ragazzi che gioia. I portici di Bologna sono stati nominati patrimonio dell’umanità dell’Unesco”, scrive ringraziando la vicesindaca Valentina Orioli e Federica Legnani, responsabile Valorizzazione del paesaggio urbano storico e dei portici, che “si sono battute per noi tutti!!!”. “E bravo Virginio te lo meriti. Grazie del supporto al Ministero della Cultura e al Ministro Dario Franceschini. A tutte le realtà che ci hanno aiutato è supportato. E adesso si festeggia. Un abbraccio particolare ai cittadini della Barca. Ci siete anche voi dentro, con il vostro Treno”, conclude.
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Nuova App Fondazione Torino Musei per itinerari e visite
TORINO (ITALPRESS) – La Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino ha realizzato, con il supporto tecnico del Socio Reply, la nuova APP per la Fondazione Torino Musei, offerta gratuitamente al pubblico e finalizzata a favorire la fruibilità dei musei per le diverse tipologie di visitatori, oltre che aumentare l’attrattività culturale e turistica del territorio. La nuova APP mobile della Fondazione Torino Musei è scaricabile gratuitamente sui dispositivi iOS e Android. Questo nuovo strumento fornirà diversi contenuti multimediali relativi ai tre musei: Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica, GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea e MAO Museo d’Arte Orientale, con lo scopo di creare nuovi itinerari di visita per il pubblico, che saranno in parte fruibili anche da casa con il proprio smartphone. Si parte il 25 giugno con Palazzo Madama, e in futuro il progetto sarà sviluppato anche per MAO e GAM.
Si potrà scegliere tra tre itinerari a Palazzo Madama: Alla scoperta del Palazzo, Itinerario breve e Avventure al Castello.
L’itinerario architettonico permette di esplorare le complesse trasformazioni dell’edificio avvenute nel corso di duemila anni, dall’epoca romana ai giorni nostri, grazie a diciassette punti di interesse dislocati in diversi ambienti del palazzo: oltre a suggestive ricostruzioni virtuali delle diverse epoche, i visitatori viaggeranno lungo la storia e avranno a disposizione contenuti testuali, visivi e collegamenti esterni che consentiranno un ulteriore approfondimento. L’App fornisce una mappa per facilitare l’orientamento in un edificio storico complesso: tale supporto di esplorazione si rivela molto utile per quei visitatori che sceglieranno il percorso breve, una selezione di momenti fondamentali e imperdibili nella storia dell’edificio e della città. Avventure al Castello è l’itinerario dedicato a bambine e bambini, che potranno percorrere nove tappe in compagnia di un simpatico e colorato pappagallo che li accompagnerà alla scoperta di una selezione di capolavori del museo e di alcuni degli ambienti più suggestivi del palazzo.
L’uso della tecnologia beacon, applicata ai beni culturali, consente una conoscenza approfondita degli stessi e arricchisce la visita con una nuova dimensione che rinnova il concetto di museo, non più inteso soltanto come spazio fisico espositivo.
Tutti i contenuti multimediali, dedicati all’area del museo in cui il visitatore si trova, sono attivati automaticamente dai dispositivi beacon collocati all’interno delle sale, attraverso un segnale bluetooth percepito dal visitatore con feedback aptico. I contenuti, realizzati come clip video, sono tutti accompagnati da sottotitoli con font ad alta leggibilità e speakeraggio, garantendo l’accessibilità nel suo significato più ampio e dotando il museo di uno strumento che permette di facilitare la visita e agevolare l’apprendimento dei temi trattati.
“L’impegno della Consulta per la Fondazione Torino Musei – dichiara Giorgio Marsiaj, Presidente della Consulta – è iniziato oltre dieci anni fa. Diverse le iniziative realizzate: mostre, valorizzazioni e progetti didattici. Quello inaugurato oggi è un nuovo, significativo, step, fortemente orientato all’innovazione culturale e tecnologica. Le aziende socie investono sul futuro della città. Ci prendiamo cura dell’eredità storica e culturale del territorio rendendola fruibile attraverso nuove modalità e dunque sempre attuale e viva”.
“La Fondazione Torino Musei è felice di poter dare il benvenuto ai suoi visitatori a Palazzo Madama attraverso la nuova App – dichiara Maurizio Cibrario, Presidente della Fondazione Torino Musei – Questa applicazione accompagnerà il pubblico in una visita coinvolgente e interattiva, attraverso tre diversi itinerari, alla scoperta di oltre 2000 anni di storia. La collaborazione con La Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, grazie alla quale è stata realizzata l’App, ci consentirà di poter sviluppare il progetto includendo anche il MAO e la GAM”.
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A Roma la mostra “La scuola di piazza del Popolo. Pop o non pop?”
ROMA (ITALPRESS) – Sospesa fra storia e leggenda, la “Scuola di piazza del Popolo” non fu un gruppo coeso: gran parte dei suoi “esponenti” erano talmente e fortunatamente indisciplinati ed irregolari da mal tollerare per costituzione mentale l’idea stessa di “scuola”, da tutti i punti di vista. Eppure questa definizione di gruppo funziona a meraviglia, tanto più oggi, nella civiltà dello slogan e del tweet rapido e sintetico. E senza dubbio, in quei magici anni sessanta, a Roma il centro era Piazza del Popolo, con il caffè Rosati, dove “non si poteva fare a meno di andare” (per dirla con Cesare Vivaldi) e con l’elettrizzante presenza, dal 1963 al 1968, della Galleria La Tartaruga di Plinio de Martiis, proprio sopra Rosati.
Tutto accadeva fra la Piazza e il cosiddetto “Tridente”, nella zona concentrata attorno via del Babuino, via del Corso e via Ripetta, con una “quarta punta” costituita da via Margutta dove si tiene questa sintetica ma intensa mostra intitolata “La Scuola di piazza del Popolo. Pop o non Pop?”, presentata da monogramma arte contemporanea, curata da Gabriele Simongini, con il coordinamento organizzativo di Giovanni Morabito e dell’Associazione med’eventi. La mostra è promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, presieduta da Emmanuele Francesco Maria Emanuele, e realizzata con il contributo della Fondazione Cultura e Arte.
Gli artisti rappresentati, con opere degli anni sessanta, sono Franco Angeli, Mario Ceroli, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Jannis Kounellis, Sergio Lombardo, Francesco Lo Savio, Renato Mambor, Pino Pascali, Mimmo Rotella, Mario Schifano e Cesare Tacchi.
Come dice il titolo stesso dell’esposizione, costruita per exempla, è giusto tornare ad interrogarsi sul contributo innovativo portato da questi artisti al contesto internazionale, con una forte originalità che anticipa perfino alcuni esiti della Pop americana ma che ha un’identità talmente spiccata da non essere riducibile, se non col rischio di una pericolosa semplificazione, alla definizione schematica di Pop all’italiana. Il centro storico così denso di incontri ed eventi creativi, tanto da fare di Roma una capitale dell’arte internazionale, e una certa peculiarità della stessa Scuola di piazza del Popolo dovevano molto a Cinecittà, al sogno del cinema che veniva da una periferia al centro del mondo, per dirla con un ossimoro. Se gli U.S.A. avevano Hollywood e la Pop Art noi avevamo, senza essere da meno, Cinecittà e la Scuola di piazza del Popolo.
Emmanuele Emanuele, Presidente della Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, afferma: “Artisti come Schifano, Angeli, Festa, Mambor – che ebbi modo di frequentare personalmente all’epoca – rivoluzionarono indubbiamente il panorama dell’arte visiva, rifiutando la loro presunta filiazione alla Pop Art americana, che guardavano come ad un puro arricchimento culturale, perchè preferivano in realtà ispirarsi all’unicità e alla secolarità della monumentale arte italiana, passando per il Futurismo e la Metafisica. Furono anche assai influenzati dall’industria del cinema, che in quegli anni d’oro faceva da traino all’economia locale, grazie alle imponenti produzioni girate a Cinecittà e a cui si deve anche la nascita della cosiddetta “Dolce Vita” romana. Le sperimentazioni e l’innovazione di cui gli artisti di Piazza del Popolo si fecero portatori, senza averne allora reale consapevolezza, hanno rappresentato una svolta culturale non soltanto italiana e segnato indelebilmente un’epoca, facendo sì che io, onestamente, non abbia rinvenuto nei tempi successivi tracce di progenie”. Come scrive Gabriele Simongini, “un altro luogo comune che va sfatato è quello di una “Scuola di piazza del Popolo” felice e gioiosa sic et simpliciter. E’ invece spesso evidente una costante inquietudine che riflette anche la condizione ansiosa e il ruolo dell’artista nella nuova società dei consumi, l’artista che non può accettare di diventare passivamente un produttore seriale. E in più promana da molte opere una profonda vena malinconica che non assume mai le sembianze del sentimentalismo ma che anzi si configura sempre in modi netti, perentori, duri. Del resto, quegli anni furono pure anni di angosce, di disperazione e di morte”.
In occasione della mostra, per rievocare quegli anni elettrizzanti e per un rilancio di via Margutta che ha una storia lunga cinque secoli popolata da un mondo cosmopolita di artisti, fotografi, stilisti, musicisti, scrittori, registi ed attori, lungo questa bellissima via verranno eccezionalmente collocati 12 light box, ciascuno dedicato ad un artista rappresentato nell’esposizione.
Verrà pubblicato un libro-catalogo edito da Manfredi che conterrà una testimonianza del Prof. Emanuele, i testi di Giovanni Morabito e Giancarlo Carpi, un saggio di Gabriele Simongini, gli scritti (2007) di Giosetta Fioroni, Sergio Lombardo, Renato Mambor, Cesare Tacchi, le biografie degli artisti, le foto delle opere esposte ed alcune foto d’epoca.
L’evento si svolgerà rispettando le disposizioni dell’ultimo DPCM per fronteggiare l’emergenza COVID 19.
Per facilitare l’ingresso contingentato dei partecipanti, è consigliata la prenotazione inviando un’email all’indirizzo della galleria: [email protected] .
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Torino, a una settimana dalla riapertura Museo Egizio fa sold out
TORINO (ITALPRESS) – Nonostante il cattivo tempo della scorsa settimana nella prima finestra di aperture dal 26 aprile al 1 maggio, i musei piemontesi sono stati presi d’assalto: primo fra tutti l’Egizio dove è stato registrato il sold out rispetto alla capienza con oltre 5.309 presenze seguito dalla Gam con 3.015 e la Reggia di Venaria dove dai registri risultano venduti 1.857 biglietti: sempre nello stesso periodo seguono i musei Reali con 1.250 visitatori, Palazzo Madama con 1.477 mentre a Palazzo Chiablese dove è in corso la rassegna Capa in Color le sale hanno ospitato 1.169 persone. Il museo dell’Auto tra prenotazioni online e visite ha venduto 836 tagliandi. “Ho chiesto agli uffici di fare una prima fotografia a sette giorni dalla riapertura – ha spiegato l’assessore alla Cultura, Turismo e Commercio, Vittoria Poggio – e i dati sono confortanti. C’è voglia di tornare a visitare i luoghi delle nostre bellezze, con il pass vaccinale che ci auguriamo arriverà presto possiamo immaginare una stagione nuova in sicurezza e senza chiudere più”. Fuori dai confini torinesi i più gettonati sono stati il Castello di Racconigi con 539 biglietti venduti e l’abbazia di Vezzolano con 538, peraltro nell’unico giorno registrato alla riapertura del 1 maggio.
L’attrattività dei musei piemontesi è confermata anche dal report dell’Osservatorio Culturale del Piemonte pubblicato nei giorni scorsi, relativo al periodo 1-26 febbraio 2021 quando il Piemonte era in zona gialla. Nonostante il contingentamento degli spazi per ragioni di sicurezza e soltanto il 70% dei musei aperti, sono state registrate 70.000 mila presenze distribuite su tutto il sistema museale piemontese. “Sono dati incoraggianti – ha rimarcato l’assessore – che ci spingono a guardare sotto una nuova luce la stagione nella quale stiamo per entrare, e sulla quale confidiamo per recuperare i mesi perduti sapendo di poter disporre di soluzioni digitali complementari per incrementare ancora di più la conoscenza dei nostri Patrimoni culturali”.
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Riaprono gli Uffizi, Schmidt “Segnale di speranza per la cultura”
FIRENZE (ITALPRESS) – “Bentornati agli Uffizi dopo 77 giorni. Una chiusura veramente lunga, come quella che abbiamo visto nella Seconda guerra Mondiale. La crisi non è ancora alle nostre spalle ma abbiamo ancora questo come segnale: l’importanza della cultura e dell’accesso diretto alla cultura”. Con queste parole il direttore delle Gallerie Eike Schmidt ha riaperto il museo della Galleria degli Uffizi, grazie alla nuova disposizione voluta dal ministro della Cultura, Dario Franceschini. “Siamo consapevoli che per il momento siamo aperti fra martedì e venerdì, non ancora nel fine settimana-ha aggiunto il direttore degli Uffizi-. Siamo consapevoli che in questo momento possono venire soltanto i fiorentini ed i toscani, per questo motivo continuiamo con tutta la nostra programmazione intensa sui social media e sul web, con le nostre dirette il martedì ed il venerdì dalle sale, e la conferenza del mercoledì pomeriggio”.
“Paragono la riapertura degli Uffizi – aggiunge – ai concerti che si davano alla National Gallery durante la seconda guerra Mondiale perchè questo è un segno di cultura ed anche di speranza, di presenza della cultura fondamentale per l’identità”.
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Federculture a Franceschini “Riapriamo i musei tutti i giorni”
ROMA (ITALPRESS) – Il presidente di Federculture Andrea Cancellato ha indirizzato una lettera al Ministro Franceschini sulla riapertura dei musei prevista nel nuovo Dpcm firmato dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. “La notizia apparsa nei giorni scorsi della riapertura dei musei – si legge nella lettera- aveva fatto tirare un sospiro di sollievo all’intera compagine delle istituzioni che, a vario titolo, hanno la responsabilità della loro gestione.
Sebbene in un quadro generale di forti limitazioni agli spostamenti, che riduce la platea degli utenti alle aree in cui questi vivono, il poter garantire una continuità dell’offerta di questo servizio è senz’altro un esercizio utile per gli operatori e un sostegno, oltre che culturale anche psicologico e morale, per tutti i cittadini in un momento in cui a prevalere sono gli stimoli depressivi”.
“L’apprendere le modalità in cui è prevista la riapertura – prosegue – ha, al contrario, rappresentato una doccia fredda.
É difficile infatti comprendere quale sia la logica dell’apertura nei soli giorni feriali: se l’esigenza è quella di non sovraccaricare il sistema dei trasporti urbani, si consente una potenziale, pur ridotta, utenza proprio nei giorni di maggiore affollamento dei mezzi pubblici e delle strade.
Legare, inoltre, l’apertura dei musei alla variabile dell’attribuzione di colori alle regioni di appartenenza rende imprevedibile la durata dei periodi apertura e di chiusura, con conseguenze non gestibili sull’organizzazione del personale e delle prenotazioni”.
“L’esperienza fatta nei mesi scorsi – aggiunge – dimostra che le misure adottate e rigidamente attuate nei luoghi della cultura li rende assolutamente sicuri dal punto di vista sanitario e la domanda del pubblico è la dimostrazione di un bisogno reale e costituisce un’evidente strumento di attenuazione dell’impatto dovuto al disagio imposto dalla situazione generale.
Riteniamo di poter esprimere una valutazione unanime della categoria interessata nel chiedere a lei e al governo, sia pure nella particolare e grave contingenza della pandemia, di poter rivedere questa decisione per rendere possibile una meno incerta programmazione delle attività e consentire ai cittadini, nella massima sicurezza, di poter godere almeno di questo ristoro immateriale.
Scindere i criteri di apertura dalla classificazione delle zone, non produrrebbe nessuna incongruenza, dal momento che, comunque, i residenti nelle aree a più alto rischio, sarebbero comunque soggetti alle restrizioni di carattere generale.
Le chiediamo, pertanto, di prendere in seria considerazione tale possibilità, per consentire una prima, pur parziale, ripresa della vita culturale a favore della cittadinanza.
Voglia, con l’occasione, accogliere i nostri migliori saluti e la totale solidarietà a fronte dei gravosi impegni cui deve fare fronte”.
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