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Sottosopra, la sfida dell'”abitare collaborativo”

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“Sottosopra: Abitare Collaborativo” è un progetto che si sviluppa nel quartiere di San Berillo, nel cuore del centro storico catanese, che da decenni vive problemi legati all’abbandono degli immobili e la conseguente diffusione dell’abitare informale da parte di popolazione a rischio esclusione. Il progetto si pone l’obiettivo di contrastare la povertà abitativa e relazionale proponendo un modello innovativo di abitare volto a rendere le persone consapevoli e attive nella creazione del proprio contesto abitativo.
E’ reso possibile dal lavoro in partnership da parte di attori dell’associazionismo che a vario titolo sono coinvolti nell’abito dell’inclusione sociale di soggetti svantaggiati; è sostenuto dalla Fondazione con il Sud nell’ambito del primo Bando Social Housing pubblicato nel 2018.
Sottosopra – abitare collaborativo: già il nome aiuta a comprendere gli obiettivi del progetto. Ne parliamo con Andrea D’Urso responsabile della comunicazione del progetto per Oxfam Italia Intercultura.

Chi sono i promotori del progetto?

“Oxfam Italia Intercultura, cooperativa sociale da anni impegnata in Italia nella promozione dell’interculturalità, ha accettato di coordinare la proposta, anche sulla base della propria esperienza nella gestione di progetti complessi. I partner di progetto sono l’Associazione Trame di Quartiere il cui lavoro di promozione comunitaria e rigenerazione urbana nel quartiere San Berillo è di fondamentale importanza per la riuscita del progetto; la Diaconia Valdese con le attività di orientamento e inclusione lavorativa, il SUNIA attivo nella facilitazione dell’accesso alla casa; Impact Hub che garantisce un prezioso lavoro di monitoraggio e valutazione interna al progetto; il Comune di Catania, attraverso l’assessorato alle politiche sociali e l’Agenzia per la casa che contribuirà all’individuazione di una soluzione abitativa stabile per i beneficiari del progetto. Da ultimo si è aggiunta alla partnership la Cooperativa di Comunità Trame di Quartiere che avrà il fondamentale ruolo di gestire il co-housing e garantire l’implementazione dell”abitare attivo’ dei beneficiari e della gestione della caffetteria sociale che sarà attivata”.

Si tratta di un progetto sociale ambizioso che intende contribuire all’apertura del quartiere alla città ed anche della città al quartiere di san Berillo. Come mai avete scelto questo quartiere? Da chi è attualmente abitato?

“Alcuni soggetti della partnership e in particolare Trame di Quartiere lavorano a San Berillo da quasi 10 anni. È un quartiere che offre alcune peculiarità ma allo stesso tempo è lo specchio di come molte aree urbane periferiche ma geograficamente centrali vivano una condizione di marginalità strutturale dal punto di vista socio-economico. San Berillo in più, ha vissuto il trauma dello sventramento tra il 1950 e il 1960, quando fu in buona parte raso al suolo e ricostruito, causando lo spostamento forzato di circa 30 mila persone. L’area non toccata dallo sventramento ha subito gradualmente un processo di spopolamento e l’abbandono dei palazzi un tempo pieni di vita. Oggi San Berillo rappresenta la ‘città rifugio’ per coloro i quali non trovano posto in altre aree della città. Attualmente è abitata da sex workers, una presenza storica dovuta alla vicinanza con il porto, da famiglie senegalesi che lavorano prevalentemente nel vicino mercato cittadino la Fiera, migranti di origine subsahariana di più recente arrivo, che forse vivono la condizione di maggiore difficoltà poichè occupano gli immobili abbandonati”.

Tanti di loro non hanno neppure la residenza. Che cosa significa non esserne in possesso e come avete risolto il problema?

“Senza la residenza nessuno può accedere ai servizi sociali erogati dal Comune; per i migranti, inoltre, è un problema in fase di rinnovo-conversione del permesso di soggiorno. Nell’avviso appena pubblicato per individuare i futuri beneficiari dell’housing abbiamo tolto il requisito del possesso della residenza a Catania, per poter accedere al progetto. Insieme al Comune si è trovata la procedura per conferire la residenza ai nuovi beneficiari una volta inseriti in appartamento, attraverso la firma di un protocollo di intesa con l’ufficio anagrafe del Comune. Purtroppo, su questo tema, come si vede, c’è molto da lavorare”.

Il vostro impegno non si limita certo al recupero degli edifici, ma andate ben oltre attraverso un ‘recupero sociale’ delle persone che abiteranno in futuro nel quartiere. Quali i punti salienti del progetto?

“Il progetto si è sviluppato a partire da una domanda: cosa significa abitare un luogo? Come partenariato abbiamo inteso il concetto di abitare come processo attivo e collettivo di trasformazione dello spazio attraverso il rafforzamento delle relazioni comunitarie. Il modello proposto tenta di rispondere alla povertà multidimensionale attraverso l’attivazione di servizi di prossimità, la creazione di spazi e di occasioni di incontro e di scambio, e il recupero di una parte dello storico Palazzo De Gaetani. Il progetto nasce dalla necessità di migliorare le condizioni abitative di San Berillo e innescare processi di miglioramento della vita degli abitanti del quartiere favorendo azioni dirette di riqualificazione e rafforzamento delle relazioni con le comunità residenti. Il progetto, tuttavia, vuole combinare azioni a forte impatto sociale con la sostenibilità economica, per tale motivo la Cooperativa di Comunità avvierà e gestirà una caffetteria sociale, che oltre a svolgere le tradizionali funzioni di un bar rappresenterà un nuovo centro di incontro dove convergeranno attività di carattere sociale e culturale per avvicinare la città al quartiere. La sua apertura, Covid permettendo, è prevista per fine marzo 2021”.

Fate rete con altre realtà e/o con le istituzioni e qual è la relazione con queste ultime?

“Lo scorso luglio un gruppo di circa 13 organizzazioni tra associazioni e ONG ha deciso di costituire una rete di servizi all’interno del quartiere. Nel corso del tempo si sono attivati sportelli di orientamento al lavoro, alla casa e uno sportello antitratta e di segretariato sociale. La rete svolge azioni di coordinamento e supporto diretto agli abitanti del quartiere oltre a produrre azioni di advocacy nei confronti degli enti pubblici. Sicuramente il progetto ha dato una forte spinta alla costituzione della rete e oggi si sta provando ad integrare quanto più possibile le azioni che ciascuna organizzazione svolge nel proprio ambito. La presenza del Comune di Catania all’interno del progetto è fondamentale proprio per creare quel collegamento diretto tra beneficiario e servizi sociali soprattutto nell’ambito dell’accesso alla casa”.

A quante persone vi rivolgete?

“Inizialmente i beneficiari diretti saranno 9 persone che soffrono un disagio abitativo comprovato ma allo stesso tempo sono motivate ad intraprendere un percorso di attivazione e impegno per la collettività accompagnati in percorsi di reinserimento sociale ed economico mirate a raggiungere una autonomia abitativa. I beneficiari troveranno ospitalità al primo piano di Palazzo De Gaetani, all’interno di un co-housing che prevede aree comuni e una foresteria in fase di realizzazione”.

Quando avrete terminato le prime ristrutturazioni, come effettuerete la selezione per gli ospiti?

“Il 17 febbraio è stato pubblicato l’avviso per l’individuazione dei beneficiari. Si sta promuovendo l’avviso in maniera mirata attraverso una attività di contatti con le associazioni del territorio oltre a quelli della rete dei servizi. È stato predisposto uno sportello ad hoc curato da Diaconia Valdese e Trame di quartiere per supportare le persone interessate nella compilazione della domanda e avviare i primi colloqui conoscitivi. Inoltre operatori di Trame di Quartiere stanno svolgendo attività di outreach nel quartiere San Berillo per individuare situazioni di disagio cui il progetto può dare risposte. Dalle prime fasi stiamo riscontrando un forte interesse a dimostrazione che il progetto intercetta un reale bisogno”.

La pandemia ha fermato tutto o in parte lo sviluppo del progetto?

“Purtroppo sì, durante il lockdown della scorsa primavera i lavori per la ristrutturazione sono stati interrotti per oltre due mesi provocando un ritardo nella loro conclusione. In generale le misure di contenimento hanno fortemente limitato le azioni volte a costruire relazioni con potenziali beneficiari cosi come le attività di animazione territoriali o eventi pubblici per promuovere il progetto”.

(ITALPRESS).

Un “Circolo Virtuoso” per l’edilizia sociale

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Circolo Virtuoso è un progetto di housing sociale che ha preso il via nel marzo 2019 a Palermo. Come molti altri ha purtroppo subito dei rallentamenti a causa della pandemia, ma questo tempo è comunque servito per rafforzare relazioni e sviluppare i punti salienti. Ce lo illustra Carlo Valenti, responsabile Comunicazione del progetto, al quale chiediamo innanzitutto chi ne siano i promotori e quali siano i punti di forza.

“Il progetto si sviluppa prevalentemente su un’area di circa 3.500 mq nel territorio del Comune di Palermo di proprietà della Cooperativa San Carlo Borromeo da cui prende nome tutto il centro; essa, da diversi anni, gestisce il bene, consegnato in comodato d’uso gratuito dall’anziana dottoressa Passalacqua che negli anni lo ha reso un luogo di aggregazione e ricovero per i senzatetto ed anche per numerosi cani randagi. Nel bene ci sono diverse strutture: il corpo centrale in muratura dove incidono i locali comuni (mensa, chiesa, cucina, locali di supporto e 4 alloggi), diverse case in legno anch’esse adibite all’accoglienza dei senza tetto e una serra utilizzata per la coltivazione di prodotti utilizzati per il sostentamento degli homeless. Un gruppo di partner ha unito le forze per garantire uno sviluppo organico al centro e ha aderito al bando della Fondazione Con il Sud che sta sostenendo il progetto. Esso prevede diversi aspetti come il miglioramento delle strutture, l’accoglienza di nuovi bisognosi, la formazione di questi ed altri individui in stato di bisogno, la formazione pratica e l’avviamento verso l’autonomia abitativa e lavorativa. Le realtà che si sono unite sono l’Associazione HIMERA che è anche il capofila e dai partner Cooperativa San Carlo Borromeo, Associazione Terra Nostra e Associazione Cammino d’Amore. I punti di forza dell’idea progettuale sono: la presenza dell’area all’interno della città, l’intervento di personale qualificato con esperienza pluriennale nella gestione dei senza tetto e il sostegno di Fondazione con il Sud”.

A chi è rivolto e quali sono le modalità abitative e contemporaneamente d’inserimento socio lavorativo che avete previsto?

“Le abitazioni sono adatte ad accogliere sedici persone senza fissa dimora. Viene data priorità a famiglie monoparentali (in particolare donne sole con figli, famiglie monoreddito, famiglie numerose, ma anche giovani adulti, padri separati, anziani soli e nuovi cittadini per i quali la condizione giuridica incide in modo rilevante nel determinarne il rischio di esclusione) e giovani entro i 39 anni. L’inserimento socio lavorativo è rivolto sempre a queste sedici persone ma anche ad altre 8 che verranno avviate alle varie forme di formazione; frontale e learning on the job, con un successivo inserimento nel mondo del lavoro nella cooperativa che diventerà il fulcro della parte finale del progetto”.

Come selezionerete gli ospiti?

“Le prime fasi del progetto sono state incentrate nella consegna di un abstract progettuale agli uffici dei servizi sociali del Comune di Monreale e di Palermo e presso diverse altre realtà che si sono occupate dei senza tetto attorno all’area di intervento. Dopo la segnalazione di 50 individui si è proceduto con un orientamento che ci ha permesso di valutare nel dettaglio sia i bisogni che le potenzialità di ognuno in relazione alle fasi successive che prevedono formazione e inserimento lavorativo”.

Quali i tempi di permanenza che prevedete per gli ospiti?

“Il progetto prevedeva una permanenza di un anno per i primi otto beneficiari che sarebbero poi stati avviati verso l’autonomia abitative con un successivo ricambio per altri 8; ma nello specifico i problemi causati dalla pandemia hanno destabilizzato il programma generale e solo quest’ultimo allentamento delle procedure ci sta permettendo di riprendere il percorso di ricambio dei beneficiari”.

Il Centro San Carlo Borromeo è circondato da ampi spazi verdi dove avete previsto attività lavorative particolari. Ce le può illustrare?

“Il Centro San Carlo Borromeo è il cardine del progetto: oltre alle strutture abitative e di accoglienza l’area è composta da aree agricole coperte e scoperte con orti e da mandarineti.
Con il progetto stiamo riprendendo l’intera area e, nello specifico, stiamo effettuando la manutenzione alla serra; abbiamo poi realizzato dei canili per accogliere i randagi presenti nell’area e abbiamo ripulito la parte della struttura che diventerà un centro cinofilo. Inoltre sarà messo in piedi un allevamento di lumache. Entrambe le attività (il centro cinofilo e l’allevamento di lumache) garantiranno l’inserimento lavorativo dei beneficiari. I locali della cucina sono stati migliorati con le attrezzature da noi comprate ed istallate che dovrebbe diventare cucina in grado di garantire il catering. Con l’ultimo intervento lavorativo sono state aggiunte e migliorate le opere di coltura dei prodotti da orto, che verranno ultimate nei prossimi mesi”.

È anche peculiare la modalità di sviluppo del progetto che avete individuato: infatti, una volta formati, gli ospiti diventeranno a loro volta formatori. Può illustrarci questa interessante modalità?

“Il progetto ha previsto la formazione frontale e pratica dei 4 ambiti di intervento: 1) Cucina: dalle basi alla gestione di un gruppo di lavoro; i beneficiari apprenderanno come organizzare un servizio di fornitura catering. 2) Elicicoltura: allevamento di lumache e gestione della vendita. 3) Orto: coltivazione di ortaggi per l’auto-sussistenza del centro. 4) Dog Sitter: cura e gestione di cani affidati alla struttura per offrire al territorio un servizio di pensionato per cani e dog parking giornaliero. Successivamente le persone formate si prenderanno carico di seguire direttamente altri 8 beneficiari che approfitteranno delle competenze acquisite dai 16 nella formazione classica e che diventeranno a loro volta formatori di learning on the job. Lo spirito è quello di responsabilizzare i beneficiari ma soprattutto di creare uno spirito di interesse reiterato nel tempo che potrebbe dare frutti positivi alla motivazione dei nostri fruitori”.

Fate rete con altre realtà e/o con le istituzioni e qual è la relazione con queste ultime?

“Le nostre realtà da tempo operano con altre realtà sul territorio sia nell’ambito specifico quello della socialità tout court, anche perché crediamo vivamente che il non profit possa rafforzare i suoi propositi solo collaborando con una sempre più ampia fetta di realtà sia esse pubbliche che private che del profit che del non profit. Infatti la nostra rete di realtà ha già collaborato con le istituzioni pubbliche specifici (Uffici degli assistenti sociali dei Comuni), con la CARITAS e con altre associazioni. Le singole relazioni sono basate su elementi diversi, quelli formali con sottoscrizioni di adesioni al progetto e quelli informali condotti in maniera verbale e con interventi di aiuto fattivo”.

La pandemia ha fermato tutto o in parte lo sviluppo del progetto?

“Come ogni cosa anche il nostro progetto ha subito un rallentamento che ha continuato ad operare a vista adattando di volta in volta le azioni. Gli interventi inderogabili come la sistemazione in alloggio si sono mantenute ma la formazione e gli interventi di avviamento delle attività lavorative slittate in avanti rispetto al cronoprogramma. Ma è nostro intento dare massimo slancio non appena sarà possibile, sempre tenendo conto delle nuove procedure di anti contagio. L’accoglienza, l’assistenza e l’aiuto sono obiettivi che ogni individuo dovrebbe predisporre nei suoi interventi ancor di più quando gli elementi civili e sociali hanno subito uno stravolgimento (vedi emergenza COVID, guerre, violenze, povertà conclamata, ecc.). Ecco perché garantire una prospettiva ad ogni individuo deve essere un cardine operativo per tutte persone di buon senso. Non a caso il nostro slogan è ‘Il tuo riparo, il tuo riscatto, il tuo futuro'”.

(ITALPRESS).

ARCA, dalla casa l’autonomia socio-economica

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ARCA è un progetto di housing sociale in fase di realizzazione a Castiglione Cosentino in provincia di Cosenza. nasce con l’obiettivo di rispondere a bisogni abitativi diffusi e garantire a nuclei famigliari in condizioni di vulnerabilità l’accesso ad un alloggio adeguato, prevedendo l’acquisizione, da parte dei destinatari, di un’autonomia socio-economica.
Ne parliamo con Valentina Luberto, Responsabile della Comunicazione.

Come nasce il progetto e chi ne sono i promotori?

“Il progetto è nato da un’idea del Centro di Solidarietà Il Delfino, una cooperativa sociale che da oltre 35 anni eroga servizi socio-sanitari ed educativi nella prevenzione e nel recupero di stati di emarginazione di soggetti vulnerabili. Il progetto è stato abbracciato inoltre dal Comune di Castiglione Cosentino, dall’ente di formazione Associazione Chiron, da Volontà Solidale, che sostiene, promuove e qualifica il volontariato nella provincia di Cosenza e dalla BCC Mediocrati, una banca di credito cooperativo. Questi soggetti insieme formano un partenariato variegato e solido che è la garanzia del successo dell’iniziativa. Il Progetto ARCA insiste su un’area urbana, situata sul territorio del Comune di Castiglione Cosentino, in prossimità dei confini con la città di Rende. Tuttavia, esso ha un impatto sull’intera area urbana di Cosenza. L’intenzione è quella di potenziare l’offerta di housing sociale, poichè nell’ampio territorio di riferimento le opportunità in materia sono del tutto inadeguate rispetto all’effettiva domanda sociale, che presenta un trend di crescita esponenziale anche per effetto dell’acuirsi della crisi socio-economica globale. Ulteriore obiettivo del progetto è quello di riqualificare dal punto di vista scenico un’area del nostro territorio in parte abbandonata e restituire alla comunità una vera e propria ‘cittadella del sociale”.

Come avete individuato gli immobili?

“I fabbricati che sono stati oggetto di intervento fanno parte di un complesso in un’area recintata che presenta una superficie complessiva di 38.400 mq oltre 3 ettari di terreno agricolo, adibita a parcheggio, spazi ricreativi e fabbricati. Solo alcuni dei fabbricati presenti nell’area sono utilizzati e quindi agibili, altri sono collabenti e certamente ciò penalizza molto l’estetica di tutta l’area che è situata tra le colline di Castiglione Cosentino. Grazie al finanziamento del progetto ARCA due immobili tra quelli collabenti sono stati completamente ristrutturati e recuperati, inoltre il terreno agricolo circostante è stato bonificato e terrazzato ed è attualmente pronto per essere coltivato e quindi utilizzato come Fattoria sociale. Un importante risultato ottenuto con la conclusione dell’attività di ristrutturazione del progetto è quindi la riqualificazione scenica del paesaggio. Il progetto ARCA infatti coniuga strategie di qualificazione e rilancio di uno specifico contesto socio-ambientale, evitando ulteriore consumo di suolo attraverso una valorizzazione di fabbricati pre-esistenti, e calibrando le azioni a una domanda socioabitativa e di servizi non soddisfatta e dispersa sul territorio”.

Come avete ottenuto il sostegno per ristrutturarli?

“Abbiamo partecipato al Bando di Fondazione con Il Sud ‘Benvenuti a casa’ presentando la nostra proposta progettuale. Siamo risultati vincitori poiché Fondazione con Il Sud ha creduto nel nostro progetto ed oggi lo sostiene e ci accompagna nella realizzazione”.

A quante persone vi rivolgete?

“Il progetto mette a disposizione 4 mini appartamenti per altrettanti nuclei familiari in condizioni di fragilità socio-economica. Ogni appartamento può ospitare una famiglia fino a 4 persone. Si tratta di alloggi temporanei, infatti lo scopo dell’iniziativa è di superare il mero assistenzialismo prevedendo il coinvolgimento attivo dei destinatari nella loro ‘ricostruzione’ verso l’autonomia. Si prevedono quindi dei tempi di permanenza negli alloggi che vanno da 6 mesi ad un anno in cui i destinatari, sostenuti dagli operatori, saranno messi in condizioni di riprendere in mano la loro vita ed uscire dalla condizione di bisogno”.

Quando avrete terminato le prime ristrutturazioni, come effettuerete la selezione per gli ospiti?

“Gli immobili sono stati ultimati a giugno 2020 ed i primi 3 mini appartamenti sono stati assegnati. Gli alloggi sono destinati a nuclei familiari italiani o stranieri in condizioni di fragilità socio-economica: per individuarli, oltre ai servizi sociali del Comune di Castiglione Cosentino che è partner del progetto, abbiamo siglato delle convenzioni con i comuni limitrofi, Casali del Manco e Castrolibero, e con la Caritas Diocesi Cosenza – Bisignano, che ci segnalano e ci mettono in contatto con famiglie potenzialmente idonee a far parte del progetto”.

Li ospiterete o avete previsto un canone di affitto seppure calmierato?

“Per gli alloggi temporanei non è richiesto alcun contributo economico alle famiglie che comunque dovranno essere in grado di provvedere autonomamente al vitto ed alle proprie esigenze personali”.

Il progetto non è certo limitato al recupero degli edifici, ma va ben oltre attraverso un ‘recupero sociale’ delle persone che vi abiteranno in futuro. Quali i punti salienti del progetto in funzione del quale avete previsto che buona parte delle attività degli ospiti saranno realizzate in comune?

“La denominazione del Progetto ARCA intende richiamare – oltre alle finalità relative al recupero del disagio abitativo – una metodologia di lavoro (comunitario) particolarmente efficace nella gestione di condizioni di marginalità sociale in quanto volta ad attivare risorse individuali e collettive funzionali al superamento della condizione problematica. Si tratta di un intervento integrato che non si limita all’offerta di alloggi a canone calmierato ma coinvolge in un percorso articolato verso l’autonomia socioeconomica. In questo percorso, i destinatari devono essere necessariamente protagonisti e parte attiva. Le attività che li vedono coinvolti sono prima di tutto legate ad una quotidianità di cura e salvaguardia degli alloggi e degli spazi comuni, dei beni mobili e delle pertinenze e coinvolti in pulizie degli alloggi abitati e degli spazi comuni (corridoi, cucina, sala da pranzo, pertinenze, ecc.). Il progetto prevede al momento dell’ingresso, la ‘presa in carico’ con la redazione per ciascun destinatario di un Piano Sociale Individuale in cui sono definiti degli obiettivi da conseguire per raggiungere l’autonomia abitativa ed economica. L’orientamento professionale ed il bilancio di competenze sono un passaggio fondamentale prima dell’attivazione del tirocinio formativo teso, all’acquisizione di competenze ma anche al conseguimento di una retribuzione economica. La fattoria sociale è un ulteriore elemento di partecipazione alla vita attiva del progetto ARCA in quanto i destinatari oltre ad avere un proprio spazio (orto da coltivare) si prenderanno cura a turno degli animali presenti nella fattoria. I destinatari inoltre prenderanno parte ad alcune attività di volontariato promosse da Volontà Solidale le cui finalità sono quelle di favorire un protagonismo civico degli ospiti delle residenze”.

La pandemia ha fermato tutto o in parte lo sviluppo del progetto?

“Il periodo di chiusura imposto a livello nazionale per contenere i contagi e la diffusione del virus è coinciso con le fasi finali della ristrutturazione degli immobili. I lavori del cantiere si sono dunque fermati per tutto il tempo del lockdown nazionale a partire da marzo 2020. Questo ha determinato una traslazione nel tempo dell’avvio delle attività che coinvolgono i nuclei familiari. Tuttavia i primi ingressi sono avvenuti a partire dall’estate ed oggi abbiamo tre nuclei familiari in carico che hanno intrapreso il loro percorso verso l’autonomia.
Le attività maggiormente penalizzate dalla pandemia sono senza dubbio quelle legate alla socialità. Il progetto prevede infatti laboratori, seminari ed iniziative che coinvolgeranno le famiglie incluse nell’housing sociale e che si apriranno anche alla popolazione della comunità locale. Per il momento queste attività non sono in programma, ma confidiamo che potranno realizzarsi non appena la situazione della pandemia sarà sotto controllo”.

(ITALPRESS).

Capacity, la comunità rigenera le aree urbane

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Capacity è un’iniziativa della Fondazione di Comunità di Messina (la cui nascita è stata possibile grazie al sostegno della Fondazione Con il Sud), per rigenerare a livello sociale ed urbano due aree del Messinese, prima Fondo Saccà e successivamente Fondo Fucile, rimaste baraccopoli praticamente dal disastroso terremoto del 1908. Alle numerose famiglie che in maggioranza si trovano in una situazione di forte deprivazione materiale e culturale e sono già supportate dal programma vengono offerti percorsi personalizzati per facilitare la possibilità di ripensare e ricostruire la propria vita e quella delle proprie famiglie. Ne parliamo con Gaetano Giunta, presidente della Fondazione di Comunità di Messina.

“La Fondazione di Comunità di Messina nasce nel luglio 2010 dalla relazione dei principali sistemi socio-economici dell’Area dello Stretto di Messina e fra essi e le più accreditate reti nazionali ed europee – spieha Giunta -. La visione strategica della Fondazione siciliana supera la logica della filantropia tradizionale e nasce con l’obiettivo esplicito di promuovere metamorfosi urbane e sociali attraverso l’organizzazione di policy innovative capaci di contrastare diseguaglianze e processi di mutamento climatico. La principale finalità statutaria della Fondazione è, quindi, quella di promuovere sviluppo umano sostenibile, favorendo la creazione di interconnessioni feconde fra sistema di welfare, sistema culturale, sistema produttivo, programmi di ricerca e di trasferimento tecnologico finalizzati al potenziamento dell’economia sociale e solidale, azioni mirate all’attrazione di talenti creativi e scientifici, programmi complessi di rigenerazione urbana e di riqualificazione dei beni comuni e alla valorizzazione delle social capabilities dei territori. In questi anni ha contribuito a risanare 6 aree di grande pregio architettonico-ambientale in degrado, con promosso lo start up e/o il consolidamento di circa 120 imprese favorendo la creazione e la stabilizzazione di oltre 400 posti di lavoro. Sono oltre 700 le persone accompagnate attraverso progetti personalizzati e numerosi i programmi di ricerca scientifico-tecnologica e le produzioni culturali promosse per supportare e narrare le policy e le storie”.

Come nasce il progetto ‘Capacity’, da chi è sostenuto anche economicamente e quali sono i risultati attesi?

“Il progetto Capacity nasce per scalare le sperimentazioni economico-sociali e tecnologiche inizialmente sviluppate dalla Fondazione di Comunità di Messina in pool con la Fondazione Con il Sud e con Fondazione Cariplo. Il progetto è cofinanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nell’ambito del Programma per la Riqualificazione e Sicurezza delle Periferie Urbane ed è cofinanziato dalla Fondazione comunitaria messinese e dai membri del Distretto Sociale Evoluto. I risultati attesi del progetto erano: uscita di 153 famiglie dai ghetti delle baraccopoli per andare a vivere in una casa scelta. Creazione di un condominio-prototipo costruito secondo le più avanzate metodologie, tecnologie e materiali costruttivi dell’Architettura e dell’Ingegneria sostenibile che occuperà soltanto il 10% del suolo occupato dalla baraccopoli; start up e/o consolidamento di 50 imprese solidali e giovanili. 20-25 persone saranno impegnate nelle pratiche di co-costruzione salariata; creazione sul territorio della Scuola Euro Mediterranea di Economia etica di Bellezza e di Pace che gestirà fra l’altro i servizi ausiliari della finanziaria specializzata nel microcredito etico MECC s.c. Strutturazione sul territorio di programmi di promozione dello sviluppo cognitivo dei bambini e degli adolescenti; realizzazione di una strada di collegamento fra l’area di intervento progettuale e la stazione ferroviaria centrale dell’area metropolitana. Avvio della creazione di una viabilità dolce nell’area di intervento. Ammodernamento e transizione a tecnologie led dell’impianto di pubblica illuminazione dell’area progettuale; creazione di tre polarità spaziali con finalità socio-educative a Fondo Saccà, a Forte Petrazza e alla Ex stazione ferroviaria di Camaro. Strutturazione sul territorio di servizi di mediazione e facilitazione sociale personalizzata sistemica alle azioni di risanamento urbano; riqualificazione ambientale del torrente Bisconte Catarratti. Redazione della Variante al Piano Particolareggiato Ambito E, secondo lo sguardo introdotto dal progetto. Report relativo alla consulenza specialistica e redazione di materiale fotografico e cartografico per la realizzazione del Piano Regolatore Condiviso. Tutti gli output previsti sono stati ampiamente ottenuti. Per esempio le famiglie uscite dalle baraccopoli sono state 204 anziché le 153 previste e poco meno della metà sono andate a vivere in una casa di proprietà”.

Capacity si può definire un progetto pilota, per la sua costante ricerca di metodi positivi e alternativi, che vanno ben oltre la fornitura di spazi abitativi e di opportunità lavorative. Quali le sue peculiarità?

“Capacity è un progetto fortemente innovativo finalizzato a redistribuire ricchezza di beni materiali, di conoscenza, di beni relazionali. Il progetto può essere pensato come uno shock esogeno capace di attivare processi durevoli, endogeni, di sviluppo umano sostenibile. Il progetto è esplicitamente ispirato al capability approach e ha promosso in modo interdipendente: la creazione di sistemi urbani e socio economici di qualità e capaci di generare alternative sui funzionamenti umani legati all’abitare, al reddito/lavoro, alla socialità e alla conoscenza (e quindi alla sfera dell’immaginario, della costruzione dei desideri e delle aspettative e della percezione della città e dei contesti); progetti personalizzati e comunitari di mediazione socio-cognitiva, che hanno facilitato la possibilità che persone in situazione di forte deprivazione materiale e culturale potessero cogliere, ri-conoscere e valorizzare le nuove opportunità, scegliendo quelle più funzionali ad un loro progressivo benessere”.

Fulcro del progetto è il capitale personale di capacitazione. Può illustrarlo?

“Limitatamente al funzionamento dell’abitare il progetto ha generato tre alternative possibili: acquisto da parte del Comune di Messina di unità abitative sul mercato immobiliare della città e successiva assegnazione ai beneficiari del progetto (le persone che vivevano nelle baraccopoli di Fondo Saccà e di Fondo Fucile) secondo gli standard fissati per legge sull’edilizia residenziale, ma attraverso metodi partecipativi di ibridazione urbana; assegnazione da parte della Fondazione di Comunità di Messina delle unità abitative sperimentali, costruite secondo le metodologie costruttive e le tecnologie più avanzate dell’architettura e dell’ingegneria sostenibile, proprio negli spazi liberati dalle baraccopoli d’amianto, alla cui realizzazione hanno partecipato gli stessi beneficiari attraverso pratiche di co-costruzione; acquisto da parte dei beneficiari di una casa di proprietà grazie ai benefici determinati dalla istituzione di un capitale personale di capacitazione. Tale strumento constava di un contributo una tantum che ha reso possibile l’acquisto di una casa di proprietà scelta dagli stessi beneficiari. Il capitale personale di capacitazione rappresenta, quindi, in modo simbolico e fisico la concreta possibilità di riprendere in mano la propria vita co-progettando con gli operatori tecnici e socio-economici di Capacity percorsi di riconquista dei propri diritti civili sul piano individuale e sul piano sociale e comunitario. Per quanto attiene l’istituzione del capitale personale di capacitazione si precisa che il contributo una tantum ha avuto un valore pari al 75% del prezzo lordo d’acquisto della casa stimata secondo i parametri sopra esposti, con un massimale che in ogni caso non poteva superare gli 80.000 euro. Fermo restando tale massimale, veniva riconosciuto il valore degli eventuali interventi di auto-recupero effettuati sull’immobile da parte dei beneficiari e gli interventi di efficientamento energetico, utilizzando i prototipi/prodotti outcome della fase di ricerca di Capacity. Il restante fabbisogno veniva reperito attraverso prodotti di finanza etica e sociale. Al beneficio del capitale personale di capacitazione si poteva accedere soltanto dentro un patto antimafia che riguardava non solo il passato, ma anche il futuro delle persone beneficiarie”.

Fate rete con altre realtà e/o con le istituzioni e qual è la relazione con queste ultime?

“Si tratta di un progetto complesso la cui realizzazione è stata possibile perché il partenariato era costituito da sistemi socio-economici di qualità, fortemente interconnessi e biodiversi, costituiti da attori economici, attori sociali, enti locali, istituzioni della ricerca scientifica di livello internazionale, attori di finanza etica e sociale reti europee dell’economia sociale e solidale e della finanza etica”.

La pandemia ha fermato tutto o in parte lo sviluppo del progetto?

“La pandemia ha evidenziato come diseguaglianze sociali e diseguaglianze ambientali siano due facce della stessa medaglia: vivere il lockdown nelle baraccopoli d’amianto o in case dignitose e spaziose dà plasticamente il senso di quanto oggi sia urgente pensare processi di trasformazione e di metamorfosi sociale ed urbana attraverso lo sviluppo di programmi capaci di redistribuire ricchezza e dignità”.

(ITALPRESS).

Borgomeo “Economia sociale opportunità per donne, giovani e comunità”

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“Le esperienze di impresa sociale al Sud raccontate in questi mesi – quelle che abbiamo sostenuto direttamente ma anche le tante altre che hanno trovato, con grande fatica, altre forme di sostegno per partire e, soprattutto, per consolidarsi – rappresentano un possibile e non marginale percorso da incoraggiare nella fase di ri-costruzione che, speriamo rapidamente, sarà avviata nei prossimi mesi, quando ci saremo lasciati alle spalle la terribile esperienza del Covid”. Lo afferma Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione Con il Sud.
“Dopo una fase iniziale in cui sembrava che la pandemia riguardasse soprattutto i territori del Nord, oggi, ad un anno di distanza, dobbiamo prendere atto che il Covid è stato un potente moltiplicatore di diseguaglianze, sociali, di genere e territoriali – aggiunge -. Sono aumentati i divari di reddito, i livelli di disoccupazione specialmente femminile e giovanile; migliaia di famiglie il cui reddito era rappresentato da attività sommerse e precarie spazzate via dal virus, sono precipitate in situazioni di povertà”.
“Nella fase di ricostruzione bisognerà guardare con particolare, ed anche nuovo, interesse al sociale. Questo vale molto per quanto riguarda le politiche da adottare in materia di sanità e scuola per le quali sarà indispensabile il ruolo degli Enti del Terzo settore. Ma vale anche per il sistema delle imprese sociali che sempre di più si affermano come un modello capace di innescare processi di sviluppo e determinare nuova occupazione – sottolinea Borgomeo -. Sono esperienze di economia “pulita”, non profit, spesso di economia circolare che partendo da forti motivazioni di carattere sociale, di inclusione e di promozione della cittadinanza attiva, giungono ad una dimensione economica e di sviluppo, che può incidere sul territorio. Esperienze nate attorno alla gestione e valorizzazione di beni confiscati alle mafie, di terreni incolti o abbandonati, di beni culturali inutilizzati, di inclusione di persone svantaggiate, in particolare proprio donne e giovani, migranti, disoccupati, persone detenute o con disabilità”.
“Tra queste esperienze, crescono quelle attorno all’housing sociale. Anche qui si parte da una esigenza sociale, ovvero dal ripristino di un diritto negato, come quello ad avere un tetto sulla testa e una dignità, per giungere alla valorizzazione del capitale umano e quello sociale. Si parte dal garantire un posto letto, una casa da condividere, a persone in difficoltà per giungere a ridare loro una ritrovata fiducia personale e nella società, ad avere un reddito e, dunque, un’autonomia, attraverso forme di auto imprenditorialità o di impresa sociale – evidenzia il presidente della Fondazione Con il Sud -. Queste esperienze d’impresa, seppur piccole e così diverse tra loro, hanno in comune una “visione” della società e grandi dosi di coraggio e resistenza che, in momenti di difficoltà come questi, si trasformano in virtuose forme di resilienza. Sono esperienze che “tengono” meglio alla morsa della crisi e soprattutto lo fanno con una chiara prospettiva di “sostenibilità sociale”, ma paradossalmente sono quelle più penalizzate, marginalizzate e che rischiano di restare escluse o non opportunamente valorizzate dai fondi del Next Generation EU”.
“Al contrario, dovremmo investire su queste forme di economia territoriale e più in generale sui modelli di sviluppo, culturale, civile, sociale, sperimentati e portati avanti dal Terzo settore, chiedendo dei puntuali “emendamenti” al piano per la ripresa. Non mancano, inoltre, le buone prassi di contaminazione e di co-progettazione tra pubblico e privato sociale – su tutte quella per l’attuazione del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile – che possono aiutare a disegnare, operativamente, una gestione davvero “pubblica” – non per forza statale, attenta alle dimensioni comunitarie – dei processi di sviluppo dei territori – conclude Borgomeo -. Ancora una volta bisognerà convincersi che promuovere il Terzo settore non è espressione di benevola considerazione verso esperienze meritorie, ma la volontà di fare sviluppo in un mondo in cui la sostenibilità sociale ed ambientale non è un optional, ma una scelta obbligata”.
(ITALPRESS).

Carcere, l’impegno per il “dopo”

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Questo appuntamento mensile del progetto “ITALPRESS con il SUD: il terzo settore e il volontariato nel Mezzogiorno”, in collaborazione con la Fondazione con il Sud, è dedicato alle imprese sociali che focalizzano il loro impegno nei confronti delle persone private della libertà e anche delle loro famiglie, con particolare attenzione ai figli minori.
Il loro sforzo è rivolto soprattutto al “dopo”, a quando, una volta scontata la pena, queste persone usciranno dal carcere. A quel punto dovranno, loro malgrado, fare i conti con lo stigma e con tutte le difficoltà di ritorno ad una vita “normale” che esso comporta.
Dare opportunità di crescita, di sviluppo delle competenze professionali, di sostegno dentro e fuori è la faticosa, impegnativa e costante azione delle realtà che si presentano in questo focus.
Un commento conclusivo è lasciato a Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione con il Sud che sostiene i progetti portati avanti da queste imprese sociali.
(ITALPRESS).

Lav(or)ando, per il reinserimento sociale dopo la pena

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Il progetto Lav(or)ando, realizzato dalla Cooperativa Sociale ELAN e finanziato dalla Fondazione con il Sud, nasce per favorire il recupero sociale e il reinserimento professionale di 24 persone sottoposte a provvedimento penale, attraverso il loro impiego nella lavanderia industriale già presente nella struttura e potenziata per l’occasione. Lav(or)ando opera in sinergia con la Scuola di Economia Civile. Ci illustrano la cooperativa e il progetto i responsabili di ogni suo settore.

Ad Anna Tedde, presidente della cooperativa sociale ELAN chiediamo da dove nasca il nome Lav(or)ando.

“Nasce dalla combinazione dell’idea di rimettersi in gioco attraverso l’attività lavorativa, nel contesto professionale del lavaggio e della cura dei capi di abbigliamento”.

Come e per iniziativa di chi nasce il progetto iniziale?

“L’idea progettuale getta le sue radici nel 2003, grazie al progetto europeo Equal R.A.S.P.U.T.I.N. realizzato dal Consorzio Solidarietà di Cagliari, con l’obiettivo di favorire il recupero sociale e l’inclusione lavorativa di soggetti sottoposti a provvedimenti penali detentivi e incrementare il raccordo fra i diversi partner portatori di interessi. Il primo passo concreto, in questo nuovo percorso, fu l’avvio nel 2009 del servizio di lavanderia industriale all’interno dell’Istituto Penale per i Minorenni minorile di Cagliari (Quartucciu): nei primi anni, ha coinvolto sessanta persone, tra minori e giovani adulti.
Dopo un periodo di incubazione di tre anni Solidarietà Consorzio “genera” la cooperativa sociale Elan che, sulla scia dei risultati ottenuti nella struttura di Quartucciu e forte di un gruppo di lavoro formato da giovani professionisti entusiasti, sceglie di condividere con la Casa Circondariale di Uta l’opportunità di realizzare questo nuovo servizio a favore della comunità penitenziaria e del territorio”.

Qual è l’idea portante del progetto che ora state sviluppando?
A rispondere a questa domanda è Ilenia Carrus responsabile degli inserimenti lavorativi.

“La finalità del progetto Lav(or)ando, partito poche settimane fa con l’avvio dei primi due tirocini, è duplice. Per un verso – a breve termine – costituisce un’occasione importante, per i beneficiari del progetto, di rimettersi in pista, ampliare le proprie capacità e acquisire nuove competenze lavorative. Un’eredità preziosa, una volta che esaurita la pena faranno rientro a casa e si immetteranno nel mercato del lavoro.
Dall’altro punto di vista, più a lungo getto, Lav(or)ando punta a coinvolgere le aziende e istituzioni sul territorio. Questo per innescare un circolo virtuoso che dia nuove, concrete possibilità alle persone sottoposte a una pena detentiva, creando anche una rete imprenditoriale ‘accogliente’, fondata sui princìpi dell’economia civile e della responsabilità sociale”.

Quale è la relazione con la Scuola di Economia Civile e quali gli sviluppi previsti? La risposta ad Anna Tedde

“La Scuola di Economia Civile garantisce il suo supporto al progetto Lav(or)ando, per “contaminare” la comunità con la cultura dell’accoglienza nei confronti di chi ha sbagliato e vuole rimettersi in gioco ed essere reintegrato nella comunità stessa. “Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”, recita un antico proverbio africano. Anche noi crediamo che faccia la differenza il “come” si conducono i percorsi di re-inclusione, cioè non più delegando le istituzioni pubbliche ma coinvolgendo la comunità locale, anche nell’ottica di un contenimento del costo economico e sociale del trattamento.
Con questo progetto vogliamo anche inserirci nel percorso che punti a realizzare in modo effettivo quanto sancito dalla legge 354/75 di riforma del sistema penitenziario. Questa, in particolare, garantisce al condannato il lavoro assicurato e remunerato, visto come strumento primario tra le misure alternative, e imprescindibile ai fini dell’efficacia del trattamento rieducativo. Un’opportunità formativa e professionale diventa infatti opportunità fattiva per acquisire una preparazione professionale adeguata agli standard reali che il detenuto troverà all’esterno del carcere, tale da agevolarne il reinserimento sociale e abbassando le possibilità di recidiva. Princìpi eticamente perfetti, ma – ancora dopo 45 anni – di difficile attuazione. Il progetto Lav(or)ando si pone inoltre come punto di partenza per una nuova visione virtuosa e sostenibile dell’economia. Abbiamo infatti previsto di stimolare le imprese pubbliche e private all’adesione al patto sul futuro per la terza economia, coinvolgendole in un percorso formativo finalizzato alla creazione di un marchio comune, che promuove e sostiene opportunità lavorative per le persone che hanno sbagliato. Chiediamo a queste imprese di sostenerci con nuove commesse di servizi di lavanderia e con opportunità di lavoro per i detenuti coinvolti nei percorsi di misure alternative. Il percorso di rieducazione attraverso il lavoro e la formazione ha il fine ultimo di rigenerare le persone che hanno sbagliato, dare loro una seconda occasione concreta e accompagnarle nel rivestire il ruolo di cittadini attivi, capaci di contribuire attivamente allo sviluppo delle comunità. Con l’attività avviata di recente dal Progetto Lav(or)ando, la lavanderia della Casa Circondariale di Uta si propone come infrastruttura economico educativa pronta ad affiancare l’istituto penitenziario, e le istituzioni pubbliche e private, nel difficile e prezioso compito di valorizzare i loro talenti e competenze residue”.

(ITALPRESS).

A Siracusa “Fuori – la vita oltre il carcere”

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Fuori – la vita oltre il carcere, è un progetto sviluppato dalla cooperativa sociale L’Arcolaio e sostenuto dalla Fondazione CON IL SUD: mira a rafforzare l’esperienza pluriennale del biscottificio Dolci evasioni, che da tempo opera nella Casa circondariale di Siracusa, grazie a un impianto di pelatura della mandorla che, oltre a permettere nuova occupazione, rappresenta un fattore di innovazione e sviluppo del processo produttivo funzionale e permetterà di ottenere nuove commesse. Ne parliamo con Valentina D’Amico, psicologa e responsabile dell’azione Community engagement del progetto ‘Fuori – La Vita oltre il carcere’ e responsabile area Sociale de L’Arcolaio.

Partiamo dalla storia del biscottificio

“La cooperativa L’Arcolaio viene fondata nel 2003 per favorire l’inserimento lavorativo dei detenuti attraverso la gestione di un panificio all’interno della Casa Circondariale di Siracusa.
In linea con le richieste di mercato, il laboratorio inizia a produrre paste di mandorla ed altri dolci tipici della tradizione siciliana utilizzando ingredienti biologici e senza glutine, commercializzati con il marchio Dolci Evasioni. Nel 2014, con il progetto di agricoltura sociale Frutti degli Iblei, la cooperativa ‘esce’ dal carcere e coinvolge nella propria attività produttiva altre persone svantaggiate, come giovani migranti ed ex detenuti”.

E dopo quasi venti anni di attività…

“Sono oltre 200 le persone che abbiamo accompagnato in percorsi di inserimento socio-lavorativo. Riteniamo che il lavoro sia importante per ogni individuo, e che in contesti quali le carceri e con persone che hanno avuto deviazioni negative nel loro percorso di vita possa anche essere uno strumento rieducativo potentissimo. Nella nostra esperienza abbiamo spesso incontrato persone detenute che non hanno mai avuto un rapporto di lavoro regolare o che non hanno mai lavorato ‘legalmente’ e l’offrire loro un contratto di lavoro regolare, con diritti e doveri, un’equa retribuzione, una formazione sul campo, ci ha permesso reciprocamente di lavorare su un post carcerazione con un orientamento a percorsi di vita e lavorativi sani e onesti.
Il lavoro dà loro dignità, gli permette di imparare un mestiere, gli fornisce strumenti relazionali per lavorare in squadra e li rende autonomi economicamente, così da non essere un peso per la famiglia all’esterno, potendo anche contribuire al sostentamento di mogli/figli/genitori. La nostra politica è quella collaborativa e cooperativa, per cui pur essendoci una gerarchia di responsabilità, anche i detenuti/operai hanno la possibilità di contribuire allo sviluppo dei prodotti, dei processi e della cooperativa. Tutto ciò permette loro di aprirsi rispetto alle loro storie di vita, lavorando su se stessi e mostrando una disponibilità a progettare una vita diversa dalla precedente, sfruttando le possibilità a loro offerte dagli educatori del carcere e dalla cooperativa per riflettere sui loro errori e lavorare sulle loro risorse personali e la loro autostima”.

Adesso avete acquistato un impegnativo (dal punto di vista economico ma anche fisico) macchinario: una pelatrice di mandorle. Quali nuove opportunità vi attendete?

“L’ingresso ‘trionfale’ della pelatrice nel laboratorio del carcere ha segnato un momento importante per la cooperativa e per la casa circondariale. Come evidenziato anche dal Direttore della casa circondariale, l’ingresso di un macchinario produttivo importante in un luogo in cui abitualmente si acquistano metal detector e materiali per la sicurezza, è un evento importante e simbolico allo stesso tempo. Questa pelatrice simboleggia l’apertura all’esterno e la possibilità di riscatto per persone che hanno avuto percorsi di devianza e permette al carcere di avere ulteriori strumenti per la funzione produttiva e rieducativa. Per l’attività produttiva de L’Arcolaio, invece, il macchinario permetterà di gestire internamente una fase delicata del processo di lavorazione della mandorla prima assegnata a soggetti esterni. I vantaggi di natura produttiva ed economica sono indubbi, così come il nostro progresso verso il controllo della filiera delle mandorle di Sicilia. Inoltre, in considerazione dell’assenza di altre aziende nelle vicinanze attrezzate per questo processo produttivo, il laboratorio Dolci Evasioni dedicherà una porzione significativa delle proprie risorse al servizio di pelatura ‘conto terzi’ offerto ai produttori del territorio. Tutto questo si traduce nella necessità di nuovo personale. Per fare fronte alle nuove esigenze produttive prevediamo di assumere 3 detenuti, ingaggiati con regolare contratto. Per questi e altri detenuti (12 in totale) il progetto FUORI avvierà a breve un corso formativo che porterà all’ottenimento della qualifica di Addetto panificatore-pasticcere. Oltre ai 3 lavoranti già assunti da L’Arcolaio, altri 4 svolgeranno un tirocinio della durata di 6 mesi presto pasticcerie del territorio, e gli altri 5 seguiranno un percorso di orientamento al lavoro per il successivo inserimento socio-lavorativo all’esterno”.

Il progetto è contraddistinto dal ‘Community engagement’ ovvero l’impegno per far aprire le porte dell’imprenditoria locale ai detenuti una volta scontata la pena. Può parlarcene?

“Il nome del progetto deriva proprio dalla volontà di andare oltre le sbarre del carcere, di contribuire alla costruzione di quel ‘paracadute’ necessario a chi esce da prigione per potersi effettivamente reinserire nel contesto sociale e lavorativo. L’azione di Community engagement assume quindi un ruolo fondamentale in progetti di questo tipo: le imprese del territorio, e la comunità tutta debbono essere sensibilizzate e responsabilizzate sul tema del reinserimento socio-lavorativo, della giustizia riparativa e sulla possibilità di riscatto da offrire a queste persone. Oggi, rispetto al passato, anche grazie alle cooperative come L’Arcolaio, ci sono sempre più aziende disponibili a dare delle opportunità socio-lavorative a persone ex detenute. Pensiamo che ‘presentare’ sul mercato del lavoro dei soggetti ‘referenziati’, che hanno alle spalle mesi se non addirittura anni di lavoro serio e responsabile all’interno di una realtà aziendale presente da quasi vent’anni sul mercato nazionale e internazionale, possa aiutare a scardinare il meccanismo di sfiducia e pregiudizio. Allo stesso tempo, è fondamentale continuare a lavorare anche all’esterno, costruendo reti e alleanze con il territorio, promuovendo l’importanza della giustizia riparativa, e contribuendo ad abbattere i pregiudizi e le remore sulle persone svantaggiate”.

Come il mondo esterno vive il vostro impegno e cosa state facendo per contrastare l’eventuale stigma?

“Il nostro lavoro, benché sembri molto concentrato sul carcere e sulla produzione interna, in realtà ha inevitabili, importanti e necessarie ripercussioni positive anche all’esterno.
Il nostro operato, infatti, non si esaurisce con l’offerta di un lavoro, ma si innesta su un percorso di cambiamento e sulla riappropriazione della dignità e dell’identità che facilita, nel complesso, le prospettive di inserimento socio-lavorativo una volta usciti di prigione. Grazie a questo lavoro, la possibilità di recidiva si abbassa in maniera notevole, il che contribuisce anche ad una più ampia sicurezza sociale nei territori.
Grazie al terzo settore e alle cooperative come L’Arcolaio, oggi l’economia sociale dell’Italia è in costante crescita. Il trend positivo registrato anche durante la pandemia Covid-19 sta dimostrando che le imprese che agiscono mettendo al centro i diritti umani e l’ambiente sono il motore di sviluppo dell’intero Paese”.

Per concludere…

“Scommettere ed investire su nuovi modelli di welfare e sull’economia sociale e solidale, che oggi rappresenta il 5% del PIL, significa non solo non lasciare indietro le persone più fragili, ma anche costruire percorsi virtuosi in grado di generare lavoro, ricchezza, sicurezza e giustizia sociale per il Paese. Il sostegno alle imprese sociali, che riteniamo debba venire in maniera ancora più incisiva dalla politica, permette allo stesso tempo di valorizzare le enormi ed eccellenti risorse culturali, enogastronomiche, agricole e tecnologiche di cui ogni territorio dispone e che sono i migliori ambasciatori del Made in Italy nel mondo”.

(ITALPRESS).

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