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Con Beteyà l’integrazione è di moda

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Beteyà è un marchio di moda etica nato nell’ambito del progetto Sud Arte & Design, sostenuto dalla Fondazione CON IL SUD. Otto ragazzi, tra siciliani ex disoccupati e migranti, dopo essere stati opportunamente formati, sono stati inseriti per lavorare su vari fronti dalle vendite alla grafica.
La linea di abbigliamento total look da uomo, donna e ragazzi comprende camiceria, pantaloni, t-shirt, felpe tutti realizzati con stampe e grafiche che richiamano i colori e gli elementi più tipici dell’Africa. Inoltre la quota di 1,33 euro di ogni capo venduto viene devoluta ai progetti che l’Associazione Don Bosco 2000 sta realizzando in Senegal e Gambia. Paesi in cui, grazie al progetto della migrazione circolare, si aiutano i migranti che sono arrivati in Sicilia a rientrare dopo aver acquisito competenze nei settori dell’agricoltura e della gestione d’impresa.
Grazie al loro impegno, si stanno realizzando orti nei villaggi più poveri della savana senegalese e gambiana, per creare opportunità di sviluppo sostenibile in grado di dare un’alternativa alla migrazione forzata di tanti giovani africani. Il resto dei proventi serve a sostenere l’attività del brand.
Parliamo di Beteyà con Gabriella Giunta, dell’ufficio comunicazione Don Bosco 2000.

Come nasce il progetto e perché avete pensato di operare nel settore moda?
Il progetto Beteyà prende il via nel febbraio 2017 quando un network di partner dell’entroterra siciliano propone “Sud – Arte & Design” per il bando “Beni Confiscati 2016” di Fondazione con il Sud, con l’obiettivo di creare un progetto di sviluppo per il territorio che avesse alla base il sostegno alla legalità, l’integrazione, l’eticità, la sostenibilità e l’esclusività. Del network facevano parte l’Associazione Don Bosco 2000 (capofila), il D.A.S. Società Cooperativa, Confcooperative Sicilia, il Comune di Villarosa e l’Associazione Culturale Bellarosa. Ad agosto 2017 il progetto “Sud – Arte & Design” viene finanziato e il 4 ottobre si avvia il progetto dell’atelier nei beni confiscati alla mafia. Nel 2018 si ristrutturano i beni, si definiscono il visual e il piano di marketing, si visitano fiere e fornitori per individuare macchinari e materiali, si inizia il corso di formazione dei giovani del territorio. Alcuni di loro selezionati per il progetto grafico realizzano una work experience presso un’azienda torinese e inizia lo studio dei prototipi per il catalogo mentre si lavora all’allestimento del negozio a Catania e al sito dell’e-commerce https://www.beteya.com/. I valori che connotano il brand Beteyà sono riconducibili gli stessi che hanno mosso i soci fondatori e che informano progetto e business idea. In concreto, visto che il laboratorio nasce all’interno di beni confiscati alla mafia, il valore cardine su cui vengono innestate tutte le scelte aziendali è rappresentato dalla legalità. Inoltre, poiché tra le risorse umane sono presenti ragazzi extracomunitari ospiti dello SPRAR, altro valore fondante dell’azienda non può che essere l’inclusione/integrazione. A fianco a questi elementi valoriali ci saranno, quali corollario dei già elencati, l’eticità e la sostenibilità dei materiali utilizzati e delle scelte di marketing che andranno fatte. La scelta del settore moda è derivata da un’analisi di marketing che ha individuato nell’abbigliamento un settore nel quale le competenze dei giovani avrebbero potuto essere sviluppate in base alle predisposizioni dei giovani, soprattutto i migranti. Molti giovani infatti avevano dimostrato competenze nel settore della sartoria e in effetti la loro abilità è risultata la chiave della buona riuscita del progetto. Tali competenze sono state poi sviluppate attraverso tirocini e work experience presso aziende qualificate. Il team di lavoro, praticamente inalterato dall’avvio del progetto, è composto da giovani siciliani e migranti, insieme per dare unicità ai capi realizzati e decorati.
Anche se il settore di vendita è l’abbigliamento, oltre al settore della produzione dei capi, migranti e siciliani sono impegnati anche nei settori della grafica (per realizzare i visual del progetto) e della vendita (nei negozi). Il team creativo è composto da un grafico siciliano di grande esperienza e da 2 giovani, entrambi migranti che hanno svolto un periodo di formazione per acquisire competenze soprattutto sugli strumenti grafici. L’elaborazione dei visual e la decorazione dei capi è quindi frutto di un lavoro di squadra, eterogenea rispetto all’esperienza, all’età e alla formazione culturale. Il marchio Beteyà è registrato e tutti i visual sono utilizzati solo ed esclusivamente in prodotti o supporti grafici che sono riferiti alle collezioni moda e home (per la casa)”.

I ragazzi stranieri hanno contaminato i prodotti con il loro background culturale?
Questo è un passaggio fondamentale. La strategia complessiva del progetto mira a mettere insieme capitali umani diversi (migranti e italiani) per la realizzazione e la vendita di prodotti che rappresentano la sintesi tra due diversità culturali come quella africana e quella europea. In questo contesto, attraverso una fase compatta di formazione tra giovani al di sotto dei 29 anni siciliani e migranti (con buon livello di scolarizzazione) si son messe in atto una serie di dinamiche già sperimentate per far diventare la diversità tra le risorse umane una ricchezza e non un limite.

Qualche ragazzo pensa di proseguire autonomamente l’attività grazie alle competenze apprese?
Al momento i ragazzi sono tutti impegnati full time nel progetto ma le competenze acquisite sicuramente sono una base di esperienza fondamentale per la crescita personale.
I due shop sono stati chiusi durante la pandemia: come avete reagito a questa grave emergenza?
In osservanza delle norme anti-covid entrambi i punti vendita, quello centro a Catania e quello nel centro commerciale sono stati chiusi e hanno riaperto quando è stato possibile, anche se chiaramente il progetto ha subito una battuta d’arresto non indifferente. Anche lo shopping online ha avuto un calo drammatico ma adesso abbiamo ripreso a pieno regime. Durante le prime settimane dell’emergenza il laboratorio Beteyà è stato convertito alla produzione di mascherine per garantire la sicurezza degli operatori dei centri di accoglienza gestiti dall’associazione Don Bosco 2000, capofila del progetto”.

“Credo sia importante sottolineare – sottolinea Agostino Sella, presidente di Don Bosco 2000, capofila di Beteyà – i valori del progetto, principalmente la legalità, la sostenibilità e l’integrazione. La presenza di ragazzi migranti e ragazzi siciliani è garantita in tutti gli step del progetto”.
“Infine, il valore della legalità è il cardine dell’idea progettuale, non soltanto – conclude Stella – in prospettiva di “antimafia” ma in termini di rifiuto di tutto ciò che è illegale, nel senso più ampio del termine, anche nei confronti di tutto ciò che lede la dignità delle persone, a prescindere dalla loro razza o religione. Nel progetto convergono le storie di tutte le persone che ci stanno lavorando, ognuna delle quali apportando un contributo unico. Non a caso, il visual denominato “people” rappresenta il cuore del progetto con un grande spirito di aggregazione e lavoro di squadra”.
(ITALPRESS).

Percorsi alternativi al carcere, a Palermo la “Sartoria sociale”

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La Sartoria sociale di Palermo nasce all’interno di un progetto – sostenuto dalla Fondazione CON IL SUD – dal nome bellissimo e significativo: “Sartoria sociale: ricucire il territorio’. Logisticamente posizionata all’interno di un bene confiscato nel quartiere Malaspina di Palermo, la Sartoria coinvolge nella sua attività persone in difficoltà che vengono segnalate dai servizi sociali o dai giudici per l’attivazione di percorsi alternativi al carcere. Ha anche un laboratorio di cucito presso la Casa Circondariale Pagliarelli di Palermo. Ne parliamo con Rossella Failla, responsabile comunicazione.
Come nasce la Sartoria Sociale e che obiettivi si è posta?
La “Sartoria Sociale”, impresa nel campo del riciclo tessile e sartoriale, nasce nel 2012 nell’ambito della cooperativa Al Revés attiva dal 2012 nel lavoro sociale. E’ stata inizialmente avviata in autofinanziamento e dalla sua nascita ha già accolto, formato e seguito oltre 150 persone tra cui detenuti, immigrati, utenti di servizi della salute mentale, donne in difficoltà, giovani adulti, tossicodipendenti e adulti e minori con provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria. Collabora con servizi pubblici, di privato sociale ed aziende del Comune ed ha sviluppato laboratori di avvio agli elementi sartoriali con ragazzi down e nei quartieri popolari in collaborazione con realtà associative. Opera attraverso la predisposizione di piani di auto imprenditorialità personalizzati in base al soggetto svantaggiato preso in carico e tende ad offrire prodotti che provengano da processi di cambiamento (vendita di abbigliamento usato rivitalizzato, restyling e upstyling di abiti e accessori, critical fashion, merchandising, arte tessile d’arredo, bomboniere). A ciò aggiunge la fornitura di servizi che riguardino il campo del cucito e dell’abbigliamento tra cui corsi di cucito, di riciclo creativo, servizi sartoriali, stireria. Al Revés propone un’esperienza di lavoro fondata sul “ciclo di comunità”, cioè su un percorso di educazione al lavoro che coinvolge diverse persone e che si basa sulla condivisione di competenze ed esperienze. Ciascuno viene inserito nell’ambito più consono, in cui possa essere responsabilizzato e valorizzato per le sue abilità. Il processo creativo è sempre frutto di inclusione sociale e di un confronto disomogeneo tra persone con diverse abilità e competenze, e che coinvolge anche il cliente in processi di autoproduzione. La creatività per noi è anche uno strumento di crescita interiore, sociale e umana, quindi ognuno dei collaboratori, volontari e soci della cooperativa viene interpellato nelle decisioni relative alla produzione. Tra le produzioni più attuali indichiamo la linea di borse si chiama Curvy Bags, che abbiamo realizzato in 8 fantasie differenti ispirandoci ai colori, ai paesaggi e alle geometrie della Sicilia.Due di questi modelli vengono realizzati con tessuti di pregio di antichi copriletti siciliani con un richiamo forte alla Sicilia non ‘fantastico’ ma nell’origine stessa del tessuto’.
‘Un’altra collezione di cui andiamo molto fieri – aggiunge -, soprattutto per il messaggio che veicola, è Made In Mediterraneo che abbiamo presentato anche alla Milano Design Week 2019: borse e borsoni in patchwork di jeans con inserti in wax africano. L’idea creativa è ispirata al valore dell’interculturalità e al Mediterraneo come crocevia di popoli. Le increspature blu del jeans si fondono alle calde geometrie degli inserti in wax africano. Un viavai di colori nel mosaico dei popoli’.

Chi sono i partners del progetto?
L’Accademia di Belle Arti di Palermo, la Fondazione Progetto Legalità, il Consorzio ARCAsono i partner mentre la Fondazione con il Sud sostiene il progetto dal 2017 e ciò ci sta permettendo di portare avanti tante collaborazioni professionali e tanti progetti, dalle attività di comunicazione e web marketing alla stampante per tessuti, all’acquisto della motoape…La sfida per noi è quella di diventare auto-sostenibili e per chi fa impresa sociale non è semplice perché abbiamo costi di gestione elevati e dinamiche particolari da tenere in piedi ma ci stiamo impegnando per farlo!
Come avete reagito al lockdown?
Il lockdown ci ha costretti a rimodulare l’attività e ad acquisire dinuovi codici ATECO per la sua prosecuzione dell’attività. Il lavoro sartoriale ha subito una battuta d’arresto e siamo tutti stati impegnati nella produzione di mascherine in stoffa; abbiamo aperto il laboratorio due volte a settimana e abbiamo investito sui social per acquisire nuovi clienti in ambito locale e nazionale. L’impresa sociale non si è fermata: abbiamo donato le nostre mascherine a tanti enti, comunità e persone bisognose, abbiamo distribuito beni di prima necessità in collaborazione con la Caritas presso le abitazioni delle famiglie indigenti e abbiamo continuato ad essere presenti sul territorio nelle modalità consentite. Abbiamo purtroppo dovuto sospendere alcuni tirocini formativi, tutte le attività in presenza e quelle in carcere mentre abbiamo realizzato dei tutorial sulle produzioni artigianali sartoriali per incontrare sui social nuovi contatti e tenere viva l’attività domiciliare dei nostri social addicted. L’attività maggiormente colpita è stata la vendita dell’usato e del vintage, per il quale si è bloccata l’attività di raccolta e rimodulata l’attività di sanificazione con la previsione di utilizzare un nuovo e-commerce. In ambito sociale abbiamo messo in campo molte iniziative compreso l’invio di materiali e di lettere motivazionali alle detenute del laboratorio di cucito del carcere femminile.

Il post pandemia come vi trova?
La ripartenza è complicata, ci stiamo impegnando nel fund raising e stiamo progettando nuove iniziative di marketing e di servizi di prossimità. E’ stata necessaria anche una rimodulazione degli spazi per rispettare il distanziamento sociale. Gli eventi di vendita – mercatini, fiere, ecc.- programmati sono stati tutti annullati e si è fatto fronte alla gestione del personale grazie al supporto della Fondazione con il SUD che ha permesso di proseguire le attività progettuali concernenti le normative vigenti. attualmente stiamo facendo un grande sforzo imprenditoriale e di investimento avviando nuove linee imprenditoriali tra cui la stampa su tessuto e la produzione di t-shirt grazie all’acquisto di una stampante tessile e la vendita mobile e di prossimità con l’acquisto di una MotoApe per ampliare il mercato all’ambito turistico. All’orizzonte vediamo però grosse difficoltà di sviluppo a causa della crisi economica incombente con rischi per la copertura dei costi di gestione delle attività e delle risorse umane
Avete sviluppato l’ecommerce?
E’ proprio una delle azioni previste nel progetto sostenuto dalla Fondazione Con il Sud e recentemente abbiamo riprogettato il nostro sito. Non è stato facile scegliere la struttura migliore per l’e-commerce e decidere la suddivisione delle categorie-prodotto da adottare perchè la Sartoria Sociale è una realtà complessa anche per l’offerta commerciale, che include prodotti realizzati da noi, capi di seconda mano, capi vintage, capi donati da privati e da negozi.
Finalmente siamo giunti ad una versione che ci soddisfa.
Come vanno i vostri laboratori?
I nostri laboratori hanno sempre riscosso un buon successo, soprattutto quelli di livello base. Molte persone possiedono la macchina da cucire ma non sanno utilizzarla e quindi tutte le volte che organizziamo un corso di livello base (tenuto dalla nostra sarta Aurora) abbiamo sempre diverse richieste. Le persone apprezzano moltissimo il fatto di seguire il corso in un ambiente in cui si respira a pieni polmoni l’atmosfera sartoriale In questo periodo chiaramente abbiamo dovuto interrompere qualsiasi attività e ridurre il numero dei partecipanti per garantire il distanziamento sociale. Ci auguriamo di ritornare presto a regime perché la promozione dell’artigianato tessile è una delle attività che portiamo avanti con maggior successo.
Ci sono persone che hanno poi proseguito l’attività lavorativa appresa con voi?
“Smettila di frignare e prendi una decisione”. Ciascuno è responsabile della propria esistenza, e, quindi, della propria felicità; ciascuno ha in sé il potere del proprio cambiamento. Questa Directory muove le fila di tutta la nostra Impresa: Accogliamo persone ai margini di sé stesse e della società, offrendo un’opportunità per sostenere un cambiamento di direzione della propria esistenza. Al Revès, il nome della nostra cooperativa, significa “Al contrario”, sta ad indicare l’inversione di tendenza, il punto di vista diverso da cui osservare se stessi, la persona, il prodotto e l’offerta di servizi dell’impresa stessa. Una sfida con se stessi, Una sfida col mercato. Siamo da sempre una impresa di transizione seguiamo le persone verso nuove e migliori occasioni, quasi tutti dopo di noi si inseriscono in nuove esperienze lavorative a volte individuate anche da noi o realizzano nuove esperienze in tirocinii formativi per i quali individuiamo le aziende ospitanti che possono offrire una esperienza sostenibile per il tipo di problematiche connesse alla persona.
Uno dei nostri motti più significativi è “Siamo Tutti EX di qualcosa”: nella nostra singolarità irripetibile, tutti
proveniamo da una storia, tutti siamo lo “scarto” o il “residuo” di ciò che ci è appartenuto o a cui siamo
appartenuti.

“Siamo Tutti Ex di qualcosa” + mascherina


(ITALPRESS).

Turismo “sociale” scelta giusta per il post covid al Sud

di Marco Imperiale, Direttore Fondazione Con il Sud

Fare impresa sociale al Sud, soprattutto in questa fase, ha un valore aggiunto. La scelta imprenditoriale infatti è preceduta e accompagnata da un’esigenza sociale, così come il perseguimento del bene individuale, del profitto – legittimo – dell’imprenditore, cede il passo al bene del gruppo e all’interesse generale che, in quanto organizzazioni di Terzo settore, riguarda la comunità. Ogni impresa ha o dovrebbe avere un legame, più o meno forte, col proprio territorio. Per l’impresa sociale il legame è alla base della sua stessa azione. Questa premessa è funzionale a comprendere meglio la situazione attuale che caratterizza il “fare impresa” sociale al Sud. Il 50% delle imprese sociali italiane si trova proprio nelle regioni meridionali. Il legame con la comunità, il “fare insieme”, il provocare la “partecipazione”, che sono le premesse del Terzo settore, rappresentano in questo momento un fattore critico per tutte le organizzazioni comprese le imprese sociali. Particolarmente per chi opera nell’ambito del turismo, un settore che, come sappiamo, è messo a dura prova dalla crisi innescata dall’emergenza sanitaria, dalla fase di incertezza e dalle prospettive non proprio rosee. Ma l’obiettivo di comunità e l’esigenza di coesione sociale, da “criticità” possono rappresentare, al contrario, una risorsa e un’alternativa nel ripensare l’offerta turistica. L’importanza dei legami sociali e il valore della solidarietà che ritroviamo in tante esperienze di impresa sociale in ambito turistico sostenute dalla Fondazione Con il Sud (dai “tour sospesi” all’accoglienza diffusa e responsabile) dimostrano che la proposta turistica di comunità può avere una marcia in più.
Fare turismo al Sud nella forma di impresa sociale vuol dire proprio questo, vuol dire proporre non solo un servizio o una esperienza di turismo culturale, ambientale, sostenibile, etico, eccetera, ma condividere una visione e un processo, solidaristico e partecipativo, di godimento del territorio che rappresenta una specificità. Naturalmente, è vedere il bicchiere mezzo pieno perché le difficoltà sono tante, ma è necessario partire da qui e porsi con ottimismo e fiducia verso il futuro così come fanno già le organizzazioni di Terzo settore. Se ci fosse più attenzione a esplorare, capire e comprendere meglio queste esperienze si potrebbe intravedere nella loro autenticità una leva per ripensare alcune forme di turismo post Covid al Sud. La gente, messa a dura prova dal lockdown, ha voglia di socialità e di riscoprire i legami comunitari. Il turismo sociale, oltre a offrire la “bellezza” di un territorio e di una comunità è capace di condividerne anche l’anima. Altro aspetto non secondario è l’esigenza di vivere un’esperienza turistica in sicurezza. Assistiamo a comportamenti “devianti” rispetto alle regole del distanziamento sociale che creano molto disorientamento, anche per le proposte turistiche. Il turismo sociale ha come obiettivo implicito quello di diffondere e mettere in pratica il concetto di responsabilità individuale e collettiva. Detto tutto ciò, è davvero un peccato che da settimane si senta discutere molto di turismo e di Sud ma poco o per niente di questo turismo, nonostante il suo valore sociale e il suo potenziale economico.
(ITALPRESS).

Parco Paduli, app per far conoscere e apprezzare le bellezze

Il super Parco: cosi viene definito nell’omonimo sito il Parco Paduli, un “parco multifunzionale” la cui idea si inizia a concretizzare nel lontano 2003 per iniziativa dei Comuni di San Cassiano, Botrugno, Nociglia, Surano, Sanarica, Supersano, e Giuggianello (Terre di Mezzo), Scorrano, Maglie, e Muro Leccese.
Coinvolgere ed ascoltare le comunità è stato alla base di questo lungo ed articolato percorso: osservare ed analizzare il territorio, comprenderne esigenze e carenze, ascoltare il parere di professionisti e di eccellenze esterne per ottenere nuovi modelli per lo sviluppo del territorio.
Le nuove forme di attenzione e cura individuate hanno concentrato i saperi locali, quelli esperti e le istituzioni tutte intorno all’idea unica di Parco Agricolo Multifunzionale dei Paduli. Non è un Parco naturale nel vero senso della parola, ma è probabilmente di più: è un progetto di interconnessione ambientale-paesaggistica che vede il Parco come luogo centrale della strategia globale di rigenerazione, per e con il recupero delle relazioni tra la vita degli abitanti, la città e la campagna.
Indicato esattamente come “Progetto Pilota per la sperimentazione di pratiche afferenti alla multifunzionalità in territorio agricolo” il parco dei Paduli si estende per 5.500 ettari e il suo territorio è attraversato da un fitto reticolo di canali, stagni, laghi temporanei e da una labirintica rete di sentieri.
A Mauro Lazzari, coordinatore delle attività all’interno del Parco insieme all’associazione Abitare i Paduli e Lua – Laboratori Urbani Aperti abbiamo chiesto che cosa significhi “parco agricolo multifunzionale”.
Noi crediamo che all’attività agricola possano essere associate altre attività che sono complementari come l’ abitare sostenibile, l’accoglienza, l’ospitalità, le esperienze di inclusione sociale e la realizzazione di progetti che ambiscono alla cura del paesaggio avendo sempre come sfondo i principi di sostenibilità e di turismo responsabile. E così accanto al recupero delle antiche tecniche di agricoltura stiamo recuperando anche beni rurali minori utilizzabili ai fini dell’ospitalità.
Purtroppo le iniziali strategie hanno dovuto subire un brusco cambiamento: da circa dieci anni infatti il paesaggio è completamente stravolto a causa del batterio Xylella che ha attaccato tutto il patrimonio arboreo olivicolo e ne ha disseccato la stragrande maggioranza. Quindici anni fa pensavamo alla produzione di olio, al miglioramento della sua qualità ad esempio raccogliendo le olive sulla pianta e non a terra, ad iniziative legate alla raccolta delle olive, cose oggi non più fattibili.
Il batterio ci ha fatto però comprendere una cosa molto importante: che il paesaggio non è statico ma è in costante mutamento.
Questo significa che anche l’offerta turistica è in costante mutamento: non si raccoglieranno le olive, ma i turisti potranno dormire nella deliziosa casetta ecosotenibile: un’antica casetta rurale, situata nell’oliveto pubblico, completamente restaurata che autoproduce energia elettrica ed acqua calda ed è fornita di un sistema di ciclodepurazione delle acque. Offriamo anche la casetta dell’ecociclista, una piccola casa a San Cassiano vicina alla ciclofficina ed al noleggio di biciclette. Negli anni passati i turisti hanno partecipato ad iniziative diverse come visite guidate tematiche, visita alle opere rupestri, eventi e workshop pubblici, raccolta olive e grano.
Anche la pandemia ci ha obbligato a rivedere alcune iniziative come quelle legate alla sagra di San Giuseppe, una delle feste più importanti dell’intera zona, durante la quale si producono pane, zeppole di san Giuseppe e massa (un particolare tipo di pasta cotta con molte spezie ma senza pomodoro) con i ceci e il grano stumpato. L’usanza voleva che le famiglie ricche facessero dono di queste prelibatezze alle famiglie meno abbienti. Quest’anno abbiamo fatto una cosa simile perche abbiamo donato il grano comunitario alle famiglie più in difficoltà.
La Xylella ci ha portato a ripartire su nuove basi: abbiamo avviato nuove produzioni biodiversificate attraverso micro progetti di agroforestazione e messo in cantiere iniziative diverse come la land art. Su questo tema in particolare dal 13 al 19 luglio prossimo si svolgerà un originalissimo workshop di agroforestazione e autocostruzione di rifugi temporanei e biodegradabili nel Parco Paduli.
I partecipanti, guidati dal Land Artist Oscar Dominguez autocostruiranno un “rifugio verde”, cioè una casa per le “creature” che vivono nel Parco: insetti, piante, uccelli, quadrupedi e bipedi vari, Come scrivono gli organizzatori sarà “un’installazione d’arte temporanea vivente, in un ambiente fragile e inselvatichito dal rapido disseccamento del patrimonio arboreo. Il luogo ideale in cui sperimentare azioni di cura del paesaggio mediante l’autocostruzione di un’architettura verde, nata dalla convivenza tra materiale secco e specie arboree, capaci di crescere ed autocostruirsi nel tempo”. Il workshop nasce da un’idea di Abitare i Paduli e LUA in collaborazione con la Cooperativa Sociale Ad Astra con il partenariato dell’Unione dei Comuni delle Terre di Mezzo ed è realizzato nell’ambito del progetto “Il Giardino Planetario”, il laboratorio interculturale che coinvolge i minori stranieri ospiti delle strutture di accoglienza e gli abitanti delle comunità, in pratiche collaborative finalizzate all’inclusività e all’integrazione.
Al termine del worhshop lanceremo la app “visitPaduli” che, utilizzando le tecniche e le modalità della gamification, consentirà ai visitatori di muoversi in maniera autonoma all’interno del parco “sbloccando” via via una miriade di informazioni nascoste e geolocalizzate in punti d’interesse specifico. L’App guiderà il visitatore attraverso un gioco di ruolo alla scoperta di oltre 300 tra luoghi di interesse e beni (tra botanici, architettonici, geologici e antropologici: ulivi secolari, canali, inghiottitoi, masserie, pajare, motte, casini di caccia, cripte, chiese rupestri, trappeti, dolmen, menhir, boschi, laghi temporanei e stagni, ma anche fiere, mercati, e feste campestri… i progessi e l’esperienza conoscitiva accumulata consentiranno di salire il livello di empatia col Parco da semplice visitatore a spirito guida.
Un percorso di scoperta delle creature del Parco da fare a piedi o in bici, un esperienza immersiva: partendo dai centri storici dei borghi e lungo le strade rurali, frapposti tra i sipali, in prossimità dei beni agricoli, vicino ai crocicchi, o nei dintorni delle “Porte del Parco”, vicino ai luoghi di interesse sarà possibile osservare una nuova segnaletica fatta di: “alberi”, dispositivi verticali leggeri utili all’orientamento e da “infocircle”, dispositivi in pietra, di forma circolare, installati a terra, pensati per informare e orientare il visitatore, geolocalizzati e e accessibili dalla app.
“Perchè svelare la complessità di un paesaggio e raccontarlo significa conoscerlo. Conoscerlo significa creare una consapevolezza del suo valore, proteggerlo e creare la condizioni affinché la conoscenza sia il presupposto per il suo sviluppo e la sua innovazione”.
(ITALPRESS).

Terra Felix, ecomuseo nel casertano

“Ci sono sfide che, in un contesto come il nostro, fanno tremare le gambe, ma non puoi evitare di accettare e portarle avanti fino in fondo. Poi ti guardi indietro e scopri che il cammino compiuto è straordinario, e che ne è valsa sicuramente la pena di restare qui e mettersi in gioco”. Così si esprime Francesco Pascale, direttore scientifico dell’Ecomuseo Terra Felix di Succivo, in provincia di Caserta, guardando non solo indietro, alle tante cose realizzate, ma anche avanti, alle tante cose che vuole realizzare e riprendere quanto prima dopo il fermo forzato a causa della pandemia.
‘Il punto di forza di un ecomuseo – spiega – è proprio la sua capacità di riconoscere e valorizzare le risorse storico-culturali ed ambientali dei luoghi, le loro tradizioni, i saperi antichi. L’ecomuseo rappresenta un’alternativa al museo tradizionale e si distingue dal classico assetto espositivo perché non privilegia collezioni storiche particolari, ma mette al centro i valori ambientali e culturali di un dato patrimonio. E’ qualcosa di vivo, sempre in contatto con le comunità locali di riferimento. L’Ecomuseo Terra Felix, in particolare, si propone di dare un contributo di idee e di esperienze allo sviluppo del territorio di ‘Terra di lavoro’. La logica che sottende questa nostra azione di ‘orientamento’ delle politiche di sviluppo è quella della sostenibilità ambientale, economica e sociale.

Quindi la comunità ha contribuito alla sua realizzazione? Come?
L’Ecomuseo Terra Felix è stato realizzato all’interno del Casale di Teverolaccio, punto di partenza universalmente riconosciuto come luogo della memoria della tradizione contadina di Succivo. Qui nel ‘700 si svolgevano mercati agricoli di eccellenza e nel dopoguerra le feste della comunità; nella piccola chiesa di San Sossio si svolgeva una delle più importanti feste patronali, ci si sposava e si celebravano i sacramenti. Tutto il progetto di riqualificazione è stato elaborato in maniera partecipata; i suoi contenuti corrispondono all’identità stessa della comunità locale; le tradizioni, gli oggetti, le colture, le testimonianze storico-artistiche di un territorio Evidenzia il modo con cui la comunità locale vede, percepisce, attribuisce valore al proprio territorio, alle sue memorie, alle sue trasformazioni, alla sua realtà attuale e a come vorrebbe che fosse in futuro.

Quali gli interventi principali di valorizzazione del Casale?
Tre le direttrici attraverso cui ci eravamo mossi: realizzazione di una tipicheria nella ex-stalla, un ristorante dove assaporare le eccellenze del territorio a km 0, la rifunzionalizzazione dei locali sottotetto a museo e laboratori didattici e la valorizzazione del giardino.Per quest’ultimo abbiamo coinvolto i docenti e gli studenti della Facoltà di Architettura dell’Università degli studi della Campania Luigi Vanvitellied è stato progettato insieme alla Federazione Italiana Superamento Handicap (FISH) – Campania, quindi il percorso è totalmente accessibile.

Avete anche realizzato degli orti sociali. Chi li coltiva?

Gli orti sociali sono coltivati dagli anziani del posto, che producono verdure e ortaggi di stagione secondo il metodo dell’agricoltura naturale, senza pesticidi. La produzione è destinata all’autoconsumo. Sono 70 mq ma i nostri 18 ortolani riescono ad avere una produzione abbondante, tanto da soddisfare il fabbisogno di figli e nipoti! Il ristorante a Km zero è la tipicheria, che noi definiamo Museo – orto – ristorante. Uno spazio del gusto in cui puoi ritrovare i sapori dei prodotti di eccellenza del nostro territorio, tutti di stagione e biologici. Gran parte dei prodotti agricoli utilizzati nella Tipicheria, il ristorante a Km 0, viene dal nostro campo situato poco distante. Un appezzamento di circa un ettaro, metà di cui la metà è vigna che produce l”Asprinio DOC di Aversa’. Quest’anno abbiamo prodotto circa 1000 bottiglie e a breve lanceremo una campagna per la vendita delle nostre etichette. Con il ricavato acquisteremo parte dei mezzi agricoli necessari all’attività di agricoltura sociale, che attualmente coinvolge due dipendenti in condizioni di fragilità.

Il 5 giugno, pur consapevoli del rischio di minori presenze ed entrate, avete riaperto. Che cosa offrite agli ospiti?
Ai visitatori che varcano la soglia del giardino offriamo un’esperienza ricreativa, ludica ed educativa che difficilmente puoi trovare nel nostro territorio. Dagli orti sociali ben curati al percorso dei sensi, dai profumi delle spezie al prato verde e rigoglioso, dalla cavea al noceto. Ogni domenica ci sono anche gli eco-laboratori gratuiti ‘Orti aperti’, ‘un libro a merenda’, ‘fiabe itineranti’, secondo la nostra idea di ‘tempo libero qualificato’. Siamo orgogliosi di aver sottratto genitori e bambini alle sterili passeggiate ai centri commerciali.

Quali problemi vi ha creato la pandemia e come pensate di superarli?
La pandemia purtroppo ha determinato la chiusura totale dal 9 marzo sia della tipicheria che dell’ecomuseo; tutte le visite didattiche già prenotate, così come le ecocerimonie sono state annullate. E purtroppo anche i finanziamenti già in atto sono stati sospesi. E’ stato un momento difficilissimo, con le entrate azzerate e nessuna idea di quando saremmo ripartiti. Ci siamo concentrati sulle attività realizzabili da remoto, ossia la progettazione sociale, e sull’attività agricola, che non si è fermata. Da queste abbiamo ritrovato la forza per andare avanti. Abbiamo seguito tutta l’evoluzione normativa nazionale e regionale, adeguando agli standard di sicurezza le attività degli orti sociali, l’attività di ristorazione e le attività socioeducative all’aperto. E così abbiamo messo a servizio dei bambini con fragilità (disabili ed autistici) il nostro giardino: previa prenotazione, le famiglie hanno potuto trascorrere dei momenti all’aria aperta con i loro bambini. Successivamente abbiamo riaperto gli orti sociali. Nel periodo della pandemia, quando è stato possibile riprendere le attività del servizio civile, i volontari guidati via webcam dagli ortolani, hanno coltivato gli orti sociali e raccolto le verdure: è stata un’esperienza indimenticabile. Quando gli anziani sono rientrati nei loro orti, siamo stati davvero molto felici. La scorsa settimana abbiamo avviato la settima edizione del ‘Green village’, l’ecocampo estivo per i bambini del nostro territorio. Abbiamo anche riaperto la Tipicheria ma i posti si sono dimezzati, nonostante lo spazio esterno. Ci auguriamo che la situazione sanitaria migliori velocemente altrimenti avremo un serio problema di sostenibilità dell’attività ristorativa.

La realizzazione dell’Ecomuseo ha inizio molti anni fa, vero?
Il percorso che ha portato alla realizzazione dell’Ecomuseo Terra Felix è iniziato quasi 20 anni fa insieme ai volontari del Circolo Legambiente Geofilos Atella. Ma tutto questo non sarebbe durato a lungo se non fosse intervenuta una strutturazione – e una messa a reddito – di alcune funzioni. In questo passaggio critico e strategico per il quale la Fondazione Con il Sud non solo ci ha fornito le risorse finanziarie per avviare la nostra azienda agricola sociale multifunzionale, ma soprattutto ci ha obbligati ad una maturazione di gruppo e fatto si che un’azione di volontariato si trasformasse in un’impresa sociale sostenibile. Oggi ci sostiene ancora, insieme a Con I Bambini, nella realizzazione di Horticultura, che genera orti didattici in importanti siti museali ed archeologici della Campania; di Teverolaccio Rural Hub, che recupera nuovi spazi del Casale e ne fa il punto di riferimento del mondo dell’agricoltura casertana, della gestione energetica, della eco-compatibilità, dei progetti innovativi in materia di didattica, eco-turismo, ristorazione biologica e a km0 e di Fabula, Laboratorio di Comunità, che fa dell’ex Municipio di Atella di Napoli, una sorta di piccolo Centro Pompidou, con al suo interno un Museo Archeologico dell’Agro Atellano, un eco-bistrot, un centro polivalente per minori, aree per concerti, formazione ed eventi.
(ITALPRESS).

Ketos, centro euromediterraneo del mare e dei cetacei

Jonian Dolphin Conservation è un’associazione di ricerca scientifica finalizzata allo studio dei cetacei del Golfo di Taranto nel Mar Ionio Settentrionale. E’ specializzata nella gestione di progetti marini con particolare focus sullo studio dell’impatto ambientale; ha realizzato documentari ed allestito spazi espositivi per mostre ed eventi sui temi della salvaguardia dell’ambiente marino; svolge attività di dolphin watching coinvolgendo turisti e cittadinanza a bordo delle sue barche e svolge tantissime altre attiit sempre focalizzate sull’osservazione e tutela della “Pianura Blu”. È stata anche una delle 20 eccellenze nazionali scelta per rappresentare la Regione Puglia ad Expo 2015.
Dal 2019 ha ulteriormente rafforzato le sue azioni attraverso Ketos, centro euromediterraneo del mare e dei cetacei molto più che un luogo di osservazione. Ce lo illustra il presidente di J.D.C.Carmelo Fanizza.
Il Jonian Dolphin Conservation da sempre sviluppa progetti per la valorizzazione, la promozione e la divulgazione del patrimonio marittimo; non a caso nel 2013 si è classificata al 1° posto nella sezione “Ricerca scientifica ed innovazione tecnologica” del Sea Heritage Best Communication Campaign Award. Abbiamo avviato lo studio e l’osservazione dei cetacei con un gommone, poi con una motobarca e infine con Taras, il nostro splendido catamarano da ricerca che può ospitare a bordo 35 persone incluso l’equipaggio.. Ad esso a gennaio 2016 abbiamo affiancato secondo catamarano, Extraordinaria, Dal 2018 l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ionio – Porto di Taranto che ci ha dato in concessione una terza e splendida imbarcazione, “Il Porto di Taranto”.
Nel 2019, grazie al contributo di Fondazione con il Sud abbiamo inaugurato “Ketos”Centro Euromediterraneo del mare e dei cetacei che rappresenta un contenitore culturale volto a rigenerare e favorire lo sviluppo di conoscenza e valorizzazione delle risorse del territorio, nonché un presidio di buone prassi ed un punto di riferimento per la blue economy. Kétos è rivoluzionario nella portata innovativa della sua offerta: servizi didattico-museali a carattere scientifico, di consulenza, sviluppo di nuove opportunità occupazionali, promozione della lettura e del patrimonio culturale identitario legato al mare, alla città vecchia, alle tradizioni. Con i suoi servizi di accoglienza e ascolto dei bisogni del territorio e delle persone favorisce l’inclusione sociale, lo sviluppo culturale e la creazione di reti e di interconnessioni. Il Centro si rivolge a tutti, nessuno escluso, offrendo una presenza attiva e costante, attraverso attività, laboratori, incontri ed eventi culturali mirati a creare relazioni e a costruire una nuova narrazione della città.

Purtroppo la pandemia vi ha obbligato a ridimensionare molte vostre aspettative e progettualità.
Prima dell’attuale crisi il nostro staff era composto da 12 unità e dal 1 Aprile 2020 avremmo dovuto raggiungere le 20 unità lavorative. Ma l’emergenza sanitaria ed economica scaturita ha bruscamente fermato il nostro percorso di crescita annullando le nuove possibili assunzioni. Le attività sono state fermate a partire dal 9 Marzo 2020 ed il personale è stato messo in cassa integrazione. Una scelta determinata dal fatto che gli introiti della Jonian Dolphin Conservation sono stati completamente azzerati. Infatti tutte le attività con le scuole, sia sulle barche che al centro Ketos sono state cancellate e si sono arrestate tutte le prenotazioni per le attività legate ai turisti. Normalmente imbarchiamo ogni anno 12.000 persone circa di cui 35% Stranieri. Questo sarà un anno molto duro poichè il forte lavoro estivo ci consentiva di mantenere in vita la struttura per tutti e 12 i mesi. Abbiamo ripreso le attività con le barche dal 31 Maggio 2020 ma purtroppo con numeri ridotti dovuti alle restrizioni COVID (20 persone invece che 30) e, mancando i turisti soprattutto stranieri, stiamo effettuando le attività solo nei fine settimana mentre dal 2009 al 2019 da Aprile a Settembre siamo usciti in mare 7 giorni su 7.
Purtroppo i tempi lunghi di erogazione (3 mesi senza stipendio) della cassa integrazione e il suo importo che è circa il 60% dello stipendio medio ha creato gravi problemi alle famiglie dei lavoratori; per fortuna la Fondazione con il SUD ci ha dato un grosso contributo, anticipando parte dell’erogazione finale del progetto e fornendoci la liquidità necessaria al riavvio delle attività ed al reintegro dei dipendenti.
La pandemia è stato un duro colpo per tutto il comparto della cultura e del turismo: noi riteniamo che le istituzioni dovrebbero intervenire con un contributo a fondo perduto pari al 25% della perdita di fatturato dal Marzo al Settembre 2020 rispetto all’anno precedente.
(ITALPRESS)

Mare memoria viva, rete cultura e sociale

L’associazione culturale Mare Memoria Viva, nata grazie a un progetto finanziato nel 2013 da un bando della Fondazione con il Sud, cura a Palermo l’omonimo ecomuseo, un laboratorio culturale territoriale che mira all’inclusione sociale, allo sviluppo sostenibile e alla valorizzazione innovativa e democratica del patrimonio. “Ci piace chiamarla “rigenerazione umana” dice la presidente Cristina Alga.
Come nasce, cosa offre e come si distingue dagli altri l’ecomuseo del mare di Palermo?
Mare Memoria Viva, ecomuseo urbano nella costa sud-est di Palermo, sorge su un rilievo artificiale formato dagli sversamenti abusivi di detriti del sacco edilizio, sulla foce del fiume Oreto. La nostra definizione preferita di “ecomuseo” è “un patto tra cittadini che decidono di prendersi cura di un territorio”: un patto, perché siamo un museo collettivo nato da una raccolta partecipativa di storie, memorie e documenti sulla città frontemare; tra cittadini (attivi) perchè nasciamo dall’iniziativa di un gruppo di giovani motivati a lavorare sul senso dei luoghi e la capacitazione della comunità locale; la cura, di persone e spazi, di sé e degli altri, del paesaggio e delle relazioni; il territorio, la rigenerazione urbana ed umana, l’emersione delle potenzialità locali, la ricerca della bellezza anche dove si nasconde al primo sguardo.
La “collezione” dell’ecomuseo nasce da una raccolta di storie e memorie degli abitanti delle borgate marinare, è un museo collettivo e un archivio audiovisivo in perenne progresso con fotografie, video, interviste, documenti, testimonianze, mappe che compongono una storia collettiva delle trasformazioni urbanistiche e sociali della città dal dopoguerra a oggi. Il mare fa da metafora e da filo conduttore. L’archivio è la materia viva su cui coltiviamo le attività educative, il lavoro con gli artisti, il turismo sostenibile e le azioni e i progetti di welfare culturale.
Che percorsi “alternativi” offrite ai turisti e alle scolaresche?
Un ecomuseo è un museo diffuso sul territorio, la sfida di un ecomuseo urbano in periferia è raccontare e “risignificare” i luoghi con un approccio olistico che tiene insieme la complessità di ciò che una città è: paesaggio, architetture, natura, persone, relazioni, spazi e interstizi, storie e servizi, trasformazioni e abitudini, stratificazioni. Ai turisti, studenti e non, di fatto raccontiamo un pezzo di storia contemporanea della città, le sue trasformazioni urbanistiche e sociali dal dopoguerra ad oggi, il sacco edilizio, i cambiamenti del frontemare, l’espandersi della città in quella che era la Conca d’oro ma anche le esperienze di rigenerazione urbana e innovazione sociale, di attivismo e mobilitazione sociale come la nostra. Su questi temi proponiamo un programma di passeggiate ed esplorazioni urbane “periferiche” per diversi pubblici (studenti, famiglie, giovani) con taglio narrativo che riprenderemo a settembre con alcune novità come una passeggiata che unirà i quartieri kalsa e Sant’Erasmo con il filo conduttore della fiaba di Gianni Rodari “La sirena della Kalsa” in omaggio al centenario della sua nascita.

Quali conseguenze ha avuto per voi la pandemia? Come pensate di superare le difficoltà?
Da marzo a giugno è il periodo cruciale delle visite delle scuole e del turismo scolastico, abbiamo perso tutte le prenotazioni ed economicamente non ci sarà modo di recuperare i mancati introiti; puntiamo invece alle attività estive con un campus negli spazi esterni del museo seguendo le linee guida redatte dal governo per i centri estivi e cercando di offrire un’opportunità di socializzazione e cultura ai bambini che sono stati chiusi in casa o nel nostro quartiere anche abbandonati per strada.
In questo nuovo modo di intendere il turismo, che coinvolge ambiti culturali, sociali, esperenziali, non siete soli. Quali progetti avete con la rete ancora informale che avete creato?
Con Palma Nana, Addiopizzo travel e Moltivolti lavoriamo per promuovere un’immagine non stereotipata della nostra città, con loro è nata la campagna “Abbiamo un (bi)sogno” per acquistare tour sospesi. A livello nazionale siamo tra i promotori di una costituenda rete di enti del terzo settore che si chiama “Cultura è sociale” che unisce – come il nome stesso suggerisce – organizzazioni che operano nel crinale tra valorizzazione culturale del territorio e nuovo welfare; molti promotori della rete si occupano anche di turismo sociale perchè riteniamo che l’economia del turismo quando non diventa mercificazione del territorio ma accoglienza e cultura può essere un asset di sviluppo per il sud Italia.
(ITALPRESS).

Ostello Bella Calabria, puntare sul turismo per diventare vincenti

“Non dobbiamo criticare e alzare muri. Dobbiamo con umiltà saper costruire ponti”. Con questa bellissima frase si presenta Loris Rossetto, presidente dell’associazione Amici del tedesco e tra i fondatori dell’Ostello Bella Calabria, realizzato all’interno di un bene confiscato in provincia di Crotone. Dove si trova esattamente l’ostello? A San Leonardo di Cutro, in provincia di Crotone in una palazzina in disuso, confiscata alla mafia da oltre 10 anni. Dispone di 24 posti letto, ogni estate ospita famiglie, per i suoi ospiti organizza percorsi di “turismo dell’amicizia” e molte iniziative dedicate ai più piccoli.
Come nasce questo progetto?
La nostra idea base era quella di favorire lo sviluppo dell’economia attraverso il turismo perchè, siamo convinti, se produciamo magliette o macchine non siamo competitivi mentre se puntiamo sul turismo possiamo diventare vincenti coniugando le bellezze del territorio alla cordialità della gente. L’abbiamo concretizzata grazie ad un bando della Fondazione con il Sud sui beni confiscati alla mafia ed al comune di Cutro che ci ha affidato un bene confiscato.

Quale la vostra offerta turistica e non solo?
In estate ci rivolgiamo principalmente alle famiglie. Proponiamo visite alle più belle spiagge della riserva marina. Zone che pochi conoscono, ideali per chi ama la tranquillità. Offriamo attività insieme alla gente del territorio, per esempio laboratorio di pasticceria, colazione in mezzo agli alberi dei vicini. Gli ospiti raccolgono dagli alberi i frutti freschi e fanno colazione. Durante l’anno scolastico ospitiamo scolaresche sempre con un’idea di base, in questo caso il fare comprendere e assimilare che il rispetto delle regole è vantaggioso. Ci riusciamo proponendo giochi ed attività di gruppo dove i ragazzi capiscono che lavorare in squadra è conveniente. Chi non rispetta le regole, come ad esempio la mafia, finisce con l’avere problemi, chi rispetta le regole invece si diverte. I ragazzi fanno dunque attività in tre parchi realizzati grazie ad un progetto finanziato dalla Fondazione con il Sud e dalla Fondazione Vismara. A Isola Capo Rizzuto, nel parco mountain bike e a Cirò nel parco botanico entrambi gestiti dal partner Terre Joniche e a Cropani, nel parco di educazione stradale. Come mai un parco per l’educazione stradale? Perchè anche attraverso un percorso con mini car e mini moto i ragazzi imparano l’importanza del rispetto delle regole. Se guido bene, mi diverto; se guido male provoco incidenti. Un metodo divertente per far capire che chi fa il furbo e non rispetta le regole, prima o poi ha problemi, chi invece si attiene alle regole si diverte. Alla fine del percorso i ragazzi ricevono anche una mini patente.

Come mai proprio l’associazione “Amici del Tedesco” ha deciso di realizzare questo progetto?
Perché abbiamo voluto coniugare l’efficienza tipica dei paesi tedeschi con la cordialità tipica del Sud. Tra i partner del progetto c’è il comune di Hamm che ha inviato numerosi giovani ed anche una squadra di Hockey. Per i tedeschi la Calabria è l’ideale: ha spiagge bellissime, natura incontaminata e soprattutto tanta cordialità. La pandemia vi ha creato problemi? Quali? Come pensate di superarli? Purtroppo si è interrotto il ciclo delle classi scolastiche. Per l’estate pensiamo invece positivo. Abbiamo già alcune prenotazioni. Di sicuro avremo un calo rispetto all’anno scorso. Ma già per fine agosto siamo pieni con un gruppo di trentini. Appena la normativa lo permetterà, riavremo le classi scolastiche.

(ITALPRESS)

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