Il rettore Antonio Uricchio e la comunità accademica “ringraziano i volontari di Retake che nell’ultimo giorno dell’anno passato hanno ripulito la facciata del palazzo di Giurisprudenza da manifesti e locandine sovrapposti e accumulati negli anni restituendo all’edificio il suo aspetto originario”. L’Università di Bari inoltre “ribadisce con forza la volontà di procedere alla denuncia e rimozione immediata di ogni nuova affissione”.
“La lotta al vandalismo – ha affermato il rettore – è doverosa per una ragione di civiltà, decoro e amore per la propria città. Provvederemo a denunciare all’amministrazione comunale gli abusivismi e installeremo nuovi tabelloni informativi confidando soprattutto nell’ educazione e sensibilità civile di tutti”.
L’associazione Retake che si occupa di tutela dell’ambiente e del decoro urbano è un movimento di cittadini, no-profit e apartitico, impegnato nella lotta contro il degrado, nella valorizzazione dei beni pubblici e nella diffusione del senso civico sul territorio.
Università di Bari A. Moro
UNIBA E RETAKE PER IL DECORO DELLA CITTA’
INAUGURATO IL PROGETTO “SIMBIT”
Si chiama SiMBiT il progetto che in tre anni e mezzo porterà alla creazione di un dispositivo biomedicale in grado di rilevare la presenza di marcatori, anche quando sono a concentrazioni estremamente basse. Un lavoro ambizioso che segnerà certamente un punto importantissimo nel campo della prevenzione primaria. Sarà infatti possibile rilevare marcatori nel plasma o nelle urine che spesso, associati a cisti pancreatiche evolvono in tumori, noti per la loro aggressività e per la diagnosi spesso tardiva. Sarà proprio questo il banco di prova del progetto, arrivato terso nella graduatoria assoluta in una competizione alla quale hanno partecipato tutti gli stati europei e finanziato dal programma Information and Communication Technologies – Electronic Smart System di Horizon 2020.
“Una grande soddisfazione – ha detto il rettore Antonio Felice Uricchio a margine della conferenza di inaugurazione alla quale hanno partecipato tutti i partner del progetto di cui l’Università di Bari è capofila – il progetto riunisce al tempo stesso competenze scientifiche, si colloca all’interno di una rete europea molto competitiva ed è un progetto in grado di valorizzare i risultati della ricerca e di offrire al mondo delle imprese e della salute delle soluzioni che posso affrontare patologie serie”.
“Siamo orgogliosi – ha proseguito – perché appunto conferma il processo di crescita del nostro Ateneo e siamo orgogliosi di essere capofila e parte di un network internazionale, consapevoli che questi risultati possano contribuire in modo significativo a guardare con maggiore serenità al nostro futuro per la grande utilità che potranno avere”.
“Il dispositivo che saremo in grado di realizzare grazie a questo progetto – ha sottolineato la coordinatrice Luisa Torsi del Dipartimento di Chimica dell’Università degli Studi di Bari – è un dispositivo biomedicale in grado di effettuare analisi chimico- cliniche. Il grande elemento di novità, ovvero la sua caratteristica fondamentale è quella di essere estremamente sensibile. IL nostro dispositivo riesce a vedere delle concentrazioni infinitamente basse della singola molecola. Quindi dato un fluido biologico, se c’è un marcatore di una malattia come il tumore, il dispositivo riesce a rintracciarlo quando è presente a concentrazioni bassissime, cioè quando la malattia è appena cominciata. Il potenziale è enorme – ha concluso – e potrebbe rivoluzionare la diagnostica”.
SiMBiT ha un partenariato che si compone di nove gruppi afferenti a sei stati membri ( Italia, Finlandia, Inghilterra, Francia, Germania, Paesi Bassi). Di essi tre sono imprese. Fra i partner industriali c’è anche la pugliese Masmec, eccellenza nazionale del comparto biomedicale.
“Siamo orgogliosi – ha detto Michele Vinci, fondatore dell’azienda 35 anni fa e presidente – di essere partner del progetto – questo è un circuito virtuoso che si sta instaurando sul nostro territorio perché l’idea nasce sul territorio con l’Università di Bari e cerca di svilupparsi sullo stesso territorio attraverso le industrie locali. Allora con l’idea e la tecnologia, la ricaduta non potrà che essere quella di poter arricchire la ricerca barese e offrire al mercato un prodotto di avanguardia”.
IN ARIZONA IL PRIMO PROTOTIPO TELESCOPIO SCHWARZSCHILD-COUDER
Al Centro di Astrofisica | Harvard & Smithsonian, Fred Lawrence Whipple Observatory (FLWO) di Amado, in Arizona, si inaugura oggi il prototipo di telescopio per luce Cherenkov basato sulla tecnologia Schwarzschild-Couder (pSCT) per l’astrofisica a raggi gamma.
Sfruttando un nuovo design ottico, il pSCT dotato di uno specchio dal diametro di 9.7m di apertura è un telescopio per l’esplorazione dell’universo nello spettro elettromagnetico di altissima energia. Il pSCT verrà impiegato per la costruzione dell’osservatorio di prossima generazione Cherenkov Telescope Array (CTA), già inziata nell’Ottobre del 2018 con l’inaugurazione del Grande telescopio nell’isola di LAPALMA.
Il pSCT è il risultato di una intensa collaborazione italo-americana che vede coinvolte diverse università americane, italiane e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.
“Il primo del suo genere nella storia dei telescopi a raggi gamma, il design SCT dovrebbe migliorare le prestazioni di CTA verso il limite teorico della tecnologia adoperata, grazie anche all’impiego di fotosensori innovativi made in italy”,
spiega il professore Francesco Giordano del Dipartimento Interateneo di Fisica “M. Merlin” coordinatore nazionale della iniziativa pSCT. “I primi di Ottobre ci sarà anche un workshop dedicato ai recenti sviluppi di tali tecnologie che si svolgerà presso la nostra Università”.
L’osservatorio CTA consisterà in più di 100 telescopi di tre diverse dimensioni e studierà sorgenti di raggi gamma astrofisiche nell’intervallo di energia da 20 Giga-elettronVolt a 300 Tera-elettronVolt, con una sensibilità circa dieci volte maggiore rispetto a qualsiasi osservatorio mai costruito prima. Il risultato della costruzione del pSCT è solo l’ultimo in ordine di tempo dei successi che il gruppo di fisica stroparticellare della sezione dell’INFN di Bari e del Dipartimento Interateneo di Fisica può annoverare, che vanta una pluridecennale esperienza, con partecipazioni in collaborazioni internazionali coinvolte in esperimenti su missioni spaziali, voli su palloni sonda e in laboratori sotterranei.
“L’inaugurazione del pSCT è un momento emozionante per le istituzioni coinvolte nel suo sviluppo e nella sua costruzione”, ha dichiarato il professore Nicola Giglietto del Dipartimento interateneo di Fisica, responsabile nazionale per conto dell’INFN della iniziativa CTA.
MARILÙ MASTROGIOVANNI COMPONENTE GIURIA CANO WORLD PRESS FREEDOM PRIZE
La giornalista Marilù Mastrogiovanni, docente del master in Giornalismo e componente del Comitato Scientifico del master in Comunicazione della Scienza dell’Università degli Studi di Bari, è stata nominata dalla direttrice generale dell’UNESCO, Audrey Azoulay, componente della Giuria Guillermo Cano World Press Freedom Prize dell’UNESCO.
“E’ un riconoscimento che l’UNESCO conferisce a una persona che si è distinta per il notevole contributo offerto alla libertà di stampa – si legge in una nota Uniba -. L’incarico della giornalista Mastrogiovanni terminerà nel 2021”.
Il rettore dell’Università di Bari, Antonio Uricchio, ha espresso “viva soddisfazione per la prestigiosa nomina della giornalista pugliese Marilù Mastrogiovanni che conferma le sue qualità morali, culturali e professionali messe al servizio per la formazione delle nuove generazioni”.
Nel suo blog Marilù Mastrogiovanni scrive: “Quest’invito mi commuove e mi onora. E mi dice che il lavoro che faccio, e come lo faccio, ha un Valore. Per gli altri, per il bene comune. Ha
un Valore, visto da fuori. Perché in Italia, il lavoro che faccio, e come lo faccio, quel Valore lo perde e anzi, spesso, è oggetto di derisione e denigrazione. Anche per questo lo farò con maggiore pervicacia e lucidità, con tutte le mie forze porterò presso le rappresentanze mondiali la voce periferica dei giornalisti indipendenti. Rivolgerò la mia osservazione soprattutto verso le donne giornaliste, che fanno doppia fatica e ricevono doppie e specifiche minacce, proprio in quanto donne. Non c’è democrazia senza una libertà d’informazione reale e compiuta. Non c’è democrazia senza le donne”.
CYBERCHALLENGE.IT 2019, AL VIA PRE-TEST ONLINE
Si stanno svolgendo in questi giorni i pre-test online di ammissione alla CyberChallenge.IT 2019 di oltre cinquecento giovani hacker pugliesi. Seguirà il vero e proprio test in presenza il giorno 1 febbraio presso il Dipartimento di Informatica dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro e presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Università del Salento. Solo 40 candidati saranno selezionati per far parte delle due squadre delle Università pugliesi che concorrono al livello nazionale.
CyberChallence.IT è il primo programma italiano di addestramento alla cybersecurity per giovani di talento delle scuole superiori e delle università. Si tratta di un progetto del Laboratorio Nazionale di CyberSecurity del CINI che punta a scoprire e valorizzare il talento “cyber” nascosto in giovani fra 16 e 23 anni che studiano sul territorio italiano. L’iniziativa è supportata dal Sistema di Informazione per la Sicurezza della Repubblica, Presidenza del Consiglio dei Ministri.
In prospettiva, il progetto mira ad attrarre l’interesse dei giovani verso tematiche di grande rilevanza per il sistema Paese e nelle quali è noto esservi un’enorme carenza di competenze a livello planetario. L’iniziativa punta inoltre a formare giovani per la Squadra Nazionale Italiana di Cyberdefender che parteciperà alla competizione europea ECSC (European Cybersecurity Challenge). I giovani pugliesi selezionati parteciperanno gratuitamente per due mesi ad una attività di formazione in aula e laboratorio e a tutti i livelli di competizione previsti, fino a quello europeo.
Le sedi universitarie che hanno aderito all’iniziativa sono diciassette. Una è presso il Dipartimento di Informatica dell’Ateneo barese. «Siamo molto soddisfatti della risposta del territorio. Oltre 360 studenti hanno scelto la nostra sede, numericamente seconda solo all’Università di Roma “La Sapienza”, che comunque attinge a un bacino di popolazione ben più ampio», dice il professore Donato Malerba, Direttore del Dipartimento di Informatica e promotore dell’iniziativa per l’Università di Bari. «Abbiamo ricevuto i complimenti degli organizzatori nazionali perché siamo riusciti a coinvolgere la più elevata percentuale di ragazzi che frequentano le scuole superiori. Siamo diventati una best practice da seguire, grazie anche al convinto sostegno dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia – Ambito Territoriale per la Provincia di Bari», continua Malerba.
Per l’Università di Bari è anche l’occasione per promuovere il corso di laurea magistrale in Sicurezza Informatica, che partito nell’anno accademico 2017-18 presso la sede Paolo VI di Taranto, vedrà a breve i primi laureati. Secondo i dati dell’ultima indagine Alma Laurea, i neodottori in sicurezza informatica certamente non avranno problemi a collocarsi molto bene nel mondo del lavoro. Sempre presso la sede jonica, lo scorso ottobre, alla presenza del Rettore dell’Università di Bari, prof. Antonio Felice Uricchio, è stato anche inaugurato il laboratorio HackSpace grazie ai finanziamenti della Regione Puglia per i corsi di studio innovativi. Una struttura all’avanguardia in Italia, in cui l’intelligenza artificiale è al servizio della cybersecurity. «Alla Regione chiediamo un altro piccolo sforzo, quello di aiutarci, con le imprese del territorio, a sostenere i costi di partecipazione alla CyberChallenge», è l’appello lanciato dal Direttore del Dipartimento di Informatica.
Particolarmente significativa è anche la partecipazione femminile, poiché cinquanta ragazze concorreranno per il pre-test. «È incoraggiante anche la percentuale del 25% di studentesse iscritte al nostro corso di laurea in Sicurezza Informatica», precisa Malerba. Non a caso, l’edizione 2019 della CyberChallenge mirerà anche alla ricerca e alla selezione di talenti femminili con il duplice scopo di incoraggiare le ragazze a iscriversi al Programma e inviare un messaggio sociale positivo per dimostrare che l’abilità nell’hacking è indipendente dal genere di appartenenza. A formarle, ci saranno anche due donne: la dottoressa di ricerca Costantina Caruso, e la dottoranda Giuseppina Andresini. Così a Bari la sfida “cyber” si tinge di rosa.
SHOAH, URICCHIO “ATTRAVERSO MUSICA MESSAGGIO ARRIVI A GIOVANI”
“La musica tocca le corde del cuore e il cuore è chiamato a reagire dinanzi a tragedie così grandi, come quelle dell’olocausto e soprattutto attraverso la musica vogliamo affidare un messaggio che non abbia tempo e che possa essere raccolto dai nostri giovani”. Così il rettore dell’Università degli Studi di Bari, Antonio Uricchio che, con il maestro Lotoro e la professoressa Tavani, in occasione della giornata della Memoria ha fatto riecheggiare, nel Salone degli Affreschi dell’Ateneo, le musiche composte da donne e uomini prigionieri nei campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale e successivamente ritrovate. “Abbiamo voluto insieme al maestro Lotoro e alla professoressa Tavani organizzare questo evento – ha spiegato Uricchio – perché stiamo portando avanti un progetto insieme al maestro. Dedicheremo uno spazio e soprattutto raccoglieremo nella nostra nuova biblioteca multimediale le partiture che sono state raccolte dal maestro nei campi di concentramento. E’ l’occasione quindi di poter affrontare anche una tematica così drammatica come quella della Shoah attraverso la musica”.
“Gli insegnamenti derivanti da un’esperienza così drammatica come quella dell’olocausto – ha ribadito il rettore – devono essere conservati, tenuti vivi, presenti e soprattutto devono essere un monito, perché non si possono mai più ripetere tragedie come questa. Con questa iniziativa abbiamo voluto promuovere il ricordo”. Un inno alla vita, quindi, reso possibile grazie al maestro, compositore e direttore d’orchestra Francesco Lotoro che ha condotto un lavoro trentennale di ricerca accurata delle opere di tanti musicisti internati e ha permesso che rifiorissero e che andassero oltre la tragica morte dei compositori. “La musica – ha spiegato il maestro – poteva servire alla razione di cibo in più, a entrare nelle grazie del comandante e ancora teneva in vita tutto quello che il reich voleva distruggere, cioè la creatività e l’ingegno. In una visione del futuro – ha concluso – questa musica salverà la nostra vita, perché questa musica ha il diritto di diventare normale, non adesso che siamo ancora nella fase di work in progress, nella ricerca piena, ma fra 30-40”.
LA MUSICA DEI LAGER DIVENTA MEMORIA / FOCUS
“Un giorno dovremo far diventare questa musica normale, cioè la musica di tutti”. A dirlo il maestro Francesco Lotoro, compositore e direttore d’orchestra che, in occasione della Giornata della Memoria, ha suonato al pianoforte, nel Salone degli Affreschi dell’Università di Bari, le partiture musicali, composte da donne e uomini prigionieri nei campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale e successivamente ritrovate. In quegli anni terribili, in ogni campo di concentramento si è sviluppata una creatività artistica e musicale che rappresentava uno spazio vitale per poter liberare ed esprimere sentimenti di gioia e di evasione attraverso il linguaggio universale della musica: si cantava per resistere, per non perdere la dignità, per non rassegnarsi alla morte intellettuale.
“La musica – per il maestro Lotoro – poteva servire alla razione di cibo in più, a entrare nelle grazie del comandante e ancora, teneva in vita tutto quello che il Reich intendeva distruggere, cioè la creatività e l’ingegno”. Ed è proprio il maestro Lotoro, attraverso un lavoro di accurata ricerca trentennale, a restituire creatività e ingegno a questi spartiti e ridare giusta dignità a queste note che suonano un inno alla vita, che perdura oltre la tragica morte dei compositori.
“Qualcuno – ha detto il maestro – si meraviglia che in questa musica ci sia anche un’esplosione di allegria e di buonumore. Non dimentichiamo che il musicista – ha sottolineato – non canta il campo, non è il vate del lager, il musicista esorcizza, capovolge, vede il futuro, quindi – ha continuato – crea testamenti nel caso lui non debba sopravvivere”.
In ogni campo di concentramento si è sviluppata una creatività artistica e musicale, che rappresentava uno spazio vitale per poter liberare ed esprimere sentimenti di gioia e di evasione attraverso il linguaggio universale della musica: si cantava per resistere, per non perdere la dignità, per non rassegnarsi alla morte intellettuale.
“In una visione del futuro – ha spiegato il maestro – questa musica salverà la nostra di vita, perché questa musica ha il diritto di diventare normale. Non adesso – ha precisato – che siamo ancora nella generazione del work in progress, nella ricerca piena, ma fra 30-40 anni si suonerà Haas, Smith, così come oggi suoniamo Beethoven. Questa musica – ha ribadito – entrerà nei teatri, nei teatri di marionette. C’era musica anche per i teatri di marionette, in tutti i luoghi deputati. E la gente – ha spiegato – dovrà quasi dimenticare che è stata scritta in un campo di concentramento. La musica è bella, perché – ha aggiunto – non sappiamo dove è stata scritta. Un giorno dovremo far diventare questa musica normale, cioè la musica di tutti”.
“Forse non perderà mai quella connotazione, dove è stata scritta, in che luogo, ma quella – ha proseguito – dovrà essere la filigrana della banconota che si vede solo in controluce, questa musica – ha concluso – ha il diritto di riprendersi il posto che le spetta nella storia della musica del 900”.
Una ricerca che dura da 30 anni, nata con uno spirito, ha assicurato il maestro Francesco Lotoro che “non è mai lo spirito con cui continuano. Ogni musicista – ha spiegato – fa queste cose per passione, perché è onnivoro, è cannibale per natura, vuole allargare i propri repertori. Poi – ha continuato – ci sono cose che possono diventare un compito per la vita e il musicista si assume questo compito. La cosa positiva è che quella che poteva essere una ricerca che pesava su una persona, oggi è un fenomeno che inizia a diventare generazionale. Non sono più solo, ma non da oggi, da parecchio”.
Anche l’Università si è interessata a questo progetto, al punto da far riecheggiare nel Salone degli Affreschi dell’Ateneo barese le note degli uomini e delle donne rinchiusi nei campi di concentramento.
“Abbiamo voluto insieme al maestro Lotoro e alla professoressa Tavani – ha spiegato il rettore dell’Università di Bari, Antonio Uricchio – organizzare questo evento, perché stiamo portando avanti un progetto insieme al maestro. Dedicheremo uno spazio e soprattutto raccoglieremo nella nostra biblioteca multimediale – ha annunciato – le partiture che sono state raccolte dal maestro nei campi di concentramento. Questo evento – ha continuato – è anche l’occasione di poter affrontare una tematica così drammatica come quella della Shoah attraverso la musica, perché la musica tocca le corde del cuore e il cuore – ha sottolineato Uricchio – è chiamato a reagire dinanzi a tragedie così grandi, come quelle dell’olocausto e soprattutto attraverso la musica – ha concluso – vogliamo affidare un messaggio che non abbia tempo e che possa essere raccolto dai nostri giovani”.
Oltre all’Università, al progetto si sono interessate anche scuole, manager, produttori televisivi, produttori cinematografici. “Sto girando il mondo – ha detto Lotoro – e finirò di girarlo entro il 2020, perché – ha spiegato – una produzione con sede a Gravina di Puglia, mi permette di andare a recuperare le ultime partiture, prendere gli ultimi sopravvissuti che magari non hanno scritto in materia musicale, ma hanno ancora la memoria nel cervello. E’ un fenomeno quale doveva diventare, perché – ha continuato – la musica è un fenomeno collettivo e condivisibile. Hanno creato un enorme testamento musicale i cui i numeri attuali, 8mila partiture e 10mila documenti, saranno sicuramente moltiplicati negli anni a venire”.
LAUREA H.C. IN MEDICINA AL VESCOVO DI CASSANO ALLO JONIO
“Ha saputo costruire una rete di carattere sociale e di affetti, ponendo al centro l’uomo”. Così il rettore dell’Università di Bari, Antonio Uricchio intervenendo nel pomeriggio alla cerimonia di conferimento della laurea honoris causa in Medicina e Chirurgia a mons. Francesco Savino, vescovo di Cassano all’Jonio, nell’aula magna del Policlinico.
“Ci sentiamo tutti Don Ciccio (come lo chiamano tutti, ndr) – ha detto Uricchio – perché abbiamo fatto proprio quell’impegno di carattere morale e culturale, cioè la misericordia. L’Università di Bari – ha ricordato – è l’Università di Aldo Moro e Aldo Moro – ha continuato Uricchio – ci ha insegnato di mettere al centro l’uomo, la persona, i valori di cui l’uomo è portatore. Quindi – ha spiegato – ci è sembrato doveroso riconoscere questo titolo meritatissimo, perché Don Ciccio nella propria vita, nella propria esperienza religiosa, nel proprio impegno sociale ha saputo porre al centro l’uomo e soprattutto chi ne ha bisogno. Tante – ha sottolineato – sono le pagine che ha saputo scrivere nella propria esperienza di vita e religiosa, molte di queste impattano sulla sanità, come ad esempio l’Hospice di Bitonto. Tante le attività e gli insegnamenti – ha ribadito – che ha saputo darci”.
“Innanzitutto – ha ricordato – il primo dono che gli riconosciamo, è che ci ha insegnato ad imparare la sofferenza, a diffidare delle scorciatoie e da ultimo a ringraziare Dio per quello che quotidianamente ci offre, cioè la vita. Era opportuno quindi – ha concluso – questo riconoscimento verso una persona che ha avuto sempre attenzione verso l’uomo, curando prima la sua anima e poi il suo corpo”.
Il conferimento della laurea honoris causa in Medicina e Chirurgia a mons. Savino omaggia un religioso che “svolge da quasi quarantanni il suo servizio pastorale e la sensibilità che lo contraddistingue, insieme agli approfonditi studi teologici ed antropologici, lo hanno portato a dedicarsi sempre più specificatamente alla cura dei malati cronici, degli anziani e dei malati terminali. Infatti mons. Francesco Savino ha istituito a Bitonto una casa alloggio per malati di AIDS e un centro per le cure palliative per malati oncologici denominato Hospice Auterio Marena che rappresenta sia per la struttura che per l’accoglienza umana, un ospedale di eccellenza assoluta”.
“In questo momento di commozione – ha detto Savino ai giornalisti – mi tornano in mente i tanti volti delle tante persone che ho incontrato e intercettato sul versante della malattia. Questa storia condivisa – ha continuato – oggi trova un suo riconoscimento dall’autorità dell’Università di Bari. Riconoscendo a me questa laurea – ha ribadito – soprattutto riconoscono meriti a quella storia che ha avuto una sua importanza. Oggi come non mai – ha aggiunto – quella storia continua a essere una storia di condivisione e di solidarietà”.
“Sono emozionato – ha sottolineato e questa laurea – ha concluso – la dedico a tutti gli ammalati, a tutte le persone fragili che ho incontrato nella mia vita, a tutte quelle persone malate di Aids o malati terminali che ho accompagnato nel momento decisivo della vita, cioè la morte, cercando di umanizzarla”.
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