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Progetti di turismo responsabile e sociale nel palermitano

Nei primi giorni di chiusura per l’emergenza Covid-19 un gruppo di imprese sociali – tutte con sede a Palermo e tutte attive in progetti di turismo responsabile e sociale nel territorio di Palermo e della sua provincia, si è incontrato per attivare insieme azioni comuni di resistenza e ripartenza.
Palma Nana, cooperativa e tour operator che dal 1983 progetta, gestisce percorsi e attività sul territorio regionale e del sud Italia, attraverso azioni di Educazione all’Ambiente, alla sostenibilità ed ai rapporti umani e di Turismo Responsabile proponendo attività finalizzate alla diffusione di una coscienza ecologica e sostenibile di tutti i cittadini tramite progetti, laboratori, esperienze, soggiorni, viaggi e tour. Libera g(i)usto di viaggiare è il progetto che si occupa di turismo responsabile legato alla valorizzazione dei beni confiscati e dei territori dove operano le cooperative di Libera Terra.
L’offerta turistica proposta è pienamente ispirata ai principi che regolano l’azione di Libera e rappresenta un ulteriore strumento per la valorizzazione dei beni liberati dalle mafie e per il territorio in cui insistono creando nuove opportunità occupazionali.
Moltivolti, impresa sociale al cui interno ha un ristorante e un coworking. Nasce da un gruppo di 14 persone provenienti da 8 paesi diversi, che animano uno spazio pensato e strutturato per offrire dignità, cittadinanza e valore a partire dalla diversità. Un progetto di comunità intimamente connesso con il quartiere di Ballarò a Palermo, che cresce in equilibrio con il variopinto mercato popolato da vecchi e dai nuovi cittadini. Offre servizi di ristorazione, esperienze culinarie, animazione sociale.
Addiopizzo Travel, cooperativa sociale e tour operator che propone turismo etico per chi dice no alla mafia. Alla scoperta dei luoghi e delle storie più significative della lotta antimafia, per regalare un’esperienza di vera partecipazione, con la consapevolezza di non lasciare nemmeno un centesimo alla mafia.
Mare Memoria viva, ecomuseo urbano gestito attraverso un innovativo esperimento di partnership pubblico-privata, uno spazio di comunità e cultura, creato insieme agli abitanti delle borgate marinare, che ospita una narrazione corale, audiovisiva e multimediale di storie di Palermo, vista e raccontata dai suoi abitanti, Offre visite, laboratori e attività di formazione.
Hanno valori in comune e credono tutte nella possibilità di poter costruire una società più giusta, equa, accogliente, responsabile, rispettosa delle persone, dei beni comuni e dell’ambiente.
Tutte “accolgono” ed emozionano mostrando una Sicilia che nessuno si aspetta. E’ attraverso l’accoglienza di gruppi, giovani e diversamente giovani, di cittadini, di migranti, di studenti vogliono valorizzare il proprio territorio, la sua storia, le sue bellezze, la sua cultura e dare luce al volto pulito della Sicilia che sa avviare percorsi concreti di cambiamento e riscatto, estirpando il malaffare e la mentalità mafiosa.

Quali problemi ha creato la pandemia e come pensate di superarli?
Ci risponde Fabrizio Giacalone uno dei fondatori di Palma Nana

“L’emergenza Covid-19 sta incidendo pesantemente sulle nostre economie perché in primavera lavoriamo tutti con gruppi scolastici che provengono da altre regioni italiane e dall’estero e tutti hanno disdetto i viaggi.
In questi giorni in cui tutti, con senso di responsabilità e rispetto, siamo rimasti a casa, abbiamo riflettuto sul come continuare a portare avanti il nostro impegno, il nostro sogno. Motivati da un solido presente, vogliamo creare le condizioni per un futuro che veda la comunità protagonista di un percorso di riscatto economico e sociale. Ed è proprio per questo che sentiamo il nostro sogno come un (bi)sogno.
Vivendo il presente, e guardando al futuro di questa terra, abbiamo pensato ai giovani della nostra terra. Soprattutto quelli con meno possibilità, a cui offrire esperienze che potrebbero diventare stimolo per soddisfare insieme il loro (bi)sogno di riscatto e rilancio.
Palma Nana ha attivato subito dopo il lockdown un progetto di turismo di comunità a Sant’Ambrogio, un piccolo borgo a 5 chilometri da Cefalù, incastonato in una collina sul mare, una comunità che si aggrega in un progetto turistico, una comunità che accoglie il viaggiatore per un weekend o per più giorni, che lo conduce alla conoscenza profonda di un territorio e dei suoi abitanti con i loro racconti, i loro occhi, le loro passioni. Un vero viaggio di turismo responsabile.
“Un progetto di turismo responsabile che vuole far vivere in prima persona al viaggiatore la vita quotidiana di una piccola collettività, la genuinità dei rapporti umani, la semplicità e la specificità della cultura e delle tradizioni locali, per un viaggiatore che ricerca un rapporto autentico con il territorio visitato e con le persone che vi abitano”, aggiunge Valeria Marino, responsabile delle attività di turismo responsabile della Palma Nana.

Ma è nata anche l’idea dei tour sospesi…. Come funzionano?
Attraverso il progetto Abbiamo un BI-sogno – prosegue Giacalone – chiediamo di regalare un “Tour sospeso”, cioè un’esperienza di turismo etico di conoscenza del territorio palermitano a bambini e ragazzi che altrimenti non potrebbero permettersela. Un modo per stare vicini alle comunità del territorio.
In pratica il donatore compra una o più esperienze: culinarie, civiche, ambientali e culturali. Le imprese sociali in rete le offriranno, non appena l’emergenza sarà rientrata, a bambini e ragazzi del territorio siciliano. Grazie a questo momento di “pausa”, quindi, la voglia è quella di creare delle nuove opportunità insieme. E’ un dono per giovani che ancora non conosciamo e che non ci conoscono, per rafforzare il loro senso di appartenenza alla propria città, al proprio territorio, alla ricerca di una nuova crescita sociale, economica e culturale e, perché no, vivere un vero viaggio nella propria città.

Quali tour offre il progetto?
Palermo si racconta: un walking tour guidato da Addiopizzo Travel per scoprire la ribellione antiracket e un pranzo o una cena da Moltivolti per entrare nella dimensione multietnica di una città che ritrova sé stessa nel nome della partecipazione e della solidarietà. Fra i vicoli si nascondono le cicatrici della mafia, ma anche le storie sorprendenti della recente riscossa e le esperienze sociali e culturali che ne stanno ridisegnando il volto.
Tour nell’Alto Belice corleonese per scoprire il progetto Libera Terra sul riutilizzo sociale dei beni confiscati, attraverso la realtà imprenditoriale delle cooperative agricole e sociali che li gestiscono. Un approfondimento storico sui grandi movimenti di lotte sociali contro la mafia del territorio tra le colline dell’Alto Belice Corleonese.
Palermo e il mare: un percorso tra storie di mare e di uomini con visita all’Ecomuseo Mare Memoria Viva (di cui parliamo in un’altra parte dell’approfondimento), museo interattivo che ci racconta le trasformazioni della costa palermitana; un laboratorio di educazione ambientale condotto da Palma Nana per conoscere le forme di vita presenti nei fondali e come la vita sottomarina è stata trasformata negli ultimi decenni; pranzo o cena da Moltivolti con cous cous di pesce.
(ITALPRESS).

Sud, Borgomeo “Dall’agricoltura sociale opportunità di sviluppo”

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“L’agricoltura sociale conosce qualche difficoltà, ma dal nostro punto di vista è un’esperienza in crescita”. Lo ha detto all’Italpress Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione con il Sud. “Nella nostra esperienza, ci sono due punti di partenza importanti – ha proseguito -: il primo è che abbiamo scoperto come l’agricoltura, il lavoro nei campi all’aria aperta, l’accudimento degli animali sia importantissimo nella cura dei disabili psichici. Abbiamo fatto un bando per bambini autistici e l’80% dei progetti prevedeva l’impegno di questi ragazzi in agricoltura con risultati eccellenti. Il secondo punto è legato alla valorizzazione dei beni confiscati. Agricoltura sociale significa includere soggetti fragili, essere attenti alla sostenibilità e trovare sbocco sul mercato attraverso attività di food, come ristoranti e consorzi che mettono insieme prodotti”. Poi il presidente Borgomeo ha ricordato che “ci sono state in Italia molte leggi, molti tentativi di dare ai giovani terreni abbandonati per farli coltivare, ma non ha funzionato molto. Con noi funziona perché ancora una volta la cooperazione sociale ha una marcia in più, capace di fare sacrifici, non avendo la ricerca disperata del profitto, ma di un equilibrio economico ce la fa di più”.

“C’è un gran disordine – ha aggiunto -, ci sono sacche di caporalato ancora molto forti e pesanti. Speriamo che il recente decreto di regolarizzazione possa sanare questa situazione”. “Segnalo una novità interessante – ha concluso -, l’organizzazione interprofessionale meridionale del pomodoro ha approvato un codice etico al quale le imprese e le aziende si dovranno attenere. Penso che sia un passo importante perché è un settore che può dare grande sviluppo, ma che adesso spesso è stato accompagnato da gravi fenomeni di illegalità”.

(ITALPRESS).

C.A.P. Salento, rete di comunità agricoltori-pescatori

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Quasi una sfida impossibile quella di unire in un’unica realtà agricoltori e pescatori, seppur localizzati in una specifica area geografica. E invece nel Salentino – più precisamente nelle aree tra Lecce, Taranto e Brindisi – è sorta C.A.P. Salento – Comunità degli agricoltori e pescatori. Creata nel 2016 come evoluzione di precedenti minori esperienze create all’interno dei Parchi naturali, la Comunità sta valorizzando antiche tradizioni, prodotti tipici, produzioni di qualità ed è rafforzata nel suo percorso dalla presenza di Slow Food e della Fondazione con il Sud. Ne parliamo con Marcello Longo, referente del progetto e presidente di Slow Food Puglia.

Come siete riusciti a coniugare realtà così differenti?

La rete di comunità tra gli agricoltori e pescatori ha visto crescere la coesione grazie a numerosi incontri, workshop, eventi/progetto propri di Slow Food come i mercati della Terra e del Mare, il salone del Gusto e Slow Fish. Con il passare del tempo i prodotti delle comunità hanno avuto una forte risonanza in tutta Italia e non solo. Il loro successo deriva anche dalla qualità e dalla quantità di studi ed attività di ricerca realizzati. Con i 21 i pescatori che hanno aderito al progetto del Presidio di Slow Food “Pesca tradizionale delle secche di Ugento” sono state individuate modalità di pesca più sostenibili e rispettose della stagionalità, biodiversità e metodi di pesca mentre con le aziende agricole modalità di coltivazione (nel nostro caso del Pomodorino di Manduria) sostenibili e rispettose della tradizione.

Perchè avete scelto proprio la coltivazione del Pomodorino di Manduria?

L’antica coltivazione di questa particolare varietà era quasi del tutto perduta e sopravviveva grazie alla passione ed al duro lavoro di alcuni anziani contadini, veri “custodi” che ne conservavano la semenza. Grazie a Slow Food, all’area protetta del luogo e alla passione di giovani agricoltori questa antica cultivar è stata recuperata anche al fine di creare nuova economia. Diventare presidio Slow Food ha richiesto un lungo percorso fatto di incontri con i tecnici agronomi, i contadini custodi, compilazione di questionari, redazione disciplinare di produzione, interviste…

Perchè il Pomodorino di Manduria è così pregiato e prezioso?

Richiede molto lavoro e ha una resa bassa: per questo, nonostante le ottime caratteristiche organolettiche (sia fresco sia trasformato), è stato abbandonato e sostituito da coltivazioni intensive. La coltivazione è manuale, non prevede irrigazione ed esclude trattamenti chimici (secondo le regole dell’agricoltura biologica). La semina inizia a fine febbraio nei terreni della fascia costiera e continua a marzo nell’entroterra. La raccolta inizia nel periodo di Sant’Antonio (13 giugno) e dura fino alla fine di luglio. Dai pomodori del primo palco – ossia i frutti migliori, che si trovano alla base della pianta – si recuperano i semi per la stagione successiva. Con i frutti più maturi si prepara la passata. Tradizionalmente il pomodorino di Manduria si mangia fresco insieme al carosello, un cetriolo tipico della zona o nella “jatedda”, un’insalata estiva a base di pomodorini freschi, aglio, olio, sale, capperi e origano con cui si condiscono le friselle.

Viene venduto direttamente o anche online?

Il Pomodorino di Manduria viene venduto direttamente e anche on line. I giovani imprenditori utilizzano piattaforme di e-commerce che consentono di innovare le strategie di commercio e vendere anche i trasformati come la passata, i pomodori semisecchi o secchi, i sughi, ecc). Aggiungere un presidio Slow Food nella propria produzione – , vero elemento distintivo di qualità ed eccellenza – ha consentito alle tre aziende coinvolte nel progetto (Chiara D’Adamo, Damiano Spina SRL e Terra di Patuli) di migliorare le performance economiche. Il Covid-19 vi ha creato problemi? Sì, perché molto del pescato locale e dei trasformati del pomodoro venivano venduti al sistema della ristorazione locale e la chiusura dei locali ha comportato una importante perdita per tutte categorie.

(ITALPRESS).

Dalla “Pietra di scarto” opportunità occupazionali

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“La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo” recita il salmo 118 della Bibbia e la nostra Cooperativa è nata per creare opportunità occupazionali per quelle “pietre scartate” cui nessuno darebbe una seconda possibilità. Dopo il carcere, la dipendenza, lo sfruttamento è fondamentale sviluppare nuove opportunità di inclusione, seguendo la stella polare della Costituzione e ponendosi l’obiettivo necessario della giustizia sociale”. Così Pietro Fragasso sintetizza nascita e obiettivi della cooperativa sociale “Pietra di scarto” di cui è presidente. La cooperativa nasce nel 1996 a Cerignola come “gesto concreto” del Progetto Policoro della Cei, per l’imprenditorialità giovanile al Sud. Dà lavoro a detenuti, immigrati, ex tossicodipendenti, donne in difficoltà che coltivano soprattutto olivi e pomodori su terreni confiscati alla mafia. I prodotti della terra vengono lavorati all’interno di un altro bene confiscato: una sorta di bunker in cui venivano preparate le auto per nasconderci la droga. Oggi si chiama Laboratorio di Legalità Francesco Marcone (il direttore dell’Ufficio del registro di Foggia ucciso dalla mafia nel 1995) e qui i pomodori vengono conservati e lavorati. La cooperativa sta anche operando per creare una filiera etica del pomodoro che ponga al centro i diritti dei piccoli produttori e dei lavoratori stagionali che, italiani e stranieri non importa, spesso lavorano in condizioni di sfruttamento.
Fragasso racconta con passione come la sua laurea in lettere anziché allontanarlo lo abbia avvicinato alla “terra”. “La mia passione sono sempre state le persone, le loro vite e disperazioni: proprio l’amore per la letteratura e la poesia è stato decisivo per capire come tutte le storie, anche quelle sbagliate, sono degne di essere raccontate e ascoltate. La strofa della Città Vecchia di Fabrizio De André “se non sono gigli, sono pur sempre figli, vittime di questo mondo” è in un certo qual modo il mio manifesto politico. La terra, il lavoro, i sacrifici che richiede e le soddisfazioni che può donare, rappresentano uno strumento di straordinaria potenza, capace di rimettere al centro la persona, prescindendo dal percorso che lo ha portato a noi”.

Come coniugate i vostri valori con il dover stare in piedi economicamente?

E’ la scommessa più grande, nostra come di qualsiasi organizzazione che voglia attivare percorsi di economia solidale stando attenti all’equilibrio economico. Troppo spesso, sopratutto in alcuni territori, il terzo settore si è caricato di responsabilità delegate dallo Stato. Sbilanciarsi troppo sulla passione civile è stato un errore ed ora stiamo imparando anche a guardare anche i conti. Non nego però che in tante situazioni la “follia civile” alla base del nostro agire continua ad avere un peso specifico importante. Tornando al tema delle coltivazioni, proprio per mantenere gli equilibri economici, oltre a coltivare le varietà più note ed a trasformarle in conserve e passate, stiamo anche facendo una ricerca sulle varietà di pomodoro antiche, le cui sementi sono state conservate gelosamente da alcuni contadini, come il “Pezzuto giallo di Lucera” o “Torremaggiorese” una varietà che necessita di pochissima acqua, che stiamo iniziando a coltivare nei nostri terreni. Purtroppo il Covid ci ha obbligatoriamente fermato e solo da pochi giorni è ripreso il lavoro nei campi: lavorando in maniera alternata, indossando mascherine e guanti e mantenendo la distanza fisica siano riusciti a concludere la messa a dimora di oltre 13mila piantine di pomodoro. Ma durante la quarantena non potevano certo rimanere con le mani in mano e così è abbiamo attivato la campagna “Chi fa per sé, fa per tutti”: con 25 euro si riceve un pacco coi prodotti della cooperativa: olio, passata, olive “La Bella di Cerignola”, pomodorini al naturale. Per ogni pacco venduto Pietra di Scarto ne donerà uno identico alla Caritas della Diocesi di Cerignola-Ascoli Satriano. Perchè “Chi fa da sé, fa per tre!”, ma “Chi fa per sé, fa per tutti!”.

La cooperativa sta anche creando una filiera etica del pomodoro?

Se il primo obiettivo è stato raggiunto in tempi rapidi, quello sulla filiera etica del pomodoro è in dirittura d’arrivo. Grazie al sostegno della Fondazione con il Sud avremmo dovuto avviarlo proprio in questi giorni, ma anche qui abbiamo subito dei ritardi a causa della quarantena. Il mancato arrivo di alcuni macchinari necessari alle lavorazioni ci ha impedito avviarlo ora. Stiamo però operando per creare una rete di produttori del pomodoro da cui acquistare il prodotto a prezzo equo a fronte dell’impegno per una produzione sostenibile e biologica e per la gestione legale e regolare dei lavoratori che vogliamo a loro volta mettere in rete.

(ITALPRESS).

Sale della Terra, consorzio di avvicinamento sociale

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Sedici cooperative aderenti, 245 lavoratori, uno Store e tanti punti vendita, una pasticceria artigianale, un Bistrot, un albergo diffuso, una rete di Fattorie, Orti sociali che ospitano persone fragili in Budget di Salute, 11 Sprar-Siproimi in altrettanti Piccoli Comuni chiamati “del Welcome” un bilancio di valore di circa 3 milioni e mezzo di euro, migliaia di chilogrammi di pomodori raccolti, lavorati e venduti ma, soprattutto, una inestimabile produzione di valore sociale: questo in estrema sintesi è il Consorzio Sale della Terra, che i fondatori definiscono più opportunamente “Rete di economia civile”. Era il 2016 quando le cooperative sociali Il Melograno, I Delfini di Terra, La Solidarietà e Lentamente – le prime tre cresciute nell’alveo della Caritas diocesana di Benevento, la quarta è una cooperativa agricola – decisero di unire i propri sforzi e le proprie attività a favore delle persone più fragili, dei migranti, della comunità tutta attraverso percorsi di inclusione sociale, di azioni di difesa della terra, di recupero di territori e tradizioni, con esempi ed azioni concrete. Sono state un’intuizione e una visione ampie e lungimiranti: rivitalizzare il territorio creando effettive opportunità di lavoro insieme a persone dei luoghi, migranti, persone con disabilità, ex detenuti, giovani preparati che non volevano abbandonare e spopolare la propria terra.

Avvicinamento sociale, in pratica l’opposto di ciò che oggi viene oltretutto erroneamente definito distanziamento sociale. Ecco nascere così l’artigianato sociale con la creazione di complementi di arredo, bomboniere, scatole per aziende di vini pregiati o di caffè o di packaging e il turismo sociale che offre percorsi del gusto, religiosi o esperienziali nei quattordici “BorghidelWelcome” quelli che hanno aderito al “Manifesto per una rete dei Piccoli #ComuniWelcome” della Caritas di Benevento. “Terre del Welcome” – spiega il presidente Angelo Moretti – perché danno il benvenuto a chi arriva da lontano, attratto dal sogno migratorio europeo che si ferma in Italia come primo porto di approdo. Perché sono “Porti di Terra”, terre in cui restare, terre da recuperare dall’abbandono e dallo spopolamento causato da altre migrazioni, quelle degli autoctoni, che a loro volta seguono il loro sogno migratorio e lasciano i piccoli borghi italiani, i piccoli comuni, che sono 5.400 in tutta Italia, il 73% sul totale dei Comuni. La maggioranza dell’Italia, insomma. L’Italia accogliente che a sua volta parla mille dialetti e vive milioni di usi, tradizioni, legati alle terre, ai cicli della natura, alle annate agrarie. Che si susseguono, più o meno fertili, più o meno feconde e abbondanti”.

Ma l’attività in cui maggiormente si esplica l’azione del Consorzio è l’agricoltura sociale: i campi a rischio abbandono adesso vengono coltivati secondo metodi e riti lenti ed antichi, in maniera ecologica e sostenibile ed i loro preziosi frutti vengono trasformati seguendo ricette tradizionali per offrire a tutti confetture, olio evo e di canapa, ortaggi in sottolio, farina e pasta di grani antichi, integrale, di canapa, di Saragolla, salsa e conserve di pomodori. Il pomodoro è il prodotto di cui vanno più orgogliosi: se nel primo anno sono stati prodotti 350 chili di conserve di pomodoro, nel 2019 sono stati raccolti 7500 kg di San Marzano, pomodorini e ovale, poi trasformati in 6000 barattoli assortiti di passata di pomodoro: La previsione di produzione per il 2020 è di circa 10.000 kg di pomodori tra san marzano, tondo e piennolo rosso, per un totale di 8000 barattoli di passata. La lavorazione e trasformazione avviene a Pietrelcina, nella sede della Cooperativa di Comunità Ilex, dalle persone accolte nello Sprar e formate con un laboratorio autorizzato dal Servizio centrale. Accanto ai prodotti freschi e trasformati dell’agricoltura coesiva il Consorzio Sale della Terra produce anche una linea enologica con “Ales” il Greco di tufo, “Confine” la Falanghina, “Crespo”, il Barbera del Sannio e “Gaudium” lo spumante di Falanghina, tutti prodotti secondo i metodi della tradizione.

La commercializzazione dei prodotti è l’unico aspetto del Consorzio che poco ha a che vedere con il passato: ci sono sì i punti vendita fisici dislocati sul territorio primo fra tutti lo Store Sale della Terra ma c’è soprattutto Gioosto.it, la piattaforma di ecommerce sostenibile di “Next nuova economia” della quale la Rete di economia civile “Sale della Terra” è socia. Gioosto.it ha la sua base logistica a Benevento e viene gestita anche da lavoratori in situazioni di fragilità. Inoltre anche in questo difficile momento di crisi sanitaria dovuto al Covid-19 che ha imposto molte chiusure, il Consorzio è riuscito a tenere aperto il laboratorio tessile, mantenendo i posti di lavoro e dando nuove prospettive per il futuro grazie alla produzione e commercializzazione di MasCarina, una mascherina di comunità lavabile in TNT. Un altro successo del Consorzio sono le sei Cooperative di comunità nate con la Fondazione con il Sud che si sentono coinvolte in questa filiera produttiva cui partecipano persone, Comuni, terre e comunità.

(ITALPRESS).

Ricerca, un metodo rapido per predire la qualità di un frutto

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“Multi-trait approach to enhance FRUit qualITY in post-harvest storage conditions” è il nome (complesso e articolato anche in italiano) di un progetto altrettanto complesso e articolato ma dagli sviluppi concreti utilissimi per l’export agricolo. Si tratta infatti di un metodo rapido e non distruttivo per valutare e predire la qualità di un frutto prevenendone e controllandone la perdita di qualità; il tutto grazie all’applicazione di nuove tecnologie che si concretizzano in un kit diagnostico di anticorpi. L’obiettivo è migliorare la qualità della frutta fresca prodotta in Calabria, riducendone la perdita durante la catena di approvvigionamento, favorendo così l’export. Ne parliamo con la referente scientifica del progetto Natasha Spadafora, calabrese di nascita, da 15 anni all’Università di Cardiff (Gran Bretagna), una lunga collaborazione con l’Università della Calabria, selezionata nell’ambito del bando Brains to South, promosso dalla Fondazione con il Sud per attrarre cervelli nel Mezzogiorno. La dottoressa Spadafora che spiega come tutto sia nato dal desiderio di far apprezzare anche all’estero le meravigliose qualità organolettiche dei prodotti calabresi.

“Andando al supermercato in Inghilterra – racconta – vedevo e acquistavo frutta stupenda che non sapeva di niente, pomodori rossi lucidi che si rivelavano acquosi e senza alcun profumo. Possibile che non si riuscissero a far godere odori e sapori della mia terra anche lontano da essa?”. Da qui la sua “sfida personale”, forte del suo dottorato di ricerca in scienza delle piante e del lavoro svolto sempre nel settore applicativo, con particolare attenzione ai temi legati al sapore. ” Voglio arricchire queste terre – dice riferendosi al Regno Unito e più in generale al resto del mondo – di quei sapori che ora non mi è possibile condividere con le persone che vivono qui: questo è un progetto legato alla mia terra, affinchè il Sud Italia possa esportare all’estero ciò che è bravo a fare” Il primo lavoro è stato fatto sulle pesche ed ha previsto due fasi: la prima di caratterizzazione e monitoraggio della qualitá della frutta cioè aroma, sapore, contenuto di composti con valore nutrizionale (ad esempio la vitamina C, Fenoli, Carotenoidi) e caratteristiche intrinseche come durezza, aciditá, contenuto di zuccheri. A questa analisi sono stati affiancati un panel di consumatori e uno di assaggiatori esperti alcuni in Calabria e altri in Gran Bretagna così da poter identificare un gusto soddisfacente per entrambi i palati.

Il secondo approccio prevede lo sviluppo di kit diagnostici per definire la perdita della qualitá della frutta nella filiera. Per fare ciò è stata analizzata insieme all’Universitá della Calabria la componente genetica (trascrittoma) dei frutti raccolti, mantenuti per alcuni giorni in condizioni di bassa temperatura. Sono stati poi selezionati i singoli geni attraverso i quali adesso stiamo creando dei kit diagnostici con i colleghi dell’Universitá di Milano. I prototipi dei kit verranno testati dai produttori del consorzio Sibarit e da aziende che vendono nel Regno Unito, così da coprire la filiera dal produttore fino alla vendita nel mercato. Il progetto FRUITY, ha visto come caso studio le pesche coltivate in Calabria, ma poichè questo approccio é applicabile ad altre colture, dopo rucola, melone e fragole lo stiamo testando sul pomodoro, che molti non sanno essere un frutto anzichè una verdura. Abbiamo iniziato la caratterizzazione della componente aromatica di 4 varietá di pomodoro, grazie al supporto dell’azienda partner del progetto Markes international (UK), che ci fornisce strumentazione di ultima generazione per l’analisi della componente aromatica, con campionamento in Calabria e analisi presso l’Universitá di Cardiff. Allo sviluppo del kit seguirà una fase di test per simulare le condizioni industriali e uno studio sulle preferenze dei consumatori ; il distretto alimentare di Sibari analizzerà il potenziale impatto economico attraverso questionari e interviste ad aziende del settore locali.

Infine, i risultati della ricerca saranno diffusi sul territorio e potranno essere utilizzati per implementare le pratiche dei produttori, in modo da definire un sistema di controllo più efficace, migliorare la qualità dei loro prodotti e favorirne l’esportazione su un mercato internazionale. ” Durante l’anno scendo molte volte in Calabria: quando non c’è campionamento ci sono attività di diffusione del progetto, whorshop con le aziende, la Regione Calabria, il Dipartimento Agricoltura e Ricerca e Sviluppo In questa stagione – dice Spadafora – dovrei già fare il campionamento, ma la quarantena mi trattiene nel Regno Unito; appena posso partirò e mi fermerò sino ad agosto per lavorare sul campo al mio gruppo formato da 3 borsisti e un assegnista”. Mi piace pensare che dal mio progetto possano trarre vantaggio tutti i componenti della filiera “from farm to fork” in quanto il consumatore riceve un prodotto caratterizzato per la sua qualitá eccellente e il produttore – una volta fatto il test diagnostico che garantisce una minore perdita di prodotto – puó scegliere se vendere ad una filiera piú ampia o rimanere in ambito locale”.

(ITALPRESS).

L’impresa sociale al Sud motore di solidarietà e crescita

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Reti sociali che diventano reti economiche e strumento di sviluppo per il Sud. Sono le relazioni intrecciate dalle imprese sociali, che operano con situazioni di svantaggio ma al contempo creano una catena della solidarietà per la crescita del territorio e della comunità. L’attività delle imprese sociali, come spiega il presidente della Fondazione con il Sud, Carlo Borgomeo, “un po’ alla volta si è affermata in tutta Italia e negli ultimi anni sta crescendo anche al Sud”, costruendo un percorso “molto importante” perché consolida “relazioni sociali positive” e “dà luogo poi anche a opportunità di sviluppo”. Coltivare terreni confiscati, produrre beni unici e innovativi, coinvolgere nelle attività anche detenuti, persone con disabilità, immigrati, donne vittime di violenza è una grande sfida, ancora più complessa in territori come le regioni del Mezzogiorno, dove occorre anche colmare il gap economico, infrastrutturale e culturale. In questi contesti, le imprese sociali lavorano in una doppia condizione di difficoltà. Borgomeo, tuttavia, si dice “ottimista sul futuro”. “Non sottovaluto né minimizzo le difficoltà, le complessità e la grande fatica ma ho un giudizio positivo. È più difficile fare impresa, però il moltiplicarsi delle esperienze mi rende ottimista”, aggiunge.

Il rapporto con la comunità è il punto di forza delle imprese sociali e rappresenta il mezzo principale per contribuire allo sviluppo del territorio. “Tutte le persone con le quali siamo rimasti in contatto sono molto attive anche sui social e si sono aggiornate”, afferma Luciana Delle Donne, fondatrice di Made in Carcere, brand grazie al quale donne detenute di alcune carceri del Sud realizzano gadget personalizzati. Delle Donne evidenzia come i corsi avviati abbiano contribuito a “eliminare il gap tecnologico” perché hanno permesso di sviluppare “competenze trasversali per poter affrontare la vita e qualsiasi altro nuovo lavoro”. “Il sud è la nostra casa”, commenta entusiasta Dine Diallo, presidente dell’impresa sociale Giocherenda che in Sicilia produce giochi di società cooperativi, promuovendo anche l’integrazione. Diallo ricorda di essere nato in Guinea ma ammette di sentirsi palermitano: “Il nostro progetto è nato qui al sud. Tutto quello che abbiamo fatto, lo abbiamo fatto qui. Difficoltà? Ce ne sono, ma quando abbiamo inaugurato il nostro negozio nel centro storico di Palermo, la risposta è arrivata dalle tante persone che hanno partecipato. Qui ci sentiamo accolti, ci sentiamo a casa”.

Una storia di integrazione e di legami perché, racconta, a Giocherenda erano giunte proposte per spostare l’attività a Berlino, Parigi e Bruxelles. “Abbiamo resistito e deciso di restare qui a Palermo, dove ci troviamo molto bene”, commenta ancora Diallo, affermando che il problema resta invece la burocrazia. Tra gli incantevoli paesaggi della Puglia, la cooperativa sociale Semi di Vita si dedica all’agricoltura sociale tra Bari, Casamassima e Valenzano, dove gestisce 26 ettari di beni confiscati alla mafia. Il rapporto con la comunità, alla quale si rivolge, convince il presidente di Semi di Vita, Angelo Santoro, dell’importanza di fare impresa al Sud: “La gente ha tanta voglia di riscatto, quel riscatto positivo che stiamo veicolando sui terreni affinché i beni confiscati diventino bene comune e portino buone prassi sul territorio”. Sono esempi di imprese sociali che, anche nel periodo dell’emergenza legata alla diffusione del coronavirus, hanno dovuto affrontare un’ulteriore sfida, perché con le norme anti-contagio è andato in crisi perfino il loro legame con la comunità. Per l’economista Leonardo Becchetti, tuttavia, c’è una soluzione: “Le imprese che hanno un’attività di creazione di valore economico possono continuare ad andare bene lavorando nel digitale, cioè aprendo nuovi canali commerciali”.

(ITALPRESS).

Made in Carcere, anche le mascherine diventano “sostenibili”

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Trasformare il tempo “sospeso” della quarantena in un tempo “attivo” grazie alla produzione di mascherine da donare a chi ne ha bisogno. È la risposta alla crisi legata all’emergenza Covid-19 di Made in carcere, il brand dedicato alla produzione di oggetti “sostenibili” che coinvolge le donne detenute di alcune carceri del Sud. Sono già oltre 6 mila le mascherine realizzate e distribuite sul territorio. Made in Carcere è considerato un modello di impresa sociale e si inserisce nel Progetto BIL (Benessere interno lordo), avviato nell’ambito del bando “E vado a lavorare” della Fondazione con il Sud, che ha l’obiettivo di favorire l’inclusione socio-lavorativa delle persone detenute nel Mezzogiorno, costruendo una rete di relazioni socio-professionali. Borse, braccialetti, cuscini, presine, accessori e gadget personalizzati, tutti realizzati con materiale da recupero, permettono di dare una seconda possibilità a chi si trova in carcere. Un’iniziativa che crea una catena di solidarietà e risulta utile per il reinserimento successivo al periodo di detenzione. Questi oggetti unici sono realizzati in un vero e proprio “laboratorio sartoriale” organizzato all’interno delle carceri. L’iniziativa, poi, coinvolge anche i minori detenuti rendendoli pasticceri impegnati nella preparazione di biscotti.

La consueta attività, però, anche in questo settore, ha subito un blocco dovuto alla diffusione del virus. I bisogni del territorio hanno determinato la necessità di riconvertire la produzione. Anche le imprese e le attività del Sud dedicate al sociale e fortemente legate alla comunità si stanno, quindi, reinventando per affrontare la crisi. Le restrizioni delle norme anti-contagio hanno inciso sul lavoro ma non hanno frenato la voglia di fare delle imprese sociali del Mezzogiorno. Così anche le detenute del carcere di Lecce, durante il periodo di quarantena, possono usufruire, grazie alle videochiamate, della formazione a distanza, in collegamento diretto con le sarte che continuano a trasmettere l’arte del cucire. Le mascherine realizzate da circa 13 donne delle carceri di Lecce e Trani sono dotate di filtro in Tnt che può essere sfilato e sostituito, mentre l’involucro può essere lavato e riutilizzato. I prodotti delle detenute pugliesi sono colorati, con stampe fantasiose, ma anche ecologici perché, come riassume all’Italpress la fondatrice di Made in Carcere, Luciana Delle Donne, “il rispetto dell’ambiente ci renderà liberi”. Dopo una prima fase di produzione e donazione gratuita, Made in Carcere ha potenziato il commercio delle mascherine online e ha studiato, prodotto e avviato la vendita di un “nuovo modo di protezione” con filtri ecosostenibili. Una soluzione per ripartire dallo stop forzato, dovuto all’emergenza coronavirus.

“Tutte le persone seguite da Made in Carcere hanno acquisito non solo la competenza tecnica delle sartorie ma anche le competenze trasversali per poter affrontare la vita e qualsiasi altro nuovo lavoro”, afferma Delle Donne. “Con il BIL – spiega – lo scenario attuale ci obbliga a una ridefinizione delle priorità con buon senso. Al momento ci si sta dedicando principalmente al trasferimento delle competenze, il modello di impresa sociale e così via. Saranno quindi coinvolte le sartorie sociali per recuperare le competenze artigianali. Stiamo ripensando a come ripartire potenzialmente in modo diverso. L’emergenza COVID-19 ci impone di attivare quanti più laboratori possibili per produrre mascherine ad uso civile: Lequile, Lecce, Taranto e Bari. Le carceri di Lecce e Trani sono già attive, mentre Matera e Taranto devono essere avviate”.

(ITALPRESS).

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