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RIFIUTI, UTILITALIA: “IMPIANTI SONO POCHI, SIAMO IN EMERGENZA”

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“Sono pochi, dislocati non omogeneamente sul territorio e alcuni poco efficienti, gli impianti per la gestione dei rifiuti nel nostro Paese”. Questo il pensiero del vicepresidente di Utilitalia (la Federazione delle imprese di acqua energia e ambiente) Filippo Brandolini, in merito al dibattito sulla necessità di impianti in Campania emersa nelle parole del vicepremier Matteo Salvini.

“La fragilità e il sottodimensionamento del sistema impiantistico per il trattamento dei rifiuti sono un’emergenza nazionale – osserva Brandolini – non si tratta più di eventi circoscritti, locali o regionali, ma di una crisi che riguarda sia i gestori dei rifiuti che il tessuto economico-produttivo”.

Tra le altre cose – spiega ancora il vicepresidente di Utilitalia – “l’economia circolare non può fare a meno di questi impianti: i target ambiziosi richiedono una dotazione moderna e di taglio nazionale; ferma restando l’adozione di politiche che ne favoriscano la riduzione e il riuso, occorre che i rifiuti vengano avviati a impianti che li trattino per tornare ad essere un materiale o, qualora non fosse possibile, ne sfruttino il potenziale energetico considerando peraltro che ancora nel 2016 più di 18 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e speciali sono stati smaltiti in discarica”.

La raccolta differenziata in Italia si attesta a una media del 52,5%: il Nord arriva al 64,2%, il Centro al 48,6% e il Sud al 37,6%. Gli investimenti realizzati tra il 2012 e il 2017 sono pari a 1,4 miliardi di euro: 46,5% in raccolta, 53,5% in impianti; circa 14 euro per abitante all’anno. Quelli pianificati nel quadriennio 2018-2021 arrivano a 22 euro per abitante all’anno. Le risorse si investono soprattutto per i mezzi per la raccolta a basso impatto ambientale, lo spazzamento e il decoro urbano, la ricerca, l’innovazione e le tecnologie 4.0, nuovi impianti di digestione anaerobica, compostaggio e TmB , investimenti in manutenzione straordinaria e adeguamento degli impianti di recupero energetico. Il fabbisogno degli investimenti è stimato da Utilitalia in 4 miliardi di euro, di cui 1,1 per la fase della raccolta (raggiungimento 65% di Rd e implementazione della tariffa puntuale), 1 per il trattamento della frazione organica (nuovi impianti), e 1,8 per il recupero di materia ed energia dai rifiuti indifferenziati (nuovi impianti).

Per Utilitalia – spiega Brandolini – sarebbe necessario adottare, contestualmente al recepimento del Pacchetto dell’Economia Circolare, una Strategia Nazionale per la gestione dei Rifiuti che individui le azioni e gli strumenti per raggiungerne gli obiettivi; e che consideri, in particolare rispetto al fabbisogno impiantistico, non solo gli urbani ma anche i rifiuti speciali (pericolosi e non) e che in tema di riciclo includa sia gli imballaggi che i materiali.

“In un’ottica di integrazione energetica e ambientale e coerentemente con il Pacchetto Energia, si potrebbe anche valorizzare il contributo dei rifiuti nella produzione di energia, in prevalenza rinnovabile, per ridurre la dipendenza dall’estero – conclude Brandolini – la recente nascita dell’autorità indipendente Arera, con competenze anche per la regolazione nei rifiuti offre poi elementi ulteriori per un disegno strategico di lungo periodo, che punti a ridurre i costi ai cittadini aumentando l’efficienza complessiva del sistema, come avvenuto in passato per l’energia, il gas e il settore idrico”.

“È necessario affrontare responsabilmente il problema della carenza di impianti per il riciclo e per il recupero energetico – fa presente allora Brandolini – e il prossimo recepimento delle direttive europee del Pacchetto dell’Economia Circolare è un’occasione importante per riscrivere, riordinandole e superando  elementi di incertezza e contraddizione, le norme per la gestione dei rifiuti in Italia”.

UTILITALIA: “GARANTIRE CONTINUITÀ SERVIZIO IDRICO CON NORME STABILI”

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Oggi il 98% della popolazione nazionale riceve il servizio idrico da soggetti a matrice pubblica; soltanto il 2% della popolazione è servito da società private (l’1% da società miste a maggioranza privata). Le società totalmente pubbliche o a maggioranza pubblica servono l’85% della popolazione; i Comuni che gestiscono direttamente il servizio riguardano il 12% della popolazione. Questo il quadro della gestione dell’acqua in Italia che emerge dal convegno organizzato da Fondazione Utilitatis, Fondazione Eni Enrico Mattei, Fondazione Amga ed Enea.

Secondo alcuni dati forniti da Utilitatis ancora 23 Comuni in Italia risultano privi di acquedotti, una cosa che riguarda 100 mila abitanti. Tra i problemi più preoccupanti, “l’emergenza principale” riguarda le infrazioni comunitarie per fognature e depurazione: sotto scacco per le infrazioni ci sono oltre 1.000 agglomerati urbani; il 70% si trova al Sud. 

Lo studio di Utilitatis mette anche in evidenza la differenza degli investimenti tra le gestioni industriali e quelle in economia: per le prime l’investimento medio è di 39 euro ad abitante all’anno, per le seconde 4 euro ad abitante all’anno. 

Viene anche riconosciuto il “ruolo” rivestito dall’arrivo dell’Autorità in quest’ambito: “grazie alla regolazione dal 2012 il comparto sembra aver intrapreso un nuovo ritmo nell’attuazione della pianificazione degli interventi dimostrando un tasso di crescita costantemente positivo degli investimenti; anche se i livelli di investimento non sono ancora adeguati al reale fabbisogno per superare il deficit di infrastrutture”.

“E’ fondamentale la salvaguardia delle gestioni industriali e dei soggetti che hanno sempre più capacità di gestire le diverse realtà territoriali del nostro Paese, per trovare il miglior processo possibile e per risolvere le criticità”, osserva il vicepresidente di Utilitalia, Alessandro Russo.

“A questo fine crediamo che sia essenziale riconoscere il ruolo di un’Authority indipendente, in primo luogo per la tutela dei consumatori, oltre che per dare elementi di maggiore certezza rispetto al lavoro che fanno le nostre aziende. Sulla gestione del servizio idrico vogliamo favorire il dibattito in chiave non ideologica – rileva Russo – quello che serve è trovare le migliori soluzioni possibili, partendo dal presupposto che non difendiamo il sistema così com’è, ma che difendiamo chi in questi anni si è impegnato, e cioè il lavoro delle aziende”.

“La nostra esperienza di aziende ci permette di fissare alcuni punti cardine – continua Russo – tra questi, se è vero che le infrazioni in materia di acque sono concentrate nelle zone nelle quali abbiamo gestioni in economia, una possibile soluzione è il passaggio ad una gestione industriale; se è vero che gli importi di investimento sono più elevati per aziende strutturate e di dimensioni medio grandi, una possibile soluzione è una dimensione aziendale adeguata alla gestione del servizio e al numero degli utenti. Per gestire l’acqua – conclude Russo – dobbiamo affiancare alle caratteristiche industriali di azienda efficiente, una serie di valori che sono propri delle nostre aziende: trasparenza nella gestione, diritto all’accesso universale, tutela dell’ambiente, partecipazione dei cittadini, rispetto delle generazioni future”.

 

CONFRONTO UE SU CAPACITY MARKET

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In questi giorni, con il Trilogo UE (incontro che vede coinvolti rappresentanti del Parlamento del Consiglio e della Commissione nella fase ascendente della normativa, prima della formalizzazione) si decide a livello comunitario il market design del settore energetico e i nuovi meccanismi del capacity market. Considerando il tema di grande attualità dell’abbandono del carbone, si rendono necessarie alcune riflessioni.

Secondo Utilitalia (la Federazione delle imprese di acqua ambiente e energia) “la recente proposta del Consiglio dell’Unione Europea di limitare ulteriormente la protezione accordata ai meccanismi di capacity market esistenti ai soli contratti ed impegni già assegnati rappresenta una minaccia per la celere implementazione del capacity market in Italia. Non va dimenticato che l’approvazione da parte della Commissione del nostro meccanismo ha richiesto (tra notifica informale e formale) oltre 2 anni e mezzo. Un allungamento dei tempi avrebbe impatti rilevanti sulla sicurezza del sistema: il recente Winter Outlook di ENTSO-E vede per l’Italia, in situazioni climatiche critiche, sia possibili problemi di adeguatezza sia, in alcune zone del Paese, una ridotta offerta di regolazione a scendere”.

“Inoltre, nel lungo periodo, anche l’ambizioso piano di sviluppo delle fonti rinnovabili risulterebbe di difficile implementazione per la mancanza di generazione di back up affidabile. Infine l’assenza di stabili segnali di prezzo potrebbe bloccare i nuovi investimenti necessari per permettere la chiusura delle centrali a carbone nei tempi previsti”, sottolinea Utilitalia, la quale auspica che “l’esito dell’odierno Trilogo UE vada nella direzione di garantire una clausola di salvaguardia – almeno per un periodo transitorio – per i meccanismi già approvati dalla Commissione come quello italiano. La nostra associazione condivide l’obiettivo del Governo di procedere con il programmato phase out delle centrali a carbone e ritiene che esso possa essere concretamente realizzato attraverso l’inserimento, fin da subito, dell’indice EPS nel capacity market, escludendo di fatto la partecipazione di questi impianti al meccanismo. Il MISE dovrebbe celermente adottare il decreto di approvazione della disciplina includendovi i citati limiti emissivi, avviando nel più breve tempo possibile il confronto in ambito UE”.

 

GARE GAS, UTILITALIA: “AL CENTRO LA TUTELA DEL CONSUMATORE”

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“Le gare gas hanno un cammino molto difficile e una procedura complessa, ma un intervento normativo sul tema può esser accettabile soltanto se si tiene bene a mente quale sia la vera origine delle gare: garantire al cittadino la migliore qualità del servizio al costo minore possibile. Qualsiasi intervento che influenzi gli equilibri economico-finanziari o l’allocazione dei rischi, riporta indietro le lancette e finisce per rallentare ulteriormente il processo”. Così Giordano Colarullo, direttore generale di Utilitalia – la federazione che riunisce le imprese dell’energia, dell’ambiente e dell’acqua – intervenuto al convegno promosso da Anci Lazio e Consorzio Reti Gas, per fare il punto sull’andamento delle gare per affidamento delle concessioni del servizio di distribuzione del gas naturale negli Ambiti Territoriali Minimi in cui è stato suddiviso il territorio nazionale. Secondo Colarullo è “vero che le procedure sono semplificabili e che gravano in maniera eccessiva sulle stazioni appaltanti, ma non è sensato ipotizzare interventi normativi a tutto tondo, che riaprirebbero elementi di equilibrio industriale raggiunti con grande difficoltà in tanti anni”.

 

UTILITALIA LANCIA PRIMO REPORT SOSTENIBILITÀ AZIENDE SERVIZI PUBBLICI

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Promozione delle buone pratiche, crescita infrastrutturale, innovazione e ricerca, sviluppo sostenibile. Questi i capisaldi delle aziende dei servizi pubblici che intendono entrare nel futuro. Ed è per questo che Utilitalia (la Federazione che riunisce quelle aziende, che si occupano di acqua ambiente e energia) lancia ‘Misurarsi per migliorarsi’, il primo rapporto di sostenibilità delle aziende associate (tra cui Hera, Iren, Acea, A2a, Smat) curato con la collaborazione della Fondazione Utilitatis, e presentato a Roma in occasione dell’Assemblea generale delle Federazione.

I dati raccolti nel rapporto – grazie a un’analisi che ha censito 300 indicatori (economico-finanziari, tecnici, commerciali e di governance, entrando anche nello specifico dei comparti acqua, energia e rifiuti) ed è stata effettuata tra giugno e settembre su 127 aziende che complessivamente rappresentano l’88% dei lavoratori del sistema – raccontano che il comparto industriale è “finanziariamente sano”, capace di generare investimenti per oltre 3 miliardi di euro e utili per oltre 1,5 miliardi. Le utility si caratterizzano per l’impiego di forza lavoro quasi esclusivamente a tempo indeterminato (oltre il 97%), con attività di formazione e potenziamento delle competenze che coinvolge l’82% dei lavoratori totali.

La ricchezza prodotta dalle utility è reinvestita dalle imprese nel servizio idrico per 1,5 miliardi (il 49% del totale), nello sviluppo e ammodernamento delle reti di distribuzione elettrica e gas per 665 milioni (il 21% del totale), nei servizi ambientali per 290 milioni (il 9% del totale) e in attività di ricerca e sviluppo per 81 milioni (il 2,5% del totale). Ammonta ad oltre 9 miliardi il valore delle gare pubbliche effettuate nel 2017. Il valore aggiunto totale prodotto dalle utility è pari a 10,5 miliardi, il 40% dei quali distribuito ai lavoratori sotto forma di retribuzioni e altri compensi (circa 4 miliardi complessivi). Il valore aggiunto distribuito agli azionisti (soggetti pubblici per oltre l’80%) è pari ad oltre 871 milioni (8,3%) e alla pubblica amministrazione – comprensiva di tasse sul reddito e canoni per l’uso di reti e aree – per 1,3 miliardi (12,2%).

Molto diffuse le certificazioni legate ai processi e all’organizzazione: l’80% del totale adotta sistemi di gestione per la qualità (ISO 9001), il 58% sistemi di gestione ambientale (ISO 14001) e il 47% sistemi per la gestione della salute e sicurezza dei lavoratori. Ancora modesta la presenza di donne nei consigli di amministrazione delle utility censite (29% del totale dei consiglieri) e tra i dirigenti (14%). Pur a forte prevalenza maschile – in particolare nelle qualifiche operaie – è verosimile un aumento dell’occupazione femminile tra gli impiegati.

“Questo report si inserisce nel nuovo quadro di politiche pubbliche seguite all’Accordo di Parigi e alla sottoscrizione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile – dice il presidente di Utilitalia Giovanni Valotti – per i gestori di acqua, energia e rifiuti si tratta di obiettivi naturalmente connessi con la propria attività e la mission d’impresa. Il futuro delle utility italiane deve guardare a efficienza e risparmio energetico ed idrico, economia circolare, salvaguardia e riuso delle risorse, prevenzione dell’inquinamento, riduzione delle emissioni climalteranti e degli sprechi, biocarburanti, teleriscaldamento, rinnovabili e reti intelligenti per servizi di pubblica utilità; a questo bisogna affiancare l’innovazione tecnologica, la formazione dei lavoratori, la sicurezza, le pari opportunità”.

Secondo il report di Utilitalia è diffusa tra le aziende la rendicontazione non finanziaria: 34 i bilanci di sostenibilità, corrispondenti al 76% del valore della produzione rappresentata. Nel 94% dei casi, il bilancio di sostenibilità viene approvato dal Cda o da altri organi amministrativi, e nel 76% dei casi presentato all’assemblea dei soci.

E’ pari rispettivamente al 64% e all’80% la quota di energia elettrica e di calore prodotta da fonti rinnovabili e assimilate, corrispondenti a 22 milioni di tonnellate di CO2 evitate. Sono pari al 40% della quota d’obbligo i certificati bianchi conseguiti attraverso la realizzazione diretta di interventi di efficientamento energetico.

Superiore al 96% la quota di campioni di acqua potabile risultata conforme, distribuita attraverso una rete geo-referenziata nell’86% della sua lunghezza complessiva (pari a 273 mila km). Sono del 40,7% le perdite di rete, contro una media nazionale del 41,9% ed è pari all’85% la quota di fanghi di depurazione destinata al recupero, con un 5,4% destinato alla produzione di biogas.

La raccolta differenziata svolta dalle utility censite è pari al 55,2% dei rifiuti prodotti e pari al 49,5% la quota destinata al recupero di materia. Sono oltre 3 milioni gli abitanti serviti da sistemi di tariffazione tramite misurazione puntuale delle quantità di rifiuti prodotti e sono oltre il 50% i Comuni serviti da sistemi di raccolta porta a porta.

Ai settori di acqua, ambiente e energia si guarda tenendo in considerazione i 17 obiettivi sullo sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Da qui alle politiche e alle scelte messe in campo per la sostenibilità economica, sociale e ambientale, come per esempio l’impegno verso la decarbonizzazione, la mitigazione delle emissioni climalteranti, le iniziative di adattamento, il contrasto alla povertà e le azioni di inclusione sociale, il contributo allo sviluppo dell’economia circolare, la lotta agli sprechi e la salvaguardia delle risorse idriche. 

Obiettivo del report è offrire un quadro della responsabilità economica, ambientale e sociale del comparto e misurare il valore aggiunto prodotto per lavoratori, azionisti, investitori, clienti, territori e istituzioni. Utilitalia intende così promuovere la rendicontazione non finanziaria all’interno del suo sistema associativo, oltre che fornire un contributo misurando il grado di performance.

“Utilitalia – osserva Valotti – ha scelto di promuovere la buona pratica della rendicontazione non finanziaria, ovvero della redazione di bilanci o report di sostenibilità. Misurare le nostre performance sarà veicolo di miglioramento per tutto il sistema di imprese associato, ponendo davanti ad amministratori e lavoratori i risultati realizzati e dunque il percorso per migliorarci. Ne risulterà accresciuto il nostro profilo di responsabilità, per contribuire nello svolgimento quotidiano delle nostre attività d’impresa alla sostenibilità e alla sopravvivenza del Pianeta”.

VALOTTI: “GESTIONE ACQUA PUBBLICA VADA A IMPRESE EFFICIENTI”

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“Utilitalia prende atto che nelle audizioni presso la Commissione Ambiente della Camera dei Deputati anche i sindacati confederali, dopo le molte imprese consultate, hanno espresso grandi preoccupazioni e sostanziali riserve sul PdL Daga. Come associazione che rappresenta l’80% del settore, ribadiamo il fatto di condividere gli obiettivi di fondo del PdL, ovvero l’importanza di assicurare a tutti i cittadini un’alta qualità del servizio idrico”. Così il presidente di Utilitalia, Giovanni Valotti, sulla proposta di legge di riforma del sistema idrico in discussione in Parlamento. “Non possiamo tuttavia che ribadire alcuni punti fondamentali – osserva Valotti – ovvero: l’acqua è già pubblica, le tariffe dell’acqua che pagano i cittadini e gli investimenti da realizzare nei diversi territori sono decisi da autorità pubbliche e non dal gestore, chiunque esso sia; troviamo ingenerose e non fondate le affermazioni riportate nelle agenzie, secondo le quali l’attuale sistema ha penalizzato i cittadini e i lavoratori; infatti, proprio grazie all’introduzione della regolazione indipendente di ARERA, che il PdL vorrebbe eliminare, gli investimenti sono molto aumentati negli ultimi anni, iniziando a colmare un clamoroso gap accumulato nei decenni precedenti”, aggiunge. 

“Questo anche grazie a un sistema di imprese che è cresciuto molto, facendo emergere diversi player sul territorio che nulla hanno da invidiare alle migliori esperienze europee; sono proprio queste imprese che hanno programmato nei loro piani industriali ingenti investimenti nei prossimi anni e che inevitabilmente subirebbero uno stop in caso di procedesse nella direzione ipotizzata dal PdL, con rilevanti impatti sul Pil, sull’occupazione diretta e sull’indotto, oltre che sulla qualità dei servizi ai cittadini; siamo sicuri che i promotori del PdL e il Parlamento, avendo meglio approfondito le possibili implicazioni della proposta di riforma, come emerso dalle interlocuzioni con tutti i principali attori del settore, sapranno meglio delineare le linee guida di trasformazione del settore idrico che, per tutelare l’interesse di tutti noi cittadini, richiedono una visione alta e di lungo respiro da affidare, nella sua attuazione, ad operatori industriali efficienti, specializzati e con la forza adeguata per realizzare le opere e gli investimenti necessari. Il passaggio è importante – conclude Valotti – perché scelte sbagliate avrebbero un impatto drammatico sui cittadini attuali e sulle future generazioni. L’acqua è un bene primario, che va assicurato a tutti. Proprio per questo la gestione deve essere affidata ad operatori industriali efficienti e specializzati. Il cittadino ne può solo beneficiare”.

 

PPA NON UNICO STRUMENTO PER FUTURO RINNOVABILI

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“Per raggiungere gli obiettivi fissati al 2030 sull’energia rinnovabile, i PPA sono un ottimo strumento ma devono essere considerati come parte di un set più ampio. Secondo le stime attuali per raggiungere gli obiettivi si dovrà triplicare la capacità fotovoltaica installata e duplicare la capacità eolica. Di fronte a questo sforzo Utilitalia auspica una cabina di regia che coinvolga tutti i protagonisti dell’energia, dalle istituzioni al regolatore, agli operatori. Oltre a tarare correttamente il giusto mix e il peso di ciascuno strumento per il raggiungimento degli obiettivi 2030, un confronto sarebbe utile anche per valutare come regolare uno strumento come il PPA, molto legato alla libera contrattazione tra le parti e alla spontanea aggregazione della domanda”. Così Francesco Macrì, vicepresidente di Utilitalia, rispetto alle indicazioni del sottosegretario al Mise, Davide Crippa, sull’utilizzo da parte della Pubblica Amministrazione dei Power Purchase Agreement (PPA), contratti decennali a prezzo fisso per la fornitura di elettricità da un produttore a un consumatore.

“La nostra non è una posizione difensiva – afferma Macrì – ma una valutazione tecnica sullo strumento. Sia per il futuro dei PPA che, più in generale, per la transizione energetica verso le rinnovabili, le utilities continueranno in ogni caso ad essere al fianco degli enti locali a giocare un ruolo di primaria importanza grazie al loro legame capillare con il territorio. La vicinanza alle realtà locali e l’esperienza nei servizi di distribuzione, sono un valore aggiunto sia per la Pubblica Amministrazione che per la generazione distribuita dell’energia, che richiederà un nuovo approccio nella gestione delle reti e nel trading dell’energia”.

Sulle prospettive di sviluppo del PPA come strumento contrattuale, il vicepresidente della federazione afferma: “per la sperimentazione di nuove forme contrattuali avranno certamente un peso l’affidabilità finanziaria delle utilities locali e la loro predisposizione a nuove forme di strutturazione della domanda e dell’offerta che – sul fronte delle vendite retail – privilegeranno i prodotti basati sull’energia verde anche per i clienti residenziali”. 

 

UTILITALIA: “POSITIVA CONSAPEVOLEZZA SU GESTIONE INDUSTRIALE ACQUA”

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“Nelle audizioni in commissione Ambiente della Camera tenute nelle scorse settimane, tutti hanno ribadito la necessità di una visione di lungo periodo, di una libertà di scelta nella forma di gestione del servizio che tenga conto dei livelli occupazionali e della capacità industriale dell’azienda.  Dalle imprese ai sindacati, dalle associazioni ambientaliste agli enti locali hanno mostrato maggior consapevolezza del passato verso la complessità del settore idrico”. Così Giovanni Valotti, presidente di Utilitalia, in chiusura del ciclo di audizioni che la commissione Ambiente della Camera sta effettuando sulla proposta di legge di riforma del settore idrico.

“È ormai chiaro a tutti che quando si parla di acqua, si deve ragionare nel concreto degli interventi necessari e delle conseguenze per i cittadini e i territori. Si devono considerare investimenti, progettazione delle reti, capacità di gestione amministrativa e di tutela delle risorse, governance del territorio e regolazione dei servizi. Una strategia idrica nazionale – ha aggiunto – non può non tener conto dei cambiamenti climatici, delle norme europee sugli affidamenti e dei circa quattro miliardi l’anno che il sistema idrico nazionale richiede per evitare di pagare le multe UE per i ritardi nella depurazione”.

Nelle audizioni di questi due mesi i diversi soggetti coinvolti (imprese, associazioni, autorità di regolazione e amministrazioni locali) hanno ribadito che gli enti locali devono essere liberi di decidere la forma societaria del gestore e le procedure di affidamento, che la copertura dei costi debba essere garantita dalla tariffa (perché i fondi pubblici sono troppo esposti ai cicli politici), che il cambiamento obbligato a livello nazionale verso il modello delle aziende speciali degli anni ’90 avrebbe dei costi e rischi eccessivi per le casse dello Stato e introdurrebbe vincoli alla gestione efficiente dei servizi, che le attuali forme di universalità del servizio siano già ora in grado di garantire le fasce più deboli della popolazione, che la regolazione autonoma e indipendente dell’Autorità ha portato in pochi anni a risultati che non erano stati raggiunti nei decenni precedenti dai quali derivano i ritardi accumulati dal sistema e che si stanno ora smaltendo, che la scala gestionale dell’acqua debba attestarsi almeno a 500.000 abitanti serviti, per evitare il proliferare di piccole e piccolissime società che metterebbero a rischio la continuità del servizio, la capacità di investire e l’efficentamento dei costi.

 

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