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“Mai più dentro”, dalla pubblicità all’agricoltura

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“Mai più dentro” è un progetto nato per formare al lavoro detenuti con patologie psichiatriche da inserire in diversi ambiti: pubblicità, serigrafia, sartoria, agricoltura. Promotori ne sono la Cooperativa Litografi Vesuviani e cooperative partner con l’obiettivo di offrire lavoro al fine di prevenire la recidiva soprattutto penale, e lo stigma conseguente aggravato dalla malattia mentale. I soggetti destinatari sono in detenzione a regime ordinario, o in regime alternativo alla detenzione, residenti nel territorio afferenti le strutture penitenziarie di Napoli Poggioreale e di Napoli Secondigliano, e del DSM della Napoli 3 sud.
Ne parliamo con la responsabile Comunicazione, Annarita Romanino.

Come nasce questo progetto così impegnativo e raro? Può raccontarlo più in dettaglio?

“Il progetto ‘Mai più dentro’ nasce da un dato: troppi ancora i pazienti psichiatrici che sono in carcere per aver commesso dei reati anche per il fatto di essere soggetti con problematiche psichiatriche. Siamo consapevoli che la responsabilità della pena sia sempre individuale e incondizionata, ma siamo anche certi che il paziente psichiatrico debba avere la possibilità di essere sostenuto con attività mirate a non incorrere nel rischio di una recidiva. Gli autori di reato con disabilità psichiatrica, a cospetto di altri hanno maggiormente il rischio di recidiva, in quanto, dopo aver scontato la pena rischiano di aggravare le loro condizioni psichiatriche, soprattutto per la mancanza di opportunità di inclusione sociale e lavorative. Quando la Fondazione con IL SUD, ha realizzato l’iniziativa Carceri 2019, abbiamo voluto accendere i riflettori su questa problematica, e il nostro ringraziamento alla Fondazione è soprattutto per aver accolto e compreso che la tematica andasse presa in considerazione. Trovare nel sistema penitenziario, negli enti del terzo settore e nella ASL di riferimento territoriale, una concertazione di modelli di post detenzione, è una strada che sicuramente darà ai partecipanti del progetto ottime possibilità di partecipazione alle attività inclusive e formative per ridurre la percentuale di recidiva. La nostra esperienza e i dati sulla riabilitazione psichiatrica, ci insegnano che, la formazione e l’inserimento lavorativo migliorano la condizione di malattia, aumentano la qualità di vita, riducono l’induzione di reato e creano sviluppo territoriale”.

La riabilitazione ha assunto un ruolo primario nei servizi di salute mentale negli ultimi anni, in tutto il territorio nazionale. Qual è il modello da voi adottato nei percorsi di Riabilitazione psichiatrica?

“Innumerevoli sono stati i progetti di cui la cooperativa si è fatta promotrice perseguendo il modello Recovery: la ‘persona al centro’, da protagonista della propria vita, a protagonista della vita della propria comunità. Le attività della Cooperativa favoriscono infine quella consapevolezza dei familiari e della comunità locale, che completa il processo di inclusione sociale. La nostra proposta progettuale è in linea – e condivide nella pratica quotidiana – con la definizione della US Psychiatric Rehabilitation Board (2007): ‘La riabilitazione psichiatrica promuove la Recovery, la piena integrazione sociale e migliora la qualità di vita delle persone portatrici di una diagnosi, che danneggia seriamente la loro capacità di condurre una vita significativa. I servizi riabilitativi basati sulla collaborazione tra utente e operatore, diretti alla persona e individualizzati, sono elementi essenziali dell’assistenza sanitaria e dello spettro dei servizi umani e dovrebbero essere sempre evidence-based’. Essi sono finalizzati ad aiutare gli individui a sviluppare abilità e ad accedere alle risorse necessarie per aumentare la loro capacità di avere successo e di essere soddisfatti negli ambienti abitativi, lavorativi, scolastici e sociali di loro scelta”.

L’impegno di Fondazione con il Sud è teso a sostenere soprattutto la formazione. Dove e come essa si concretizzerà?

“La formazione è il ‘punto cardine’ dell’intero progetto. I percorsi di inserimento lavorativo, si svolgono prevalentemente all’interno delle aree produttive delle Cooperative Litografi Vesuviani e Lavoro in Corsi, e l’agenzia di formazione Consul Service darà la possibilità di attestare le competenze acquisite. La nostra formazione al lavoro, ha come finalità l’attuazione dì un percorso autonomo e consapevole che attraverso azioni di orientamento e formazione miri al recupero delle competenze individuali, lavorative e socio-affettive. La persona è guidata, individuando e riattivando capacità e competenze, ciò fa sì che aumenti in essa l’autostima, la motivazione al cambiamento e la spinta all’auto-realizzazione. La formazione si concretizzerà attraverso l’attuazione di tre fasi: Formazione teorico-pratica; Tirocinio Formativo e Borsa Lavoro retribuita. I comparti di inserimento lavorativo sono: Agenzia di Pubblicità – Serigrafia – Sartoria – Orto Sociale. La Serigrafia e Agenzia di pubblicità sono i comparti di riferimento, gestiti in ogni aspetto organizzativo da tutti i soci lavoratori. La formazione è trasversale per tutti, l’organizzazione è composta dalle diverse competenze di ogni socio lavoratore e alla propria vocazione. I soci più ”anziani’, affiancano i soci più ‘giovani’ con un supporto di tutoraggio, che è molto funzionale per il ‘peer to peer’. Presso l’Orto dei Vesuviani avviene una formazione non solo alla tecnica di coltivazione, ma anche all’amore per la terra e al rispetto per l’ambiente, è un aspetto fondamentale del progetto. Inoltre, poiché l’orto è aperto ai cittadini, questo favorisce l’inclusione. Il rapporto diretto con le persone che usufruiscono dei beni della terra, il contatto con gli altri attori, amplia il raggio delle competenze e delle esperienze. La Sartoria dei Vesuviani nasce nel 2016; un laboratorio artigianale di sartoria e ricamo. Il laboratorio nasce per dare la possibilità agli utenti del DSM dell’ASL Napoli 3 Sud, di usufruire di una formazione professionale. Con risorse umane qualificate, è possibile acquisire competenze lavorative nel campo della sartoria e del ricamo. Gli utenti sono accolti, dall’artigiana esperta, da un tutor che svolge la funzione di peer, da un animatore sociale e da una volontaria”.

Il Covid ha purtroppo fatto slittare i tempi d’avvio dell’intero progetto, ma non siete rimasti fermi. Quando pensate di poter partire?

“L’emergenza dell’epidemia da COVID-19 non ci ha permesso l’avanzamento del progetto come da cronoprogramma, causa l’innalzamento dei contagi in Regione Campania. Dopo lo scorso settembre non è stato possibile poter garantire il normale svolgimento delle attività proposte, ma al contempo non ci siamo mai fermati. Tutta la partnership ha garantito lo svolgimento della selezione, anche lavorando da remoto. Gli operatori sanitari e sociali degli istituti di pena coinvolti, Poggioreale e Secondigliano, si sono fatti carico di fare un lavoro di cucitura tra i detenuti e il resto della partnership. Oltre a garantire, fino a che non si possano riprendere le attività e quindi la Formazione sul campo, di sostenere insieme alle cooperative, i destinatari selezionati, sostenendoli con percorsi di Formazione a Distanza per mantenere viva la motivazione al progetto. Le riunioni tra la partnership, ASL Napoli3Sud, Carcere di Poggioreale, Carcere di Secondigliano, UEPE per la Campania, Comune di San Giorgio a Cremano, Associazione Diesis, sono avvenute in équipe multidisciplinare da remoto, e nonostante le difficoltà connesse allo strumento, sempre con grande partecipazione. E’ anche stato possibile coinvolgere nella realizzazione di interviste i responsabili della partnership e il presidente della Fondazione con il Sud e tutto il materiale raccolto diverrà un prodotto audiovisivo. La nostra mission è quella di offrire ai pazienti psichiatrici le stesse medesime opportunità di inclusione sociale di qualsiasi cittadino. Siamo molto contenti che al nostro cammino si sia aggiunta la Fondazione con il Sud, che ha mostrato ancora una volta la visione di un mondo che sia il più inclusivo possibile. Solo così avremo comunità sviluppate. L”economia civile’, si fonda sull’equità e sulla ridistribuzione della ricchezza, incominciando ad includere i fragili nelle politiche attive del lavoro e nelle politiche economiche e sociali”.

(ITALPRESS).

“Per aspera ad astra”, obiettivo la riqualificazione del carcere

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“Per aspera ad astra” è un progetto promosso da Acri insieme ad un gruppo di Fondazioni di tutta Italia, compresa la Fondazione CON IL SUD, che ha come obiettivo la riqualificazione delle carceri attraverso la cultura e la bellezza. Il progetto coinvolge 12 carceri e circa 250 detenuti, che partecipano a percorsi di formazione professionale nei mestieri del teatro, non solo attori e drammaturghi quindi, ma anche scenografi, costumisti, truccatori, fonici, addetti alle luci.
Ne parliamo con Giorgio Righetti, direttore generale di Acri.

Come nasce il progetto?

“Il progetto nasce sull’onda di un convegno organizzato a Volterra nel giugno 2017 da Acri e dalla locale Fondazione dal titolo “Il sipario oltre la grata”. A quel convegno presero parte molte Fondazioni che sostenevano attività culturali e artistiche all’interno degli istituti di pena italiani ma anche alcuni operatori, tra cui Armando Punzo della Compagnia della Fortezza che da più di trent’anni svolge la sua straordinaria attività teatrale all’interno del carcere di Volterra. Da successive interlocuzioni, stimolati dall’esperienza della Compagnia della Fortezza, Acri decise di dare vita a una iniziativa che mettesse a sistema le migliori esperienze di teatro in carcere. Nasce così la prima edizione di Per Aspera ad Astra che coinvolse 6 Fondazioni e altrettante compagnie teatrali e istituti di pena. Oggi siamo giunti alla terza edizione che coinvolge 10 Fondazioni e 12 compagnie teatrali e istituti di pena”.

Quale è la portata innovativa del progetto?

“Le Fondazioni hanno una lunga tradizione di interventi svolti all’interno delle carceri con l’obiettivo di favorire i percorsi di reinserimento dei detenuti. Per questo, tra le tante attività, anche il teatro è stato utilizzato quale strumento per perseguire questo obiettivo rieducativo. Ma la novità e la forza di Per Aspera ad Astra è che da strumento, il teatro diventa, nel percorso che abbiamo intrapreso, un fine in sé. L’arte, il teatro, in questo caso, è il cuore dell’iniziativa, è al centro, ne è la parte fondante. Questo progetto vuole promuovere l’arte nella sua complessità e straordinaria forza culturale e umana. Non è uno strumento, ma un fine. Questo progetto innova perché capovolge il paradigma dei numerosi interventi, assolutamente apprezzabili e utili, che spesso si realizzano negli istituti di pena. Mettendo al centro l’arte, si dà dignità e ancora maggiore valore all’attività, difficile e impegnativa, che i detenuti praticano partecipando alle attività teatrali da noi promosse. E ridando dignità e valore, indirettamente, si persegue con ancora maggiore forza ed esito positivo quello scopo rieducativo e di reinserimento dei detenuti che tutti noi perseguiamo. Siamo convinti che, per un reale percorso di recupero, non ci si possa limitare alla “recita di Natale”. Noi siamo convinti che anche i detenuti abbiano diritto all’arte e alla straordinaria forza liberatoria che essa possiede e per questo vogliamo perseguirne l’utopia anche all’interno di contesti difficili o al limite del possibile. L’arte, che è un diritto anche per coloro che si trovano in condizioni di privazione della libertà”.

Oggi chi coinvolge?

“La terza edizione di Per Aspera ad Astra sta coinvolgendo complessivamente circa 250 detenuti in 12 istituti di pena in tutta Italia, da Nord a Sud: a, Bologna, Cagliari, Genova, La Spezia, Milano, Padova, Palermo, Perugia, Saluzzo (Cn), Torino, Vigevano, Volterra. Promosso da Acri, è sostenuto da: Fondazione Cariplo, Fondazione Carispezia, Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, Fondazione Cassa di Risparmio di Volterra, Fondazione Compagnia di San Paolo, Fondazione Con il Sud, Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Fondazione di Sardegna”.

Che attività e ruoli anche lavorativi svolgono?

“Il progetto offre percorsi di formazione professionalizzante nei mestieri del teatro. Quindi non solo per attori e drammaturghi, ma anche per scenografi, costumisti, truccatori, fonici, addetti alle luci. Tutti i detenuti partecipanti vengono coinvolti nella costruzione degli spettacoli”.

Cosa succede dopo la “prima”?

“Il panorama è piuttosto variegato e cambia a seconda degli istituti di pena. In alcuni casi ci sono stati spettacoli all’interno delle carceri con spettatori provenienti dall’esterno, in altri sono state organizzate piccole tournèe nei teatri fuori. Spesso sono stati coinvolti gruppi di studenti. In alcuni casi sono stati attivati anche periodi di tirocinio per alcuni detenuti, che hanno lavorato insieme alle compagnie nei teatri. Quest’anno la pandemia ha costretto le compagnie ad attivare formule alternative per proseguire le attività. Le lezioni si sono trasferite in modalità telematica: i detenuti, in piccoli gruppi, si collegano in videochat, i docenti utilizzano diversi supporti multimediali per sopperire alla lontananza. Insieme alla formazione, i partecipanti stanno lavorando alla redazione di un testo drammaturgico, attraverso scambi epistolari che stanno innescando veri processi creativi condividendo testi, immagini bozzetti, ipotesi di scenografie. Gli spettacoli si tengono in diretta streaming, vengono realizzati documentari, podcast, libri fotografici, e tante altre forme per raccontare i percorsi avviati per restituire bellezza e dignità a luoghi che ne sono spesso privi come gli istituti di pena”.

(ITALPRESS).

Paidòs, accoglienza educativa ai figli dei detenuti

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La Cooperativa Sociale Paidòs, a Lucera, si occupa di prestare accoglienza educativa e domiciliare a figli di persone detenute attraverso strutture residenziali o semi residenziali. Un percorso che inevitabilmente coinvolge anche i genitori, che vengono sostenuti nella riacquisizione del loro ruolo una volta usciti dal carcere.
Ci illustra il progetto ‘Fuori – la vita oltre il carcere’ il presidente di Paidos, Marco Di Sabato.

Come nasce la Cooperativa Sociale Paidòs e perché la scelta di occuparsi di minori?

“La Cooperativa Sociale Paidòs (www.paidos.it) nasce l’11 maggio 2000 e rappresenta l’evoluzione di un percorso avviato nel 1991 dai Giuseppini del Murialdo e dall’O.d.V. ‘Famiglia Murialdo’ nel campo dell’accoglienza dei minori con problemi socio-affettivi e relazionali con i quali ancora oggi si interviene in sinergia. La Paidòs è composta da educatori, psicologi, pedagogisti, sociologi, assistenti sociali, persone che dedicano il loro tempo e che si ritrovano uniti da un unico ‘sogno’: accogliere (come una grande famiglia) tutti quei minori che presentano difficoltà relazionali, economiche, socio-affettive e prevenire il ‘conclamarsi’ di situazioni di devianza, contrastando quei processi di crescita che potrebbero portare a situazioni di sofferenza individuale. ‘Fare il bene ma farlo bene’ è questa la frase di San L. Murialdo che quotidianamente ispira il gruppo Paidòs che ha così deciso di puntare la sua attenzione principalmente al mondo dei minori e alle famiglie in difficoltà, cercando di ‘specializzarsi’ nel servizio di accoglienza, perché accogliere significa entrare in una storia di relazioni, vuol dire aprire le porte di casa propria, di certo non ‘gestire un servizio'”.

Come opera oggi?

“La Cooperativa Paidòs, come Comunità Educante, è diventata punto di riferimento importante per il territorio provinciale proponendosi come soggetto attivo delle politiche della famiglia, come stimolo costante per le amministrazioni locali e non solo e come partner progettuale per tutti gli interventi legati al mondo dell’infanzia e della famiglia. Il bambino al centro del nostro agire oggi significa il Centro Diurno Murialdo, la Comunità Educativa Padre Angelo Cuomo per ragazzi e la Comunità Educativa Murialdo per ragazze con un’accoglienza h24 per 365 giorni all’anno. Dalla parte dei bambini, SEMPRE! è il motto della Cooperativa Paidòs e non potrebbe essere altrimenti con il Servizio di Assistenza Domiciliare Educativa, progetti di sensibilizzazione all’affido familiare, collaborazioni con i Centri Anti Violenza, progetti contro il bullismo e il cyber bullismo con le scuole del territorio, programma Mentoring e per finire il Progetto Italia Educante finanziato da Fondazione Con i Bambini e messo in atto in 7 regioni italiane. Importante per l’operato della Cooperativa Paidòs è la collaborazione a mo’ di rete solida e con maglie fortemente interconnesse con tutte le istituzioni pubbliche e private così come la sinergia attivata con la Fondazione Con il Sud che ha permesso, tramite il progetto del Film/Documentario ‘La luce dentro’ di accendere i riflettori su alcune tematiche che narrano anche la storia della nostra cooperativa. Nel suo percorso spesso si incontrano storie, fragilità, percorsi difficili anche con ragazzi figli di detenuti. Non è mai semplice avvicinarsi a questo mondo che spesso nasconde molte ombre, molti silenzi e tanto non detto. Le accoglienze nelle due Comunità spesso mettono a dura prova gli operatori e con loro i ragazzi. Il nostro compito ci chiede di aiutare i ragazzi a combattere contro sé stessi e contro la loro voglia di cambiare restando gli stessi con i propri genitori. E spesso questa battaglia può essere contro un orco cattivo che riempie le notti di incubi, piuttosto che contro un genitore che ha insegnato loro le strade più impervie pur restando sempre un riferimento importante, ma anche contro genitori che sanno di aver sbagliato ma che necessitano di essere supportati e anche strigliati e motivati nel loro ruolo genitoriale. Spesso l’intervento sembra esaurirsi con l’accoglienza dei ragazzi che così vengono posti in sicurezza ma si corre il rischio di trovare una soluzione nell’immediato che potrebbe vanificarsi nel medio-lungo periodo. Oggi accogliere la fragilità di una bambina abusata o maltrattata significa abbracciare una serie di situazioni complesse che vanno dal ‘recupero’ di una genitorialità distorta in ambito carcerario al sostengo psicologico e non solo di chi ha subito o di chi non ha avuto il coraggio di mettere fine a tale abominio. Sostenere il genitore ‘rimasto solo’ a crescere i propri figli mentre il coniuge è in galera significa offrire strumenti di crescita che possano sì partire dal Centro Diurno piuttosto che dall’educativa domiciliare, ma si devono concretizzare poi anche in interventi di inclusione lavorativa, di supporto alla genitorialità, di supporto educativo e di analisi degli errori. Tutto questo è la Paidòs in collaborazione con gli enti del territorio per cercare di superare i ‘bug’ del sistema famiglia che si inceppa. Questo lavoro comporta tanta fatica ed un intervento quotidiano fondato sulla coerenza dell’agire quale strumento principe dell’educazione. E’ un piccolo/grande problema: perchè si sceglie di fare l’educatore? Non per diventare ricco, né per ricevere gratificazioni se non a lunga scadenza, non perché si ha tanta pazienza e nemmeno per salvare sé stessi, ma allora perché? Spesso la risposta viene da sé. Nella maggior parte dei casi chi fa l’educatore probabilmente non avrebbe potuto far altro che l’educatore. Chi fa l’educatore, soprattutto nel mondo Paidòs, sceglie di abbracciare un mondo fatto di preoccupazioni, pensieri, crisi e pianti, sorrisi e delusioni, arrabbiature e anche minacce, ma sceglie anche di sapere che prima o poi ci sarà un bambino/a o una ragazza/o, un genitore o un parente che ti farà capire con uno sguardo, con un abbraccio o con una vita nuova che ne è valsa la pena. Ragazzi che a distanza di anni formano nuove famiglie e ci vedono sempre come loro riferimenti, situazioni familiari ricomposte e perché no anche affidi andati a buon fine. Per questo gli educatori, i volontari e tutti gli operatori della Paidòs ogni giorno decidono di impegnarsi, perché per ogni tentativo che si fa… ne varrà sempre la pena…”.

Voi siete stati partner e anche parte del DocuFilm La luce dentro. Ce ne può parlare?

“‘Le ombre e le paure di ogni ragazzo non potranno mai essere più grandi della luce che hanno dentro’. Nasce così il titolo del docu-film ‘La Luce dentro’ del regista Luciano Toriello che fotografa in modo crudo ma toccante, le fragilità che emergono nei contesti familiari con genitori detenuti e le esigenze affettive ed educative dei figli. Il film è stato prodotto da Apulia Film Commission e Fondazione con il Sud in partenariato con la Cooperativa Paidòs e Lavori in Corso ed è presentato in anteprima alla Camera dei Deputati nello scorso febbraio. Ha avuto il coraggio di raccontare alcune storie che intersecano momenti drammatici a momenti di speranza che seguono il file rouge di una infanzia che ‘subisce’ gli errori dei grandi. Con ‘La luce dentro’ la Paidòs ha potuto così raccontare uno spaccato delle proprie attività evidenziando tutte le problematiche e le contraddizioni di un mondo che però pone sempre delle alternative e possibilità di svolta”.

La pandemia vi ha creato problemi?

“La pandemia ci ha travolto così come ha travolto tutti. E rispetto ad un periodo iniziale in cui tutti insieme ci siamo cimentati a riempire il tempo con DAD, compiti, dolci, pizze, pasta fatta in casa, karaoke, Monopoly e play station, oggi il clima è cambiato. Un turbinio di emozioni, paure e sconforto pervade l’animo dei ragazzi e degli operatori. Le relazioni interpersonali ‘freezzate’ che non hanno sbocchi se non in videochiamate, incontri fugaci e sorrisi nascosti. Oggi come non mai i ragazzi ci chiedono a viva voce di tornare a scuola per riprendersi un pezzettino di quella vita che sembra scorrere lenta e senza sussulti, con la spiacevole sensazione di una abitudine che consuma un po’ alla volta. I rapporti con le famiglie di origine o con le famiglie di appoggio sembrano alterarsi, alternarsi lasciando dietro le mascherine tante parole, tanti abbracci e tanti sorrisi che non torneranno. Stiamo resistendo e i ‘nostri’ ragazzi in questo stanno dimostrando una resilienza e una capacità di sopportazione fuori dal comune, ma anche la loro pazienza sta finendo e tutti abbiamo voglia di tornare alla vita ‘di prima’ quando anche dopo un rimprovero ci si poteva riabbracciare e ricominciare. Oggi più che mai Paidòs, dalla parte dei bambini, sempre”.

(ITALPRESS).

Borgomeo “Il carcere sia anche il punto di partenza per una nuova vita”

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“Da sempre la Fondazione CON IL SUD ha sostenuto con profonda convinzione i progetti di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, per il loro carattere sperimentale, per la qualità dei contenuti e delle metodologie, per la competenza e l’entusiasmo dei promotori. C’è la questione del sovraffollamento, ma è inevitabile che questo tema si intrecci con quello dei servizi e delle opportunità offerte ai detenuti per compiere un vero percorso rieducativo, così come previsto dalla nostra Costituzione”. Lo afferma Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione CON IL SUD.
“Ma nel commentare i risultati che, puntualmente queste iniziative colgono, ci si interroga su come fare a trasferire questi modelli d’intervento all’interno delle politiche penitenziarie ordinarie. Una sorta di muro di gomma impedisce a queste esperienze di “contaminare” le politiche pubbliche. Eppure la qualità degli interventi è fuori discussione, come riconosciuto da tutti; eppure i risultati, anche quantitativi, sono evidenti; eppure è palese la “convenienza” per l’Amministrazione penitenziaria a diffondere e promuovere simili pratiche”, aggiunge.
“Convenienza anche in termini strettamente economici. Una sorta d’invincibile inerzia sembra orientare le politiche: e come in altri settori del sociale vince il timore di cambiare, di sperimentare, di mettere in discussione ruoli, competenze e, anche, meschini privilegi. Noi, con le nostre piccole forze continueremo a segnalare l’esigenza di un forte cambiamento. Lo facciamo per convinzione e lo facciamo per dare voce alle decine di progetti che ci sono pervenuti quando abbiamo pubblicato un bando per promuovere iniziative di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti – sottolinea Borgomeo -. Una domanda fortissima: sono stati coinvolti tutti gli istituti di pena del Sud. La nostra risposta è stata purtroppo parziale, considerate le risorse finanziarie a nostra disposizione. Ma bisogna insistere. E lo faremo”.
“Il carcere non può e non deve essere solo il luogo in cui scontare una pena, quelle quattro mura dovrebbero rappresentare anche il punto di partenza per una nuova vita. E questo cambiamento può realizzarsi concretamente attraverso il lavoro: dà dignità, ma dà anche motivazioni e soddisfazioni per ripartire su nuove basi”, conclude il presidente della Fondazione CON IL SUD.
(ITALPRESS).

I territori che ripartono da sviluppo sociale e inclusione

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L’attaccamento alla propria terra, il desiderio non solo di non abbandonarla ma di renderla un effettivo e concreto soggetto propulsivo di sviluppo sociale ed economico, nonché di sostegno alle persone più fragili. Questo il filo conduttore delle esperienze raccontate nel focus di dicembre 2020 del progetto “ITALPRESS con il SUD: il terzo settore e il volontariato nel Mezzogiorno”, in collaborazione con la Fondazione con il Sud. “Utilità marginale” è un’iniziativa che si sviluppa nel Leccese, ed è tesa al recupero dei terreni abbandonati o incolti come occasione per creare sviluppo e occupazione per giovani in difficoltà diverso tipo. La marginalità a cui fa riferimento il titolo del progetto è quella delle persone con disabilità psichica che sono state coinvolte in percorsi di formazione e inserimento lavorativo in campo agricolo. Hopeificio, nel Foggiano, è sostenuto dalla Fondazione Con il Sud nell’ambito del bando socio-sanitario, con l’obiettivo di rafforzare l’offerta di servizi rivolti a persone con disabilità psichica, partendo dalla necessità di promuovere attività di formazione che possano trasformarsi in acquisizione di competenze professionali e in occasioni lavorative. Il progetto Food Truck si propone di favorire l’inserimento sociale e lavorativo di giovani immigrati presenti sul territorio di Lecce attraverso percorsi di formazione in ambito gastronomico. Poi c’è la cooperativa Agricola Mpidusa, nata a Lampedusa nell’ambito del progetto Lampedusa Eco Farm. È un veicolo di inserimento socio-lavorativo di giovani anche con disabilità e al tempo stesso un innovativo modo di affrontare, partendo dal denominatore comune della terra, la complessità dell’isola – che è fortemente esposta agli effetti del cambiamento climatico ma soprattutto crocevia di migrazioni e culture e di questioni sociali ed ecologiche.
(ITALPRESS).

Utilità Marginale e il recupero di terreni e persone

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Il progetto Utilità Marginale, promosso dalla Fondazione Div.ergo-Onlus di Lecce, è un programma di agricoltura sociale – sostenuto da Fondazione Con il Sud ed Enel Cuore Onlus tramite il bando Terre colte – per il recupero e la valorizzazione di terreni incolti e abbandonati del territorio di Lecce, per l’inclusione lavorativa e sociale di un gruppo di 10 giovani e adulti con disabilità intellettiva.
Maria Teresa Pati, presidente della Fondazione Div.ergo-ONLUS e coordinatrice del progetto Utilità Marginale, racconta come è nato, come si è sviluppato, quali sono state le difficoltà incontrate e quali sono le prospettive future.

Come nasce il progetto?

“Utilità Marginale è l’evoluzione di una prima esperienza, avviata nel 2015 e denominata ‘H.orto’: una proposta fatta a 6 giovani con disabilità di coltivare un orto e curare il parco-giardino di una struttura della Fondazione, Casetta Lazzaro, assieme ad alcuni volontari. Il motto del progetto, inventato da uno dei giovani con disabilità che ne fanno parte, è ‘stanchi ma felici’. Qui alcuni giovani hanno iniziato a prendere dimestichezza con zappa, rastrelli, cicli e tecniche colturali. Il successo dell’iniziativa ha fatto sì che Fondazione Div.ergo-ONLUS potesse ideare un progetto più ampio e strutturato in risposta al Bando ‘Terre Colte’ di Fondazione CON IL SUD e da Enel Cuore Onlus. Grazie al contributo di 144mila euro ricevuto, da gennaio 2018 per Lucio, Gianmarco e Stefano l’agricoltura è diventato il loro lavoro, da quando cioè sono stati assunti dalla Cooperativa sociale Filodolio, partner dell’iniziativa, e si occupano di topinambur, zafferano, legumi, prodotti orticoli e grano. Il bando Terre Colte 2017 è stato la spinta che ci ha permesso di fare il salto. Accanto a loro, per altri 7 giovani con disabilità, Chiara, Giacomo, Francesca, Valentina, Serena, Mattia ed Elisabetta, è stato attivato un tirocinio formativo retribuito della durata di tre mesi ciascuno per l’apprendimento della coltivazione di micro-ortaggi in serra. All’ente capofila del progetto si affianca un partenariato costituito dalla cooperativa sociale Filodolio, dall’Università di Bari, dall’Associazione di volontariato C.a.sa., dalla CIA di Lecce, da Azienda Agricola Pezzuto-Zafferano del Salento ed Espéro-Sara Lab, per le attività di monitoraggio. Nel corso del progetto sono state strette ulteriori partnership con Slow Food Lecce, con il Polo biblio-museale della Provincia di Lecce e il Museo Castromediano, con la Cooperativa Capovolti di Salerno, anch’essa vincitrice del bando Terre colte. Il progetto prende il nome dall’utilità marginale, uno dei capisaldi della teoria economica neoclassica, e diventa un’azione volta a restituire valore e dignità a ciò che è finito ai margini. Scopo del progetto è valorizzare le marginalità sociali, colturali ed economiche: un programma di agricoltura sociale, che favorisca il riutilizzo di piccoli terreni abbandonati, il recupero di colture tradizionali e la sperimentazione di modelli innovativi di integrazione sociale e lavorativa di persone con disabilità. La scommessa per il futuro è di rendere tutto questo modello sostenibile e l’obiettivo è quello di dare una struttura tanto all’organizzazione del lavoro quanto alla rete di commercializzazione, coinvolgendo ulteriori ristoranti di eccellenza e cittadini interessati ad acquistare prodotti solidali e a km0, affinché tanto i benefici quanto i pesi (economici e di lavoro, anzitutto) di questo percorso siano equamente distribuiti e perciò sostenibili. A rappresentare il progetto è il logo ideato dall’agenzia di comunicazione Kaleidon di Rimini, la stessa che ha gestito la regia comunicativa e la realizzazione di contenuti multimediali per The Economy of Francesco, l’evento digitale voluto da Papa Francesco lo scorso novembre. Il simbolo trae ispirazione dal fiore dello zafferano, una delle coltivazioni avviate nel progetto: la forma riprende i petali viola, e gli stimmi al suo interno vogliono rappresentare le persone che sono sostenute e avvolte da una forma aperta che li accoglie e li promuove”.

Dove operate?

“La Fondazione ha sede a Lecce ma opera anche a Santeramo in Colle (BA) e Fano (PU). A Lecce promuove il progetto Laboratorio creativo Div.ergo che è risultato tra i vincitori dell’edizione 2020 del premio nazionale per l’innovazione nell’economia sociale ‘Angelo Ferro’ di Fondazione Zancan e Fondazione Cariparo. Altro progetto di inclusione sociale della Fondazione Div.ergo è il progetto ASHRÉ che promuove il volontariato inclusivo, ovvero esperienze di volontariato nelle quali giovani con disabilità sono soggetti attivi e non destinatari: fino all’emergenza COVID realizzavano attività di socializzazione per anziani di 4 case di riposo. La sospensione forzata di questo tipo di esperienza ha fatto sì che il volontariato inclusivo si spostasse su attività di cura, manutenzione e animazione di spazi urbani. Grazie ai fondi del bando Terre colte, la Fondazione Div.ergo-ONLUS ha potuto avviare il recupero e la coltivazione di 4 ettari di terreni abbandonati o incolti della fascia periurbana della città di Lecce”.

Chi sono i ragazzi coinvolti nel progetto?

“La Fondazione Div.ergo-ONLUS in totale coinvolge nelle sue varie attività 65 giovani e adulti con disabilità intellettiva. In particolare, destinatari dell’iniziativa Utilità marginale sono 10 giovani e adulti, 3 dei quali assunti dalla Cooperativa sociale Filodolio, partner del progetto, e 7 coinvolti attraverso tirocini formativi retribuiti”.

Che cosa producete?

“Topinambur fresco e trasformato (topinambur sott’olio, al naturale, in paté), zafferano in stimmi, grano e prodotti da forno come friselline, biscotti, pasta fresca, agrumi, ortaggi di stagione e, dulcis in fundo, micro-ortaggi”.

Cosa sono i micro-ortaggi e come avete pensato di coltivarli?

“I micro-ortaggi, dall’inglese microgreens, sono giovani e tenere plantule commestibili prodotte a partire dai semi di varie specie di ortaggi, colture erbacee, erbe aromatiche e piante spontanee. A seconda della specie utilizzata, possono essere raccolti dopo poche settimane dalla germinazione, quando le foglie cotiledonari sono completamente distese e c’è stata la formazione delle prime foglie vere. Una coltivazione innovativa, avviata come percorso sperimentale insieme all’Università degli Studi di Bari, e divenuta ormai un’esperienza continuativa all’interno di Utilità marginale. Ad oggi, diversi ristoranti di eccellenza di Lecce – tra cui uno segnalato sulla guida Michelin – acquistano e utilizzano questo particolare prodotto per arricchire i loro piatti gourmet. Salutari, colorati e dal sapore intenso, sono un concentrato di vitamine, sali minerali e antiossidanti che contribuiscono ad un buono stato di salute: nonostante le dimensioni ridotte, sono in grado di fornire una variegata gamma di sapori intensi, colori vivaci e una buona consistenza. Si prestano a sfiziose decorazioni, ideali per primi o secondi piatti raffinati, a base di carne o di pesce; sono un ottimo ingrediente per un semplice panino o una ricca insalata, si legano bene anche con salse, formaggi, bruschette o crostini. La nostra produzione di micro-ortaggi, che include specie come rucola, cavolfiore, basilico violetto, sedano, ravanello, cima di rapa, bietola, cicoria, sta trovando impiego in alcuni tra i più rinomati ristoranti di Lecce e i più raffinati negozi di ortofrutta della città. Prima dei provvedimenti di distanziamento, fisico diversi chef hanno messo a disposizione la loro creatività per realizzare, insieme ai giovani lavoratori alcuni piatti esclusivi che prevedessero l impiego dei micrortaggi e che sono stati offerti in degustazione in alcuni iniziative ‘open day’ dove gli stessi protagonisti del progetto illustravano ai visitatori i luoghi e le tecniche del loro lavoro nonché lo spirito del progetto. La possibilità di assaggiare i micro-ortaggi è arrivata, grazie all’interessamento di Fondazione con il Sud, fino ad un evento organizzato presso la Fondazione Maxxi di Roma, il museo nazionale delle arti del XXI secolo, al palato della presidente Giovanna Melandri”.

Come avete strutturato la rete di vendita?

“È una rete composita che consente la commercializzazione dei prodotti del progetto e che va dalla vendita online sul sito shop.divergo.org a quella diretta tramite gruppi di acquisto, la fornitura ad esercizi commerciali, locali e ristoranti”.

Questo difficile tempo della pandemia vi ha creato problemi?

“Sì, difficoltà nella commercializzazione soprattutto a causa della crisi della ristorazione e il cambiamento delle abitudini di acquisto che comporta la necessità di strutturare nuove risposte e di allargare gli orizzonti rispetto al contesto locale, specie sul fronte della commercializzazione. La pandemia è stato un tempo strano anche per i nostri lavoratori, in quanto diversi di loro hanno vissuto con ansia il dover stare chiusi a casa tanto tempo, hanno sentito in modo particolare la tensione del periodo con l aumento della distanza tra le persone e la riduzione delle interazioni. D’altra parte la possibilità di continuare ad andare in campagna ad occuparsi delle colture, mentre quasi tutti erano fermi, è stato per loro un compito responsabilizzante e di grande aiuto per dare un senso positivo a questo tempo difficile e per cementare il senso di appartenenza a questo progetto”.

(ITALPRESS).

Hopeificio, formazione e lavoro per il riscatto dei più fragili

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Hopeificio è un progetto sostenuto dalla Fondazione Con il Sud nell’ambito del bando socio-sanitario, con l’obiettivo di rafforzare l’offerta di servizi rivolti a persone con disabilità psichica, partendo dalla necessità di promuovere attività di formazione che possano trasformarsi in acquisizione di competenze professionali e in occasioni lavorative. Il progetto si sviluppa nel comune di Chieuti, un’area rurale interna dell’Alto Tavoliere con problemi di declino socio-economico. Ne parla Carmine Spagnuolo, coordinatore di Hopeificio.

Come nasce il progetto?

“L’Hopeificio parte da una speranza, dal desiderio di pensare al sociale in relazione all’economia, in modo da renderla oggetto di riscatto per chi non riesce ad entrare nel mondo del lavoro per i motivi più disparati. Sul nostro territorio i percorsi di cura e di riabilitazione sembrano infiniti, senza una via d’uscita. Il lavoro, quindi, è un elemento fondamentale per offrire alle persone più fragili una nuova rappresentazione di sé e il superamento della malattia. Grazie alla cooperativa di tipo B proviamo a produrre merce, in questo caso olio, da immettere sul mercato. Non chiediamo l’elemosina ma produciamo alla pari, facendo forza sulla nostra capacità di stare sul mercato offrendo un prodotto di qualità. In questo caso ‘Volío’, il frutto concreto del lavoro di persone con disabilità psichica inserite nel progetto ‘Hopeificio’ promosso dalla cooperativa sociale Medtraining di Foggia e sostenuto dalla Fondazione CON IL SUD nell’ambito della terza edizione del ‘Bando Socio Sanitario’. L’iniziativa gode di un ricco partenariato pubblico e privato di cui fanno parte, fra gli altri: l’ASP ‘Castriota e Corroppoli’, il Dipartimento di Salute Mentale Asl Fg, e la cooperativa sociale di tipo B Ortovolante’. Partiamo dal fondo: è pronto l’olio ‘Volío’, perché questo nome? ‘L’olio ‘Volío’ è pronto anche quest’anno. Le olive raccolte nel mese di ottobre sui terreni dell’ASP ‘Castriota e Corroppoli’ di Chieuti si sono trasformate nell’olio extravergine d’oliva dal gusto dell’inclusione sociale e lavorativa, che ha l’obiettivo di contrastare lo stigma nei confronti di quanti affetti da disagio psichico. Leccino, Peranzana, Frantoiana, Provenzale. Sono tante le varietà delle olive raccolte. Dopo i giorni della raccolta e della molitura, braccianti agricoli ed operatori della cooperativa sociale Ortovolante hanno chiuso il processo di filiera corta di produzione. Paolo, Luigi, Gaetano, Giuseppe e Nicola, insieme all’operatore Francesco De Pasquale e all’agronomo Francesco Di Lucia, portano avanti questa importante iniziativa che coniuga agricoltura biologica, innovazione ed inserimento socio-lavorativo. E la valutazione organolettica effettuata sulla nuova produzione premia la qualità di ‘Volío’ indicandolo come olio equilibrato, con fruttato maturo, mediamente amaro e piccante caratterizzato dall’attributo di mandorla matura. Non solo. Le olive raccolte e trasformate in olio sono ricche di antiossidanti naturali (polifenoli) e quindi utili per la prevenzione dei tumori e per conservare i grassi radicali liberi. Il nome ‘Volío’, invece, si rifà all’idea di stuzzicare la voglia di qualcosa di buono abbinata all’olio. Il desiderio di assaggiare qualcosa di diverso, di biologico, di particolare. E’ sapore di terra, di casa, di vita’. Avete recentemente concluso la raccolta delle olive: prima che lavori avete fatto? ‘Le attività si svolgono durante quasi tutti i mesi dell’anno, e vedono i ragazzi impegnati in interventi di potatura, di cura delle piante, concimazione dei terreni. Le attività più strettamente legate ai lavori di produzione iniziano mesi di maggio e giugno. In quel periodo, i ragazzi con disabilità psichica sono impegnati nella lotta alla mosca olearia, il temibile parassita che può provocare gravi danni alla coltura dell’olivo, disponendo tra gli alberi d’olivo le ecotrap, la nuova tecnica di difesa compatibile con il regolamento sull’agricoltura biologica. Poi verso fine agosto, dopo la pausa estiva, si svolgono i lavori di spollonatura degli oliveti. Abbiamo sperimentato la tecnica di pacciamatura con i residui dello sfalcio. La tecnica di permacoltura è utilizzata per l’agricoltura biodinamica. In pratica, i residui vengono disposti alla base delle giovani piante, in questo modo si crea uno stato che evita la crescita delle malerbe, evita la perdita di acqua per evaporazione quindi conserva l’acqua nel terreno prossimo alle radici. Il mese di settembre è più che altro di controllo, d cure delle piante, non ci sono particolari lavori da fare sui terreni. A metà ottobre, infine, inizia la raccolta delle olive. Oltre duecento alberi d’olivo da bacchettare per vedere piovere nelle reti stese a terra le olive destinate a trasformarsi in ‘Volío’. La raccolta è durata fino al 27 ottobre ed ha visto i ragazzi impegnati anche con l’abbacchiatore per scuotere l’albero d’ulivo e raccoglierne i frutti in maniera veloce, senza arrecare danni, con una produttività molto elevata. L’attività di raccolta delle olive è stata affiancata dall’attività di molitura che si è svolta in un frantoio della provincia di Foggia”.

Come è nata l’idea? Quanti ragazzi seguite e come rispondono?

“L’idea nasce a seguito della conclusione di un laboratorio di attività forestali e ortoculturali per persone con disagio psichico che abbiamo svolto presso il Vivaio forestale dell’Acquara, ad Orsara di Puglia qualche anno fa. Da quell’esperienza, sono state avviate una serie di progettualità ed interventi in collaborazione con enti pubblici e privati con l’obiettivo di favorire l’inserimento socio-lavorativo di persone in condizioni di disagio utilizzando le metodologie e le tecniche dell’orto-silvoterapia, dell’olivicoltura, del giardinaggio, della tutela arborea – boschiva – ambientale. Di qui, l’elaborazione del progetto ‘Hopeificio’ che ha previsto l’individuazione di circa 12 persone con disagio psichico a cura dell’Asl di Foggia – Dipartimento di Salute Mentale, dei Servizi Sociali dei Comuni di Chieuti e Serracapriola e del Ser.D di Torremaggiore. Il numero dei ragazzi nel corso del progetto è sceso in modo fisiologico. Oggi del gruppo originario sono in cinque a lavorare sui terreni e rispondono tutti in modo coinvolgente e commovente. Il progetto ha acceso la speranza in questi ragazzi che giorno dopo giorno ‘imparano un mestiere’, quello dell’olivicoltore, e si rendono conto che questo lavoro è la via giusta per il riscatto sociale. Tramite il lavoro, questi ragazzi riescono ad evadere dalla loro situazione di disagio e, passo dopo passo, conquistano un reinserimento nella società che molte volte non è così attenta come dovrebbe’. Che cosa fanno durante gli altri mesi? ‘Il gruppo di lavoro è pressoché fermo nei mesi di dicembre e gennaio, periodi in cui i braccianti agricoli lavorano di meno a causa del freddo e delle piogge. Quest’anno, però, abbiamo in programma di riprendere le prime attività di potatura già a partire da metà gennaio. Durante questi due mesi di fermo. Comunque, sentiamo i ragazzi, ci assicuriamo che stiano bene, che seguano le varie terapie, che non abbiano problemi. Si è creata un gruppo affiatato di persone che all’occorrenza si incontrano anche fuori dall’ambiente di lavoro”.

A che punto è il frantoio?

“Lo scorso 27 luglio è stato stipulato il contratto di fitto dei terreni di proprietà comunale tra il Comune di Chieuti e la cooperativa sociale Ortovolante in cui sarà realizzato il frantoio che ha l’obiettivo di chiudere la filiera corta di produzione nell’ambito del progetto ‘Hopeificio’. L’iter di avvio lavori, complice anche il covid, ha subito dei piccoli rallentamenti, ma proprio da lunedì 21 dicembre sarà presentato il progetto con le tutte le richieste per la cantierizzazione dei lavor.i Il percorso di formazione teorica e pratica connesso al ciclo produttivo dell’olio extravergine, che ha coinvolto i beneficiari con disabilità psichica, si è ormai perfezionato e prevede: potatura, raccolta delle olive, molitura ed imbottigliamento dell’olio. Grazie alla realizzazione del frantoio che avverrà nei prossimi mesi, potranno dunque effettuare anche la trasformazione diretta senza rivolgersi a frantoi esterni. Anche in chiave economica rappresenta un importante risultato, un risparmio, e magari potremo anche svolgere il lavoro di molitura per conto terzi, come abbiamo iniziato già a fare per quanto riguarda la raccolta delle olive”.

La pandemia ha creato problemi?

“Il covid-19 non ha creato particolari problemi al gruppo di lavoro, anche perché i mesi di marzo e di aprile segnati dal lockdown non prevedevano attività specifiche su terreni. Pian piano, però, i ragazzi hanno ripreso ad andare su terreni facendo attenzione al rispetto di tutte le misure di sicurezza anti-covid. Hanno vissuto questo momento con tranquillità, vivendo al massimo dell’impegno le giornate in cui potevano recarsi sul posto di lavoro”.

(ITALPRESS).

Il Food Truck che fa incontrare esperienze e culture

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Food Truck si propone di favorire l’inserimento sociale e lavorativo di giovani immigrati presenti sul territorio di Lecce attraverso percorsi di formazione in ambito gastronomico. L’iniziale progetto formativo ha dato vita a ‘Cime di rapa Urban’ e ‘Cime di rapa – street food school’, una vera e propria scuola con studi in aula e laboratorio che consente a giovani aspiranti cuochi di mettersi alla prova preparando prodotti gastronomici legati al territorio.
Lo illustra in maniera più approfondita Elio Dongiovanni, direttore dell’ Agenzia Formativa Ulisse.

Come nasce il progetto?

“Cime di Rapa mette le sue radici sul mercato con il progetto ‘Food Truck’ presentato da Agenzia Formativa Ulisse insieme ai partner Coop Rinascita e Associazione Philos e sostenuto dalla Fondazione CON IL SUD, che non smetteremo mai di ringraziare, nell’ambito dell’Iniziativa Immigrazione 2017. Così abbiamo reso il cibo di strada un mezzo per favorire l’integrazione sociale e generare impatto sul territorio attraverso il lavoro.
La proposta iniziale rispondeva all’esigenza di attuare politiche del lavoro attive per migliorare l’integrazione dei migranti nel mercato del lavoro. Lo abbiamo fatto proponendo a diciotto ragazzi un percorso formativo professionale per la qualifica di Tecnico di Cucina a cui ha fatto seguito, per i sei selezionati, un’azione mirata di accompagnamento al lavoro (con la simulazione di un ristorante didattico) per poi favorirne l’inserimento lavorativo e dunque l’inclusione sociale e l’emancipazione economica. Abbiamo creduto nel loro potenziale, abbiamo trasmesso passione, conoscenze ed etica del lavoro. E’ stato creato un brand commerciale per sostenere il loro inserimento a cui è stato dato il nome di ‘Cime di Rapa’, nome scelto non solo per evocare uno dei prodotti più noti della Puglia ma anche per stimolare la riflessione su quanto sia importante dare una opportunità a tutte le persone che vogliono impegnarsi, quelli che nel modo di dire dialettale, spesso dispregiativo, vengono additati come ‘cima di rapa’. A maggio 2019 i ragazzi hanno così iniziato il loro tour in giro per la Puglia, tra festival ed eventi privati, per preparare le specialità della tradizione italiana. Ci siamo resi conto dell’efficacia del binomio formazione/lavoro e abbiamo applicato il sistema sulla nostra ‘Scuola di Cucina’ concentrando le nostre forze per costruire il futuro dei giovani allievi della scuola e dando opportunità concrete ai più meritevoli, indipendentemente dalla loro condizione socio economica. Per loro abbiamo dato vita al progetto ‘Cime di Rapa – Urban’ un nuovo modello di ristorazione per il brand ‘Cime di Rapa’ che si propone come format ristorativo per tutti quegli allievi che terminato il percorso di studi, pur avendo le capacità, non hanno la possibilità economica di avviare un’attività ristorativa. Sono i nostri allievi i protagonisti del brand Cime di Rapa, oggi per raccontare questo modello di Scuola Lavoro qualcuno parla di Codice Ateco Cime di Rapa. A Lecce in via Oberdan 55 si trova il primo locale, primo di una lunga serie”.

Siete partiti da corsi di cucina o meglio per ‘operatori di cucina’; ora avete una scuola, due truck e un’attività di franchising: i ragazzi che vi operano sono tutti stranieri?

“No. Cime di Rapa è ormai la storia di ogni giovane a cui viene data una grande opportunità, ed è una storia talmente identitaria che le persone per strada quando riconoscono il nostro colore dicono semplicemente ‘Verde Cime di Rapa’. Il nostro è un format tutto italiano e l’Italia è da sempre luogo di cultura, centro del mediterraneo e risultato dell’incontro tra popoli. Non è necessario che siano stranieri ma non vogliamo che sia una discriminante, anzi più Culture si incontrano più è facile diffondere Cultura. Così come non vogliamo che sia discriminante il contesto sociale o economico di riferimento, di fatto lavoriamo con associazioni di supporto a donne vittime di violenza, ragazzi che hanno abbandonato la scuola, persone emarginate e desiderose di imparare un mestiere. Abbiamo molti ragazzi italiani e altri stranieri (anche europei) ma da tutti loro noi pretendiamo lo stesso impegno, la stessa concentrazione e motivazione. Sul campo hanno la possibilità di imparare che bisogna studiare, migliorarsi, che il lavoro ha una sua etica, la brigata le sue regole e loro finalmente una opportunità”.

Quanti piatti offrite? Come li selezionate?

“Tutto nasce dallo studio delle ricette e delle materie prime condotto da Vita Basile, responsabile del prodotto Cime di Rapa e coordinatrice dello staff di cuochi, agronomi, tecnici, docenti. Sul ‘Food Truck – Grill’ prepariamo le pucce marchiate Cime di Rapa farcite nei modi più disparati ma sempre seguendo il fil rouge della tradizione pugliese: puccia con la parmigiana di melanzane, con la seppia e patate, con la salsiccia e cicorie, con la braciola… Sul ‘Food Truck Pasta’ orecchiette fresche con cime di rapa e le alici di Cetara, con polpette al sugo o con pomodoro e cacioricotta e altre varianti di stagione. All’interno dei Cime di Rapa Urban il menù si arricchisce ulteriormente con un progetto di valorizzazione della biodiversità che ha l’obiettivo di recuperare vecchie varietà di semi ormai rare nella grande distribuzione per rievocare gli antichi gusti e sapori del passato. Stiamo recuperando oltre 1600 varietà di ortaggi e legumi, coltivati negli ‘Orti Cime di Rapa’ sparsi in Puglia coinvolgendo coltivatori locali, come il pomodoro nero, il cavolo riccio, il cece rosso liscio delle Murge e tanti altri che vengono recuperati e lavorati per offrire ai clienti prodotti unici e dall’altissimo valore nutrizionale e culturale”.

Come è la risposta degli utenti, anche in questo periodo complesso? Che sviluppo prevedete?

“Non possiamo ancora trarre delle statistiche esaustive perché il periodo che stiamo vivendo non ci consente di lavorare a pieno regime e di misurare la soddisfazione della clientela e l’apprezzamento dei prodotti ma considerando il campione di clienti su cui abbiamo testato le prime ricette la risposta è molto positiva. Puntiamo da gennaio di mettere a coltura le varietà biodiverse di semi recuperati per presentare un menù unico al mondo nel rispetto delle stagionalità e lo facciamo attraverso cento ettari di terreno e dei contratti in campo con i contadini locali. Stiamo già catalogando la nostra ‘Dispensa Cime di Rapa’ che in futuro sarà disponibile per l’acquisto all’interno dei nostri ristoranti, che diventeranno non solo luoghi di ristorazione ma veri musei della biodiversità. Puntiamo così a portare la biodiversità in una catena ristorativa, a creare un prodotto unico in un processo standardizzato. Questo ci permetterà di formare sempre nuovi giovani, aprire nuovi punti e inserirli in un contesto consolidato, rendendo il progetto sempre replicabile e addirittura auto-replicabile. In estate inauguriamo i due ristoranti nelle masserie a Maruggio e Martina Franca con altre due brigate di allievi, dando vita al modello ‘Cime di Rapa – Farm’ e poi nel 2021 contiamo di aprire altri punti Cime di Rapa – Urban nel centro e nord Italia, mentre i Food Truck di Cime di Rapa – Street continueranno a girare per le piazze italiane. Ogni tassello che aggiungiamo al progetto ne genera automaticamente altri come in un’economia circolare e questo ci fa capire che il progetto è sulla buona strada”.

La pandemia ha creato problemi?

“Abbiamo inaugurato i Food Truck a maggio 2019, per poi fermarci a marzo 2020. Il primo ‘Cime di Rapa Urban’ a Lecce è stato aperto a Settembre 2020, tra la prima e la seconda ondata. Certo, l’emergenza Covid ha obbligato a rallentare il passo ma il 2021 non fa paura: Martina Franca, Maruggio, Alberobello, Matera, Roma, Bologna saranno le prossime tappe dove sarà possibile assaporare i nostri prodotti. Cime di Rapa diventerà una catena di street food nazionale con piatti biodiversi, servizio rapido e continuo dalle 8 alle 24 in cui il cliente potrà assaporare piatti unici della tradizione e conoscere la cultura della cucina italiana. Approfittiamo di questo rallentamento per sperimentare nuovi piatti, consultare vecchi ricettari di cucina popolare e soprattutto formare nuove brigate per le prossime aperture”.

(ITALPRESS).

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