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Finanziamento fondo ordinario, all’Università Bicocca 8,5 mln in più

MILANO (ITALPRESS) – Cresce del 6,43% rispetto al finanziamento 2022 l’assegnazione del Fondo di finanziamento ordinario riconosciuto all’Università di Milano-Bicocca dal Ministero dell’Università e della ricerca. L’ateneo consolida la crescita degli ultimi anni passando da 133.521,773 di euro del 2022 ai 142.083,847 del 2023. L’Ffo è costituito da una quota base – calcolata in parte su una base storica e in parte sul costo standard – e da una quota premiale, erogata in base ai risultati della qualità della produzione scientifica del personale docente e ricercatore già in servizio in ateneo, e di quella dei nuovi assunti e promossi. “La quota premiale, che riconosce la qualità della produzione scientifica dei nostri docenti, sfiora i 53milioni di euro . Ancora una volta viene premiata la qualità della ricerca dell’ateneo – sottolinea la rettrice di Milano-Bicocca, Giovanna Iannantuoni -. I fondi dell’Ffo, insieme alle risorse del Pnrr, consentiranno a Milano-Bicocca di consolidare l’identità di ateneo innovativo e di realizzare il piano di investimenti in risorse umane e infrastrutture”. La qualità della produzione scientifica, il numero degli studenti e le performance della didattica a livello nazionale hanno consentito di aumentare le risorse destinate all’Università di Milano-Bicocca dall’1,84 del 2018 fino al 2 per cento del 2023. La crescita costante è confermata anche dall’aumento della quota premiale che, rispetto allo scorso anno, aumenta di oltre 4 milioni.
Per quanto riguarda il costo standard del 2022, che cresce percentualmente nella composizione dell’Ffo rispetto alla quota storica, l’ateneo guadagna circa il 12%, pari a circa 5.010,979 di euro.
-foto ufficio stampa Università Milano-Bicocca-
(ITALPRESS).

Il 94% dei dottori di ricerca di MIlano-Bicocca lavora a un anno dal titolo

MILANO (ITALPRESS) – Tra i dottori di ricerca del 2021 dell’Ateneo Bicocca contattati un anno dopo la proclamazione il 94 per cento ha già un’occupazione: il 48,2 per cento lavora grazie al dottorato; il 30,9 per cento è assunto a tempo indeterminato. Se il 60,6 per cento lavora nel settore pubblico, il 35,1 per cento opera in quello privato. Alla fine del mese i dottori di ricerca possono contare su un salario netto che si aggira sui 1.949 euro. I dati sono positivi anche per i diplomati di master: il 91,9 lavora a un anno dal diploma; il 59,8 è a tempo indeterminato. Il 73,9 per cento ha un’occupazione nel settore privato, e c’è un 2,1 per cento che arriva a svolgere compiti dirigenziali. Alla fine del mese i diplomati di master vedono arrivare una retribuzione mensile netta che oscilla dai 1.713 ai 2.107 euro.
I dati sono stati diramati dal Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea, attraverso i report del 2023 sul profilo dei dottori di ricerca e dei diplomati di master, e l’VIII report sulla loro condizione occupazionale.
L’indagine sulle performance formative ha coinvolto 5.007 dottori di ricerca del 2022 di 37 atenei, di cui 170 dell’Università di Milano-Bicocca. I numeri sull’occupazione, invece, hanno analizzato 5.442 dottori di ricerca del 2021 di 45 atenei, contattati a un anno dal conseguimento del titolo, di cui 155 provengono dalla nostra università.
Per quanto concerne i master, l’analisi ha interessato le performance formative di 10.498 diplomati del 2022 di 18 atenei: 5.182 di primo livello e 5.316 di secondo livello. All’interno di questo campione i diplomati dell’Ateneo Bicocca sono 559: 467 di primo livello e 92 di secondo livello. I dati sull’occupazione, invece, hanno esaminato 12.976 diplomati del 2021 di 29 atenei, contattati un anno dopo la conclusione del percorso: 7.216 di primo livello e 5.760 di secondo livello. In Bicocca i diplomati oggetto dell’indagine sono stati 586: 446 di primo livello e 140 di secondo livello.
A un anno dal conseguimento del titolo i 155 dottori di ricerca del 2021 dell’Ateneo Bicocca hanno un tasso di occupazione del 94 per cento, superiore di 3,1 punti rispetto alla media nazionale (90,9 per cento). Sebbene il 33,7 per cento degli occupati prosegua l’attività intrapresa prima di aver concluso il percorso di studi, è grazie al dottorato che il 48,2 per cento dei ricercatori riesce a trovare lavoro. L’inquadramento contrattuale dei dottorati del 2021 vede il 30,9 per cento assunto a tempo indeterminato, il 17 per cento a tempo determinato e il 29,8 con un assegno di ricerca. Se entriamo nel merito delle mansioni svolte, il 79,8 per cento svolge una professione intellettuale, scientifica e di elevata specializzazione, di cui il 47,2 per cento lavora in ambito accademico come ricercatore o tecnico laureato. Tra i nostri dottori di ricerca il 60,6 per cento lavora nel settore pubblico, il 35,1 per cento è assorbito da quello privato. In generale i nostri dottori di ricerca possono contare su una retribuzione mensile netta intorno ai 1.949 euro, e il 41,5 per cento di loro lavora in modalità di smart working.
All’interno dell’Ateneo, tra i 170 dottori di ricerca del 2022 contattati da AlmaLaurea il 14,7 per cento ha collaborato con le imprese durante il dottorato, a fronte di una media nazionale attestata all’8,3 per cento. Il 16,5 per cento dei dottori di ricerca ha conseguito un titolo congiunto o un titolo doppio/multiplo – i cosiddetti joint degree o double/multiple degree – cifra superiore di un punto percentuale alla media del Paese (15,5 per cento). Nonostante l’età media in cui gli studenti ottengono il dottorato sia intorno ai 32 anni, il 61,8 per cento dei dottori di Bicocca consegue il titolo non oltre i 30 anni. Chi ha intrapreso la carriera del dottorato in Bicocca lo ha fatto soprattutto per migliorare la propria formazione culturale e scientifica (82,9 per cento). Un’aspettativa che ha trovato riscontro durante il corso di studi: infatti l’84,1 per cento ha partecipato per almeno un anno ad attività formative strutturate, quasi tre punti in più del resto d’Italia.
Inoltre, se il 48,8 per cento di dottorandi ha svolto un periodo di studio o di ricerca all’estero (la media nazionale arriva al 40,1), per il 36,1 per cento di loro l’esperienza ha superato i sei mesi. Infine, la possibilità di aver dedicato alla ricerca oltre 40 ore settimanali (34,7 per cento nel nostro Ateneo, 31,2 nelle altre università), corrobora la soddisfazione per aver acquisito nuove competenze e abilità settoriali (la valutazione è di 8 punti su 10); aver approfondito contenuti teorici (7,4 punti), nonché sentire di padroneggiare tecniche di ricerca (7,7 punti). Un gradimento del genere spiega perché il 58,8 per cento dei dottorati ripeterebbe l’esperienza.
Per quanto riguarda i master, i diplomati del 2021 contattati da AlmaLaurea sono 586: 446 di primo livello e 140 di secondo livello. Tra di loro, il tasso di occupazione complessivo a un anno dal diploma è del 91,9 per cento (quello nazionale è all’86 per cento); tra i diplomati di master di primo livello lavora il 90,4 per cento (gli altri atenei sono all’85,3 per cento); dopo i master di secondo livello lavora il 96,9 per cento, 10 punti percentuali in più del resto d’Italia. Tra gli studenti di Bicocca che già lavoravano prima di concludere il percorso, l’82 per cento ritiene di essere migliorato grazie al master, soprattutto nelle competenze professionali. Invece, tra le persone che hanno iniziato l’attuale attività lavorativa dopo il conseguimento del titolo, il 76,3 per cento pensa che il master abbia avuto un ruolo per ottenere l’impiego.
Se entriamo nel merito delle mansioni svolte: un anno dopo il master il 59,8 per cento lavora a tempo indeterminato mentre il 17,3 per cento ha un contratto a tempo determinato.
La maggior parte dei diplomati di master dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca trova impiego nel settore privato, il dato complessivo è del 73,9 per cento contro il 58,6 della media nazionale. Nello specifico, i diplomati di primo livello occupati in questo settore sono il 76,9 per cento, un dato superiore di oltre dieci punti rispetto a quello degli altri atenei (63,6 per cento). Per quanto riguarda i diplomati di secondo livello il dato è di 64,2 per cento, contro il 52,2 del resto d’Italia. La quasi totalità degli occupati è assorbita dal settore dei servizi (84,7 per cento) e dall’industria (14,6 per cento). La media della retribuzione mensile netta dei nostri diplomati di master è di 1.807 euro: 1.713 euro per i diplomati di primo livello e 2.107 per quelli di secondo livello. Tra di loro il 35,7 per cento lavora in modalità di smart working.
In Bicocca, i diplomati di master del 2022 contattati da AlmaLaurea sono 559: 467 di primo livello e 92 di secondo livello. Se consideriamo l’intera popolazione, l’8,2 per cento ha cittadinanza estera, un dato che sale al 14,1 per cento nei master di secondo livello. I nostri studenti si diplomano intorno ai 30,9 anni (la media nazionale è di 34,1). Tra di loro il 52,6 per cento è stato uno studente-lavoratore a tempo pieno per più della metà del percorso di studi: 49,5 per cento nei corsi di primo livello e addirittura 70,4 in quelli di secondo livello. Durante il master hanno svolto stage o project work il 92,8 per cento dei nostri iscritti: 92,3 per cento nei master di primo livello; 95,8 in quelli di secondo livello. Un risultato ragguardevole se consideriamo la media delle altre università: 65 per cento a livello generale; 77,3 per cento nei master di primo livello; 53,1 nei master di secondo livello.
La maggior parte dei nostri studenti ha giudicato adeguato l’inserimento presso l’azienda o l’ente nel corso dello stage: la soddisfazione globale è del 62,6 per cento (il dato nazionale è del 57,7 per cento); nei master di primo livello l’Ateneo raggiunge il 61,3 per cento (contro il 56,6 del Paese); in quelli di secondo livello arriva al 72,7 per cento, la media nazionale è al 59,5 per cento.
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Bicocca “Disturbi meno frequenti in maggioranza casi di Covid risolti”

MILANO (ITALPRESS) – Disturbi neurologici meno frequenti e nella maggioranza dei casi, risolti, spesso anche in tempi brevi, nelle ondate pandemiche successive alla prima. Questi gli esiti dello studio Neuro-Covid Italy, promosso dalla Società Italiana di Neurologia, recentemente pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Neurology, giornale ufficiale della American Academy of Neurology. I disturbi neurologici associati all’infezione da Covid-19, chiamati collettivamente con il termine “neuro-Covid”, sono tra gli aspetti più allarmanti, controversi e meno compresi della recente pandemia. Si tratta di sintomi e malattie diverse – dall’encefalopatia acuta (ovvero un grave stato confusionale, con disorientamento e allucinazioni) fino all’ictus ischemico, l’emorragia cerebrale, le difficoltà di concentrazione e memoria, la cefalea cronica, la riduzione dell’olfatto e del gusto, alcune forme di epilessia e di infiammazione dei nervi periferici. Il progetto Neuro-Covid Italy ha coinvolto 38 unità operative di Neurologia in Italia e nella Repubblica di San Marino ed è stato coordinato dal Prof. Carlo Ferrarese, direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Milano-Bicocca presso la Fondazione Irccs San Gerardo dei Tintori di Monza. Lo studio, ideato dai ricercatori dell’Università degli Studi di Milano (Vincenzo Silani e Alberto Priori, rispettivamente direttore del Dipartimento di Neuroscienze di Auxologico IRCCS e direttore della Clinica Neurologica III, Polo Universitario San Paolo) e di Milano-Bicocca (professor Carlo Ferrarese), è stato presentato al Comitato Etico di Auxologico Irccs a Milano il 26 Marzo 2020, ed è durato per un periodo di 70 settimane, da Marzo 2020 fino a Giugno 2021, con un successivo follow-up fino a Dicembre 2021. Su quasi 53.000 pazienti ospedalizzati per Covid-19, circa 2000 pazienti erano affetti da disturbi neuro-Covid e sono stati seguiti per almeno 6 mesi dopo la diagnosi, per analizzare l’evoluzione dei disturbi. “Lo studio Neuro-Covid Italy è stato un grande lavoro di squadra, svolto con impegno e dedizione da 160 neurologi impegnati in prima linea durante il periodo più duro della pandemia – afferma Carlo Ferrarese, coordinatore dello studio. Lo studio è stato promosso dalla Società Italiana di Neurologia, che fin dall’inizio ha supportato tutte le attività di ricerca”. Il dottor Simone Beretta, neurologo presso la Fondazione Irccs San Gerardo dei Tintori di Monza e primo autore dello studio sottolinea l’importanza dei risultati ottenuti: «Un primo dato importante è che i disturbi neuro-Covid sono diventati gradualmente meno frequenti ad ogni successiva ondata pandemica, passando da circa l’8% della prima ondata a circa il 3% della terza ondata. Questo indipendentemente dalla severità respiratoria del virus e prima dell’arrivo dei vaccini. La ragione più probabile di questa riduzione sembra quindi legata alle varianti stesse del virus, che passando da quella originale di Wuhan fino a Delta hanno reso il virus meno pericoloso per il sistema nervoso. Con la variante Omicron e l’uso dei vaccini, la situazione è andata ulteriormente migliorando e i disturbi neuro-Covid sono ora diventati molto rari”. Un secondo dato, riguarda il recupero neurologico nei mesi successivi all’infezione, come spiega il professore Carlo Ferrarese: “In oltre il 60% dei pazienti c’è stato una risoluzione completa dei sintomi neurologici oppure la persistenza di sintomi lievi, che non impediscono le attività della vita quotidiana. Questa percentuale arriva a oltre il 70% per i pazienti in età lavorativa, tra i 18 e i 64 anni”. “Non bisogna però dimenticare che – prosegue Ferrarese – in circa il 30% dei pazienti, i sintomi neurologici sono durati oltre i 6 mesi dall’infezione. Questo è vero soprattutto per quanto riguarda i pazienti con ictus associato all’infezione da Covid, che nelle prime ondate sono stati gravati anche da una elevata mortalità intraospedaliera. Ma anche per i disturbi cognitivi, della concentrazione e della memoria, la risoluzione dei sintomi è stata molto più lenta rispetto ad altre condizioni neurologiche, tanto da rientrare in quella che è stata chiamata sindrome long-Covid. Questa nuova sindrome è attualmente seguita in molti centri neurologici coinvolti nello studio”. Il professor Alberto Priori, direttore della Scuola di Specializzazione in Neurologia e della Clinica Neurologica dell’Università degli Studi di Milano presso il Polo Universitario San Paolo alla Asst Santi paolo e Carlo di Milano, che con i suoi collaboratori ha descritto per primo i disturbi cognitivi associati al Covid, rileva inoltre che “se, quando e quanto l’infezione da Sars-Cov-2 potrà determinare un incremento del rischio di patologie neurologiche ad essa correlate a distanza di anni rimane ovviamente da essere studiato. Visti i dati della pandemia appena finita, i numeri potrebbero ipoteticamente essere importanti. Ciò implica che i sistemi sanitari europei oltre che le società scientifiche dovranno monitorare attentamente il quadro neuro-epidemiologico e dedicare sin da ora risorse specifiche a tale osservazione nel tempo”. “Lo studio Neuro-Covid Italy ci rende orgogliosi – conclude Vincenzo Silani – per avere intuito precocemente il coinvolgimento del sistema nervoso nella pandemia legata al Covid ed avere così determinato la raccolta dei dati nella penisola tracciando una prima valutazione dell’impatto neurologico in acuto e nel lungo termine della pandemia”.(ITALPRESS).

Foto: Ufficio Stampa Università Milano Bicocca

Al via una sinergia innovativa Gdf-mondo accademico e della ricerca

MILANO (ITALPRESS) – Formalizzata, presso il Comando Generale della Guardia di Finanza, la stipula di un protocollo d’intesa tra la Guardia di Finanza, l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, l’Università degli Studi di Parma e la Società Italiana di Statistica.
L’accordo di partenariato è stato sottoscritto dal Comandante Generale, generale di Corpo d’armata, Andrea De Gennaro, dalla professoressa Giovanna Iannantuoni, rettrice dell’ateneo milanese, dal professor Paolo Andrei, rettore dell’Università di Parma, e dal professor Corrado Crocetta, Presidente della Società Italiana di Statistica.
Il memorandum, si legge in una nota, segna l’avvio di una innovativa sinergia con il mondo accademico e della ricerca, che mira a supportare il Corpo nell’affinamento e nel potenziamento delle tecniche statistiche e di analisi impiegate per orientare le attività di contrasto nei confronti dei fenomeni criminali più gravi in tutti i settori della missione istituzionale: dall’evasione fiscale agli illeciti nella spesa pubblica, dalla contraffazione, sicurezza prodotti e tutela del made in Italy al riciclaggio di proventi illeciti e al contrasto patrimoniale della criminalità organizzata. E’ altresì prevista la possibilità per gli analisti della Guardia di Finanza di svolgere attività didattiche e formative, valorizzando il modello del training on the job, presso i prestigiosi centri di ricerca delle Università firmatarie.
Il Bicocca Applied Statistics Center (B-ASC) dell’Ateneo milanese promuove e realizza l’applicazione delle metodologie statistiche all’interno delle imprese e degli enti pubblici e privati.
Il Centro Interdipartimentale di ricerca “Ro.S.A. – Robust Statistics Academy” dell’Università di Parma si occupa dello sviluppo di innovativi modelli statistici raffinati attraverso l’approccio robusto.
Il Comandante Generale della Guardia di Finanza ha evidenziato che «l’intesa si inserisce nell’ambito di un più ampio programma pluriennale volto ad affinare ulteriormente i processi di analisi del Corpo attraverso l’utilizzo di tecniche statistiche sempre più evolute che consentano di intercettare sul nascere gli illeciti economico-finanziari nelle singole realtà territoriali. Per la Guardia di Finanza è sempre più essenziale coniugare le tradizionali tecniche di polizia con sistemi tecnologicamente avanzati di interpolazione e di valorizzazione delle informazioni a disposizione».
«Si tratta di una alleanza che fa bene al Paese – ha dichiarato la professoressa Iannantuoni, Rettrice dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca – Noi metteremo a disposizione le nostre risorse e competenze ponendo i ‘numerì al servizio delle istituzioni. Formazione, ricerca ed innovazione rappresentano le linee di sviluppo che consentiranno di rendere condivise ed operative le analisi e le metodologie applicate».
Il Rettore dell’Università di Parma ha rimarcato che «la collaborazione in essere consente di prendere decisioni suffragate da tecniche quantitative che sono al fronte della ricerca e di combinare le competenze accademiche con le esigenze pratiche di elaborare modelli statistici che possano contrastare in maniera tempestiva ed efficace i casi di illecito. La collaborazione a livello centrale tra l’Università e la Guardia di Finanza si affianca a quella già esistente in ambito locale e consente di estendere gli ambiti di applicazione in essere anche agli aspetti legati alla formazione e alla ricerca applicata. L’evento odierno rappresenta un punto di partenza di un percorso che volge al reciproco arricchimento delle competenze specifiche in possesso delle diverse istituzioni coinvolte nel progetto».
Il Presidente della Società Italiana di Statistica ha messo in evidenza che «il percorso che la Società scientifica e la Guardia di Finanza intraprendono comporta un valore aggiunto sia in termini di analisi che di sviluppo di modelli di gestione grazie all’utilizzo di sempre maggiori disponibilità di dati nell’interesse del sistema economico italiano».
foto ufficio stampa Università degli Studi di Milano-Bicocca
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Bicocca disegnata attraverso le opere dell’illustratore Carlo Stanga

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MILANO (ITALPRESS) – La mappatura del Campus Bicocca prosegue: Carlo Stanga, illustratore e architetto di fama internazionale ha realizzato una nuova mappa “orientante” del campus universitario della sede di Monza. Per realizzarla, nel corso del 2022 sono stati coinvolti studenti, docenti, medici e personale dell’ateneo che così hanno contribuito con indicazioni sui luoghi del vivere più sentiti e rappresentativi del campus di Monza. Attualmente, le opere di Carlo Stanga sono presenti in U6, U7 e U12 e a breve, saranno esposte anche presso gli edifici di Piazza della Scienza.
Il “progetto mappe”, coordinato dal professor Stefano Malatesta con la collaborazione del Settore Comunicazione, nasce su impulso della Commissione orientamento, coordinata dalla professoressa Maria Grazia Riva. Il 5 settembre, alle ore 18.30, presso la sede centrale della Biblioteca, U6 “Agorà”, sarà possibile incontrare l’artista nell’ambito dell’evento “I segreti della stanza dello psicologo” organizzato dalla Biblioteca di Ateneo.

Foto: ufficio stampa Università Milano Bicocca

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Una ricerca Università Bicocca apre le porte alla “video game therapy”

MILANO (ITALPRESS) – Usare i videogiochi come strumento creativo in un percorso terapeutico. Un gruppo di ricercatori di Milano-Bicocca ha presentato in modo analitico come i videogiochi, dove l’interazione avviene in uno scenario immaginario, possano essere dei facilitatori di cura per traumi, in quanto in essi ci sentiamo più liberi e tendiamo ad abbassare le difese. Questo può essere utile ad esempio per trattare casi di dipendenze, per la prevenzione, per il supporto ai neet – giovani che non lavorano nè studiano – e “ritirati sociali”, ma anche in ambito di disturbo da deficit di attenzione iperattività), disturbi dell’apprendimento ed autismo per favorire l’autoregolazione cognitiva. Il contributo, dal titolo “Putting the Gaming Experience at the Center of the Therapy -The Video Game Therapy Approach”, è stato scritto da Marcello Sarini, ricercatore di informatica del Dipartimento di Psicologia di Milano-Bicocca, insieme a Francesco Bocci, psicoterapeuta Adleriano, e Ambra Ferrari, esperta di ludonarrativa, ed è stato recentemente pubblicato sulla rivista Mdpi Healthcare. Questo articolo analizza come questa strategia, già nota in ambito clinico, possa essere utile in particolare nella creazione di un efficace rapporto terapeuta-paziente. L’approccio presentato si fonda sul concetto che i videogiochi offrono la possibilità di interagire in uno scenario immaginario, concretizzato visivamente grazie al supporto video-digitale. In tale scenario, il paziente può esprimere gli aspetti salienti di se´ in assoluta libertà e con meno difese rispetto al ricorso esclusivo al dialogo. Questo avviene grazie sia alle proprietà immersive del videogioco che rendono l’esperienza ludica particolarmente spontanea sia grazie all’attivazione dell’esperienza di “Flow”, nel quale i due emisferi sono in equilibrio rispetto alle sfide e agli obiettivi che il gioco richiede ed interagiscono tra loro in modo equilibrato. All’interno dell’approccio della Vgt vengono integrate varie tecniche psicologiche, quali, per citarne alcune, l’ascolto attivo, le libere associazioni, l’esposizione allo stimolo, la catarsi, la desensibilizzazione rispetto ad un ricordo/evento traumatico. Per la buona riuscita del percorso è di fondamentale importanza che il focus non sia tanto legato al contenuto o al mezzo utilizzato (in questo caso il videogioco), ma soprattutto al “come”, al “modo” in cui il terapeuta o caregiver lo propone e lo agisce in seduta. Il gaming riattiva, infatti, dinamiche “proiettive” e “difese primordiali” in un ambiente “protetto” e “regolato”. Il “fare” “giocando” nella relazione permette così al terapeuta ed al paziente gamer, alla diade terapeutica, di “immaginare” nella relazione, di far rivivere proiezioni e identificazioni, come anche vissuti emotivi, traumi passati, ricordi d’infanzia, senza rimanere incastrati in essi, ma dandone un significato adattivo e creativo. Questa ricerca descrive in modo dettagliato le diverse fasi in cui si articola il percorso terapeutico spiegando come le diverse fasi della psicologia individuale adleriana siano rese operative nella Vgt considerando il ruolo fondamentale delle sessioni di gioco che ogni paziente ha con dei videogiochi commerciali. Questi videogiochi sono scelti dal terapeuta come i più adatti rispetto al contesto del paziente. Lo studio approfondisce come, attraverso sessioni di gioco, usando il videogioco più adatto per il paziente, il paziente stesso possa raggiungere uno “stato di Flow”, e che questa esperienza sia facilitante per affrontare i suoi traumi e le sue difficoltà. “E’ attraverso questa esperienza, – sottolinea Marcello Sarini – che il terapeuta come alleato del paziente in una coppia terapeutica, può utilizzare i diversi approcci e tecniche che la psicoterapia mette a disposizione, per risolvere le problematiche del paziente”.(ITALPRESS).

Foto: Ufficio Stampa Università Milano Bicocca

Dalla natura una soluzione per salvare i coralli dai cambiamenti climatici

MILANO (ITALPRESS) – L’Istituto Italiano di Tecnologia – IIT e l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, in collaborazione con l’Acquario di Genova, hanno recentemente pubblicato su ACS Applied Materials and Interfaces, uno studio (“Biodegradable Zein-Based Biocomposite Films for Underwater Delivery of Curcumin Reduce Thermal Stress Effects in Corals”, DOI: 10.1021/acsami.3c01166) dove è stata dimostrata l’efficacia della curcumina, una sostanza antiossidante naturale estratta dalla curcuma, nel ridurre lo sbiancamento dei coralli, fenomeno causato principalmente dai cambiamenti climatici. I due partner coinvolti hanno sviluppato un biomateriale biodegradabile per somministrare la molecola senza provocare danni all’ambiente marino circostante. I test eseguiti all’Acquario di Genova hanno dimostrato un’efficacia significativa nel prevenire lo sbiancamento dei coralli.
Lo sbiancamento dei coralli è un fenomeno che, negli eventi estremi, determina la morte di questi organismi con conseguenze devastanti per le barriere coralline, queste ultime fondamentali per l’economia globale, la protezione delle coste dai disastri naturali e la biodiversità marina. La maggior parte dei coralli vive in simbiosi con alghe microscopiche, indispensabili per la loro sopravvivenza e responsabili dei loro colori brillanti. A causa dei cambiamenti climatici le temperature di mari e oceani sono in aumento, condizione che interrompe il rapporto tra questi due organismi. Quando ciò accade, il corallo, ormai bianco per la perdita delle alghe, rischia letteralmente di morire di fame.
Negli ultimi anni, a seguito dei cambiamenti climatici, questa condizione ha colpito la maggior parte delle barriere scogliere coralline più importanti del mondo, inclusa la Grande Barriera Corallina australiana. Tuttavia, a oggi non esistono interventi di mitigazione efficaci per prevenire lo sbiancamento dei coralli senza mettere in serio pericolo l’integrità di questi habitat e l’eccezionale biodiversità associata.
I ricercatori e le ricercatrici dell’Istituto Italiano di Tecnologia e dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, in collaborazione con l’Acquario di Genova, hanno dimostrato l’efficacia di una molecola naturale, la curcumina, nel bloccare lo sbiancamento dei coralli provocato dai cambiamenti climatici. La curcumina viene somministrata in maniera controllata sul corallo applicando un biomateriale a base di zeina, una proteina derivata dal mais, che è stato sviluppato dagli stessi partner per essere sicuro per l’ambiente.
Durante i test, svolti nell’Acquario di Genova, si sono simulate le condizioni di surriscaldamento dei mari tropicali alzando la temperatura dell’acqua fino a 33°C. In questa condizione tutti i coralli non trattati sono risultati colpiti dal fenomeno dello sbiancamento come succederebbe in natura mentre, al contrario, tutti gli esemplari trattati con la curcumina non hanno mostrato segni di tale fenomeno, risultati che rendono questo metodo efficace nel ridurre la suscettibilità dei coralli allo stress termico. Per questo studio è stata utilizzata una specie di corallo (Stylophora pistillata) tipica dell’oceano Indiano tropicale e inserita nella Lista rossa IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) tra le specie minacciate dal rischio di estinzione.
“Questa tecnologia è oggetto di una domanda di brevetto depositata, infatti i prossimi passi di questa ricerca si focalizzeranno sull’applicazione in natura e su larga scala – afferma il primo autore dello studio Marco Contardi, ricercatore affiliato del gruppo Smart Materials dell’Istituto Italiano di Tecnologia e ricercatore del DISAT (Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra) dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca – allo stesso tempo, esamineremo l’utilizzo di altre sostanze antiossidanti di origine naturale per bloccare il processo di sbiancamento e prevenire così la distruzione delle barriere coralline”.
“L’utilizzo di nuovi materiali biodegradabili e biocompatibili capaci di rilasciare sostanze naturali in grado di ridurre lo sbiancamento dei coralli rappresenta una novità assoluta – dichiara Simone Montano ricercatore del DISAT e vice direttore del MaRHE Center (Marine Research and Higher Education Center) dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca – credo fortemente che questo approccio innovativo rappresenterà una trasformazione significativa nello sviluppo di strategie per il recupero degli ecosistemi marini”.
– foto ufficio stampa Università di Milano-Bicocca –
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Studio Milano-Bicocca, bambini 13 mesi sperimentano l’esclusione sociale

MILANO (ITALPRESS) – L’esperienza di essere ignorati in presenza degli altri, nota con il nome di ostracismo, è un fenomeno che si verifica comunemente nell’arco della nostra vita in diversi contesti e a diverse età. Esso influisce negativamente sui bisogni psicologici fondamentali e induce cambiamenti fisiologici e comportamentali negli adulti.
Un nuovo studio, dal titolo “You can’t play with us: First-person ostracism affects infants’ behavioral reactivity”, condotto presso il Bicocca Child&Baby Lab dell’Università di Milano-Bicocca, e appena pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Child Development, ha rivelato come anche i bambini di soli 13 mesi siano sensibili all’ostracismo e reagiscano in modo diverso quando vengono inclusi o esclusi in situazioni sociali.
Nel corso degli ultimi vent’anni, diversi studi si sono occupati di comprendere le dinamiche sottostanti il fenomeno dell’ostracismo. A oggi è noto come, a partire dall’età scolare, l’essere esclusi da situazioni sociali possa influenzare i bisogni psicologici di base come il bisogno di appartenenza e l’autostima, causando cambiamenti fisiologici come l’accelerazione del battito cardiaco. Non solo, l’ostracismo può anche modificare i nostri comportamenti, consentendoci di adottare atteggiamenti prosociali o antisociali a seconda della situazione.
Ma come e quando emerge questa precoce sensibilità all’esclusione sociale? Per cercare di rispondere a questa domanda, la ricerca, realizzata presso il Bicocca Child&Baby Lab da un gruppo di ricercatori coordinato da Ermanno Quadrelli, docente di psicologia dello sviluppo e psicologia dell’educazione, all’interno di un finanziamento della Commissione Europea tramite un bando Marie Sklodowska-Curie Innovative Training Network (Progetto MOTION), ha esaminato gli effetti dell’ostracismo sul comportamento di bambini di 13-14 mesi.
I bambini venivano coinvolti in un gioco con una palla insieme a due sperimentatori. Durante il gioco potevano essere inclusi, ricevendo e passando la palla in modo equo con gli sperimentatori, oppure ostracizzati, venendo ignorati dagli sperimentatori ed esclusi dal gioco dopo i primi due passaggi. Il comportamento dei bambini veniva registrato per consentire di valutare in maniera dettagliata le espressioni facciali, vocali e posturali degli stessi durante le diverse fasi dell’esperimento.
I risultati ottenuti hanno dimostrato che i bambini ostracizzati mostravano una minor quantità di comportamenti a valenza positiva, quali sorrisi e risate, mostrando invece in misura maggiore espressioni emotive negative, quali pianto ed espressioni di rabbia, rispetto a quelli inclusi. I bambini esclusi, inoltre, si mostravano molto più attenti al gioco, osservando più a lungo la palla e/o i giocatori, e ricercavano l’attenzione degli altri giocatori, verosimilmente in un tentativo di essere re-inclusi nell’interazione sociale.
Questi risultati rivelano, per la prima volta, come, già a partire dai 13 mesi di età, i bambini siano sensibili all’ostracismo, mostrando una risposta comportamentale in linea con quanto osservato in bambini più grandi e negli adulti. Complessivamente, i dati raccolti forniscono inoltre nuove informazioni sullo sviluppo delle abilità di interazione sociale in prima infanzia ed evidenziano come la sensibilità all’esclusione sociale negli adulti affondi le sue radici nei primi mesi di vita.
I dati di ricerca ad oggi disponibili indicano come essere persistentemente ignorati dai coetanei a partire dalla scuola materna può comportare reazioni di insoddisfazione in classe fino a compromettere le prestazioni scolastiche.
“Adottare una prospettiva evolutiva e studiare gli effetti dell’ostracismo fin dalla prima infanzia – sostiene Ermanno Quadrelli – consente non solo di ampliare le conoscenze sullo sviluppo sociale nei primi anni di vita, ma mette anche in evidenza la necessità di intervenire precocemente per contrastare l’ostracismo e promuovere un ambiente inclusivo sin dai primi anni di vita. In questo senso, la creazione di programmi educativi e di intervento mirati a favorire l’integrazione sociale e a sviluppare abilità di adattamento socio-emotivo potrebbe contribuire a mitigare gli effetti negativi dell’ostracismo sui bambini e migliorare le loro prospettive di successo accademico e di benessere sociale”.
-foto Agenzia Fotogramma –
(ITALPRESS).

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